Per chi è cresciuto con Topolino, le estati infantili non erano le stesse che vivevano i coetanei. Certo, per tutti, i mesi tra giugno e agosto rappresentavano un periodo in cui le mattine si mischiavano ai pomeriggi senza soluzione di continuità e poi entravano nella sera riannodandosi alla mattina dopo. Ma chi leggeva Topolino sapeva che, nell’estate più o meno inoltrata, che fosse un abbonato o un frequentatore dell’edicola, ad aspettarlo c’era il rituale del gadget, un allegato componibile o un set di oggetti collezionabili che sarebbero rimasti caposaldi dell’infanzia, non importa quale videogioco dalla grafica devastante avrebbe trovato sotto l’albero di Natale pochi mesi dopo.
Topolino – soprattutto nel periodo di maggior successo tra gli anni Ottanta e Novanta – ha sempre elargito omaggi e regali, dal Monopoli sponsorizzato Eldorado al blister di adesivi. A partire dagli anni Settanta, e poi con una programmaticità più intensa negli anni Novanta, si diffusero iniziative speciali in cui, per un numero variabile di settimane, i lettori trovavano in allegato al giornale oggetti (o parti di oggetti) che andavano a raggrupparsi – in certi casi letteralmente – in un’unica esperienza ludica.
I primi gadget
Negli anni Sessanta, il boom economico investì anche Topolino, ormai stampato tutto a colori e arrivato, nel giugno 1965, a festeggiare i 500 numeri con una copertina dorata, una lettera di Walt Disney al direttore e una vera farfalla, considerata il primo gadget in assoluto (anche se materiali vari venivano allegati fin da primi numeri).
Fu la cosiddetta “operazione dollaro” a dare il via alla stagione dei gadget, nel giugno 1969, con un set di 6 monete (meglio, “medaglie”, come le chiamano i numismatici) coniate con i disegni di Giuseppe Perego. L’anno successivo la redazione varò un’iniziativa ancora più ambiziosa: “operazione miliardo”, che prevedeva una collezione di 8 monete con i ritratti di Giovan Battista Carpi e una storia in 11 parti, Storia e gloria della dinastia dei Paperi, scritta da Guido Martina e illustrata da Carpi e Romano Scarpa. Per la prima volta un oggetto usciva dalle pagine dei fumetti per arrivare nelle mani dei lettori.
Mondadori, che pubblicava il settimanale, aveva stipulato un accordo con la Banca Commerciale per l’emissione di 6.500 “libretti di risparmio Topolino”, ciascuno con un deposito iniziale di 10.000 lire. La redazione chiamò Giovanni Arpino, scrittore sotto contratto con Mondadori, per spiegare ai più piccoli il mondo delle banche: «La banca è un posto serio, che fino a ieri sembrava riservato a gente molto importante, magari gente con barba e baffi, con borse di cuoio e penne stilografiche che non macchiano le dita. Insomma, un posto dove gente come me e voi, ragazzi, non si sogna neanche di mettere piede, o perché non ha l’età o per timidezza». Come scriveva Luca Boschi nei redazionali dell’opera omnia di Romano Scarpa, «gli otto episodi a fumetti della dinastia dei Paperi, ciascuno dei quali ruota intorno alla moneta di turno, dovrebbero incuriosire i lettori rafforzando l’invito a varcare la soglia dell’istituto di credito».
Il successo delle precedenti iniziative spinse la redazione a vararne un’altra, nel 1973, sempre sul genere collezionismo ma sostituendo il set di monete – sarebbe stato il terzo nel giro di pochi anni – con delle medaglie a forma di francobolli, oggetti molto popolari presso la popolazione italiana, che se li ritrovava spesso allegati alle confezioni di merendine e altri prodotti. L’“operazione Quack” regalava i “francobolli tintinnanti” (perché in metallo) emessi dalle poste di Paperoli. Ogni francobollo presentava un valore diverso, espresso nella misura immaginaria dei “quack”, e ritraeva un’illustrazione di Marco Rota di uno dei personaggi Disney protagonisti della saga collegata all’operazione, Il segreto del totem decapitato. Quest’ultima era scritta da Guido Martina e disegnata da Giovan Battista Carpi, Guido Scala, Giorgio Cavazzano e Massimo De Vita e si divideva in episodi autoconclusivi. Come scrive Luca Boschi nell’introduzione di Tesori Disney 8, «la storia di Topolino non sarà più la stessa».
Nel giro di pochi anni seguirono infatti “Operazione San Marino” (la prima serie di francobolli emessa dalla Repubblica di San Marino con i disegni di G.B. Carpi), “Operazione Olimpiadi” (collezione di medaglie olimpioniche), “Operazione Bandierine” e “Operazione Robin Hood” (scudetti con i protagonisti dell’omonimo cartone Disney). Era il 1975 e Topolino viaggiava su numeri di venduto altissimi, anche se la qualità media delle storie era in caduta libera.
Il boom degli anni Ottanta
Gli allegati furono messi da parte e un nuovo direttore, Gaudenzio Capelli, traghettò il settimanale negli anni Ottanta. Poi, nel 1988, la casa madre tolse la licenza a Mondadori e fondò la propria divisione in Italia, per produrre libri e fumetti autonomamente. «Per Mondadori eravamo una delle molte testate da mandare in edicola ogni settimana» disse Capelli in un’intervista a La Stampa del 1992. «Gli investimenti erano sempre rimandati. La Disney ci ha consentito di migliorare la qualità della carta e di aumentare le pagine. E c’è spazio per gli esperimenti.»
Valentina De Poli, futura direttrice del settimanale e all’epoca membro tra i più giovani della redazione, ricorda a Fumettologica che «l’idea di diventare parte della casa madre e essere protagonisti dell’affermazione di Disney in Italia nella golden age dell’editoria aveva portato l’entusiasmo alle stelle. C’era un clima di invincibilità che si rispecchiava in ogni cosa che veniva realizzata e proposta». Forte delle risorse di casa Disney, si poterono realizzare allegati esclusivi (VHS e capi d’abbigliamento per gli abbonati) e gadget molto popolari.
La nuova era dei gadget partì nell’estate 1989 con l’orologio ecologico realizzato in Mater-Bi, una bioplastica sviluppata alla fine degli anni Ottanta dal team di Catia Bastioli per conto del gruppo Montedison (all’epoca guidato dall’azionista di maggioranza Ferruzzi, gruppo agroalimentare gestito da Raul Gardini), che poi nel 1990 fondò Novamont per commercializzare i prodotti realizzati con questa tecnologia.
«Per lanciare in grande stile la sua invenzione», scriveva la Repubblica nel luglio 1989, «il gruppo Ferruzzi non si affiderà ai poco attraenti sacchetti di plastica. Ha prodotto invece ben 750 mila orologi di amido termoplastico, con il cinturino di sughero. Il numero del mensile [sic] Topolino in edicola il 5 luglio, e i tre numeri successivi conterranno le parti, da montare, di questo orologio-biologico. Avrà il display a cristalli liