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“Sporchi e subito”: i nostri tempi raccontati da Fumettibrutti e altri giovani autori

Per quale ragione un editore tenta la strada, ormai minoritaria, della antologia-di-fumetti? Le raccolte di racconti, da tempo, sembrano avere perso ogni attrattiva. Le storie brevi sopravvivono però – con non poche differenze – nella loro “reincarnazione” sui social. Per Sporchi e subito, l’antologia curata da Fumettibrutti (Feltrinelli Comics), si tratta di uno degli aspetti che ne fanno una testimonianza realistica dei nostri tempi. Non il solo. Ma come collante del progetto, è un pezzo fondamentale. 

Questo tipo di opere, grazie alla trasversalità dei social (spesso più potenziale che reale, va detto), ha sì riconquistato il favore di un pubblico, ma si è scontrato con la nuova sfida della soglia di attenzione della lettura online, sempre più labile e inversamente proporzionale alla voglia di condivisione. Ne è nato un paradosso oggi quasi banale. Nell’epoca del consumo bulimico ma rapido, il fumetto digitale pensato per essere condiviso, rimbalzando di profilo in profilo, arriva ogni tanto a “conquistare la lentezza”: la stampa.

Qual è dunque il motivo di fermare su carta un fumetto mutante, anarcoide e vitale che trova la sua massima espressione nel brulicare continuo del digitale? La risposta potrebbe essere semplice come quella suggerita da Fumettibrutti nella sua prefazione al volume: il vil denaro. 

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Questa antologia, allora, si presenta come un paradosso e una negazione della stessa natura di ciò che vuole antologizzare: un modo lento per rappresentare la velocità, quel “subito” cui il titolo da risalto. 

Le antologie – così come le musealizzazione – sono eventi che disinnescano la potenza di deflagrazione di molti atti creativi. Gli avvertimenti di Valeria Parrella nella prefazione suonano pleonastici: mettere in guardia dal “senso di compromesso” e dalla capacità di guadagnare soldi con l’arte, in una dicotomia che è saltata in aria agli albori dell’epoca della riproducibilità tecnica dell’arte. Far soldi con la merda è essa stessa un’arte (almeno dal 1961) laddove la merda sia intesa in senso etico, come la nuda vita che si fa presente emotivo. A cui – come consiglia vivamente la scrittrice napoletana – si può aderire o scartare di lato, ma che non si può ignorare. 

Non si può ignorare, a mio avviso, la richiesta lapalissiana – e che sempre più conquista spazi nei dibattiti pubblici – di riconoscere un valore economico al lavoro creativo ed intellettuale: è il tema che monopolizza le pagine del racconto ‘manifesto’ disegnato da Yole ‘Fumettibrutti’ Signorelli. Nel contempo, però, la domanda legittima si lega alla qualità dello stesso lavoro che, quando si chiude su un orizzonte troppo ombelicale, umorale ed egotico (quando conta solo dire o “essere se stessi”, senza badare a offrire una porta per comunicare una questione, un tema, un’idea ad un lettore), stenta a trovare una collocazione utile a conferirgli il valore che viene richiesto.

Non basta la carica eversiva e negativa a rendere di successo un prodotto narrativo. La fortuna di Signorelli è quella di aver fatto breccia con il suo immaginario in un pubblico e di aver occupato uno spazio editoriale vergine, grazie a una grammatica essenziale e alla natura verace e provocatoria (in una provincialissima Italia) del suo dettato. La “merda” in questo caso era in grado di far detonare un messaggio potente e trasversale.

Sporchi e subito prova a fare una fotografia di quel che dovrebbe essere l’underground creativo e giovanile del – e attraverso il – fumetto italiano. La scelta di Yole Signorelli ricade su una manciata di firme che si muovono tra il d.i.y. più intransigente e i social, passando per piccole realtà editoriali. A unire le diverse personalità non è dunque uno stile, ma un’attitudine. Alcuni di loro hanno già pubblicazioni alle spalle – penso a Roberta “Joe1” Muci (vista in un’altra, rara antologia recente, Materia degenere), Giangioff, Michela “Sonno” Rossi – ma sono ancora lontani dalla visibilità della loro curatrice. 

Per farsi un’idea di massima dei contenuti, del lavoro editoriale e tirare le somme del progetto, vale allora la pena percorrere il libro racconto per racconto. 

Nora’s Big Eyes, di Joe1

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La leccese e bolognese di adozione Roberta Muci si conferma un’autrice capace e in possesso di un segno invidiabile. In questo racconto mostra con disinvoltura di saper piegare la tavola a suo piacere, con soluzioni grafiche e stilistiche interessanti. Lo stile soffre di un certo gusto retrò che affonda le radici nel fumetto underground anni novanta, soprattutto a causa dell’ingombrante presenza di una cultura pop che si muove tra l’essenziale e l’orpello, sebbene gestita con cura. Tutto serve all’autrice per raccontarsi una storia di nevrosi e allucinazioni: l’isolamento pre-esame universitario gioca brutti scherzi. Alla fine della lettura, resta una sensazione di incredulità e dubbio, come davanti ad un brillante gioco di prestigio. 

Angelo, di Wallie

Walter Petrone, anche lui di casa a Bologna (studente alla stessa Accademia di Belle Arti da cui proviene Fumettibrutti) e già nel catalogo Feltrinelli Comics con Croce sul cuore, ha una solida militanza nel fumetto social – per la precisione Instagram – dove si è conquistato uno stuolo di aficionados affascinati dalla sua poetica quotidiana e intima, dove l’inconveniente di essere nati si trasforma in una specie di autoanalisi collettiva.

In questa storia si muove un po’ impacciato, giocando con il fumetto di genere: un giovane supereroe osserva la sua amata a distanza, incapace di dichiararsi, ma il caso vuole che la ragazza venga assalita da due loschi figuri. Il nostro eroe non potrà non intervenire, per un finale con tanto di coda romantica. Un racconto caratterizzato da una paletta cromatica plasticosa e da un tratto informale e semplice, che si legge veloce e di cui, però, rimane poco. Buone le intenzioni – soprattutto in alcune suggestioni cinematografiche – ma lo sviluppo tecnico e stilistico sono sotto la sufficienza. 

Il Golem, di Michele De Stefano 

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Attivo sui social, De Stefano sembra essere a suo agio con la forma breve, passando dalla vignetta aforistica al racconto breve, con ammiccamenti vari alla cultura pop. Il tratto sgraziato, ma fresco, riesce a raccontare con dovizia i moti interiori delle sue creature. Qui il fumettista propone un racconto di formazione in pillole: un golem-donna viene creata per soddisfare gli appetiti sessuali di un vecchio laido. Liberatasi da tale fardello si incammina nel mondo dove, in poche pagine, cercherà di capire il senso della vita, chiudendo il cerchio. Un racconto che gioca con le vignette scontornate e una palette che è un pugno in un occhio. 

Glitch, di Giangioff 

Gianluca “Giangioff” Giovannini è così come si disegna. Già introdotto da Yole nel suo esordio sulla lunga distanza Il futuro nei denti (pubblicato da Fumetti di Cane, marchio indipendente di casa Shockdom), qua conserva il solito approccio elusivo, minimo ed emo. La sua “vita disegnata male” aveva mostrato un autore che cercava una propria voce, ma mostrava elementi derivativi e una certa superficialità nella gestione dello storytelling. Con questo racconto, incentrato sull’esperienza di un uomo che si sveglia in un mondo in cui il tempo sembra essersi fermato e la gente cristallizzata nelle sue azioni quotidiane, cerca di liberarsi dalla cronaca del quotidiano e dall’apologo generazionale. Tuttavia il tutto suona un po’ cliché, anche a causa di un’epifania finale scontata. Leggero ed evanescente. 

Non coprire, di Sonno (Michela Rossi) 

Già inclusa nel lavoro collettivo La rabbia, apparso per Einaudi nel 2006, Michela Rossi ha pubblicato per Fortepressa un libro atipico, una specie di raccolta di sketch, vignette e storie. Non coprire è invece un racconto intimo, che si fa apprezzare grazie a un bianco e nero figlio del tratto umoristico e di una sensibilità francofona che ricorda Claire Bretécher. Il fumetto, con un approccio fantasioso e poetico, si dipana tra memoir e graphic poetry.

Scarico della Responsabilità, di Chiole

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Como ha una lunga tradizione hard-core punk che ho scoperto trascorrendo un po’ di tempo lì per lavoro. Spesso mi capitava, in lunghe passeggiate, di incrociare gruppi di skater, perlopiù ragazzi. Sono così risalito alla storia sociale e musicale della città, alla scena hard-core di T.V.O R e simili. Questa premessa mi è necessaria per affermare – non senza sorpresa – che in una città dall’aspetto così bon ton si può incontrare una scena culturale acida e ‘marcia’ come poche.

Simone “Chiole” Chioleri, skateboarder comasco, è punk all’ennesima potenza: segno sgraziato e infantile, trama posticcia e tutta giocata all’opposto del politically correct. Una coppia getta un feto nelle fognatura, il caso vuole che venga adottato dal maestro Splinter delle TMTN che, a causa delle radiazioni, lo trasforma nel Merda – che reclama giustizia. Certo, di feti gettati nelle fogne aveva già detto, e in maniera più cruda e brutale, il maestro del manga Tatsumi negli anni Sessanta, ma Chiole aggiunge una vena incendiaria e ultrapop che ricorda più Takeshi Nemoto. Una scheggia anacronistica e anarchica. 

Fausta, di Andrea De Franco

Fausta sogna un patto con il diavolo, che le concede un ingente accredito su Paypal. Al risveglio tutto si rivela vero. Peccato che il diavolo abbia deciso di possedere il corpo della ragazza. Fausta, infatti, scopre di avere tra le gambe un pene lascivo e animato dalle fattezze sataniche. La conclusione, dagli accesi toni gore, ve la lascio immaginare. Il tratto di De Franco è figlio di un’attitudine naïf e artistoide, dove il gioco narrativo è una scusa per costruzioni fantasiose e mutanti.

Basta dare un’occhiata al suo sito per scoprire piccole e preziose autoproduzioni: graphic poetry, ricerca formale, calligrammi e quant’altro tracciano i confini di un’estetica personalissima. Il racconto antologizzato non è sicuramente la sua opera migliore (sebbene alluda a più cose, e contenga sminuzzati riferimenti diversi che affondano le radici nel fumetto underground americano e nel gekiga più maturo). L’estetica di De Franco occupa uno spazio poco battuto in Italia e si muove in spazi interstiziali di difficile collocazione. 

Hang Out, di Antonia Caruso e Percy Bertolini 

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La più bella sorpresa dell’antologia. Una spanna sopra tutti per visione e coraggio. Antonia Caruso e Percy Bertolini confezionano un racconto eclettico che vale più di un saggio di sociologia: la protagonista guadagna frammenti di socialità contemporanea restando però sempre in disparte, che sia una partita di calcetto tutta al femminile o una serata dedicata al biliardo per soli maschietti, l’unico luogo che riesce a conquistare è sempre ai margini della scena. 

Quello che stupisce è la facilità con cui Bertolini gestisce un loop narrativo declinandolo con un grafismo potente e fresco. C’è sicuramente il Dash Shaw più acido, ma anche le geometrie visive di Negron. Edizioni Minoritarie, la casa editrice fondata da Caruso, è una realtà dell’editoria italiana indipendente da tenere d’occhio. Questo piccolo gioiello di Caruso e Bertolini lo conferma. 

Non importa, di Giulia “Ritardo” Cellino 

Fumetto minimo, poetico e post-adolescenziale. Le buone intuizioni grafiche di Giulia Cellino sono come neve al sole: sublimano in poco tempo. Giulia racconta di un ricordo che affiora durante un viaggio in aereo, attraverso le brume del sogno. Il risveglio è catartico: quel frammento di mondo onirico libera dal dolore. È intuibile che dietro questo frammento narrativo ci sia altro: i lacerti quotidiani e le solitudini fotografano un impulso immediato a fermare su carta il momento. Lo indica anche la scelta di utilizzare una biro. Il disegno qua è scrittura, personalissima e intima. C’è sicuramente una sintesi felice, che può ricordare di volta in volta il tratto surreale e liquido del primo Ludovic Debeurme o quello cartoonesco e grafico di Lucia Biagi.

Buoni propositi, di Gianluca Ascione

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Ascione, friulano, classe 1994, chiude la raccolta creando un cortocircuito: le sue tavole deflagrano in un caos ordinato dove lo sguardo rincorre schegge di senso che creano movimenti centrifughi. La tavola sembra implodere e accartocciarsi, per poi riaprirsi. Un tratto energico che ricorda certe cose di Tiziano Angri, ma le inocula di una fierezza degna del Paz più anarchico. Il racconto è un divertissement in cui Ascione sfodera tutte le sue armi: una serata in giro per la provincia che si sfalda in un limaccioso rompicapo lisergico. Autore già pubblicato in un breve albo da Canicola Edizioni nel 2018, lo attendiamo con interesse in una sua prova sulla lunga distanza.

***

Insomma, come già si diceva, in queste 130 pagine Yole cerca di restituire un’immagine della scena indipendente italiana, collocandola in un mercato editoriale saturo ma sfruttando la posizione dell’editore e la propria visibilità per “accrescere” il valore di questi autori. Al di là del merito fumettistico, la motivazione è – detto senza enfasi – sicuramente politica. Si afferma in maniera esplicita che l’arte ha un prezzo, anzi deve necessariamente essere prezzata e pagata, anche lautamente in alcuni casi. L’introduzione a fumetti mette subito in chiaro la raison d’etre di Sporchi e Subito: una rivendicazione del valore del lavoro autoriale e della natura compromissoria dell’arte: «perché esistono alcun* collegh* che, a volte, antepongono il prestigio di una pubblicazione al vile denaro, mentre» – a giusta ragione aggiungerei – Yole Signorelli pretende «di essere sempre pagata, e bene…». 

Il messaggio di Yole sicuramente si allinea con un movimento che dal basso sta convogliando l’attenzione degli operatori del settore e dei lettori verso un problema profondo e che, alla lunga, rischia di compromettere la già vacillante salute dell’intero comparto editoriale legato al fumetto.   

La svalutazione del lavoro e la sovrapproduzione sono due facce della stessa medaglia e spesso i pochi autori che possono rivendicare un valore economico arrivano all’editoria dopo aver fatto una gavetta sui social e nel circuito delle produzioni indipendenti. Ma sono pochi quelli che riescono ad occupare una nicchia commerciale riconoscibile e duratura. 

Il tentativo di condurre fuori dal cerchio magico dell’autoproduzione un tipo di fumetto cresciuto in maniera spontanea e caotica – “indipendente”, per capirci – utilizzando come strumento un editore storico, e tramite questo collocarlo in un contesto economico, ha qualcosa di paradossale. Perché gran parte dei fumetti raccolti da Yole non vogliono avere valore: sono anzi fieramente outsider, totalmente eccentrici rispetto ad un contesto produttivo e di massificazione. Senza uno storytelling a incorniciarli, e senza un progetto editoriale – “sfacciato”: just ask for money – alle spalle, la maggior parte di questi lavori evaporerebbero dopo la prima lettura, perché poco ambiziosi, derivativi o troppo intimi per diventare altro, per assurgere agli onori della cronaca letteraria. La scelta politica di Yole, insomma, sembra da questo punto di vista scontrarsi con un’idea editoriale debole, inadeguata a “trasferire valore” in un senso che vada oltre la transazione del momento – fumetto fatto = fumetto pagato – e punti ad aggiungere a questa ragion d’essere (legittima e saggia, ripetiamolo) una missione espressiva più universale, se non collettiva.

Tra le dieci firme selezionate, va detto, alcuni autori/autrici hanno evidenti potenzialità. E l’antologia può essere una formula efficace per farle persino emergere. La stessa Fumettibrutti e Joe1 avevano preso parte nel 2018 ad un’interessante antologia pubblicata da Diabolo Edizioni (editore tra i più “lenti”, e attenti, nel fumetto italiano), Materia degenere, curata con sapiente mano da Marco Galli. In quella sede, le autrici erano state “costrette” ad abbandonare la loro comfort zone per seguire le indicazioni del fumettista bresciano. 

In un diverso contesto editoriale, non interessato a sfruttare l’ennesimo caso editoriale e a spremere il/la giovane artista di turno senza assicurargli/le un percorso di supporto e crescita autoriale, penso sia possibile che qualcuno tra gli autori di Sporchi e subito possa produrre opere stimolanti e preziose, magari smarcandosi dalla logica autoreferenziale del d.i.y

La natura compromissoria e scatologica delle storie qui raccolte, invece, fallisce in quello che sembrava essere uno degli obiettivi editoriali: spiazzare, sconcertare, provocare. Non manca questa saggezza ormai (quasi) ordinaria, non mancano diverse mani felici, non mancano alcuni guizzi. Ma non bastano. Rimane un sapore, fatto un po’ di nostalgia underground e un po’ di fremiti elettrizzanti, che ne fa un libro confusamente rivolto al futuro: incazzato per l’impasse culturale italiana, ma con poche idee messe davvero a fuoco. 

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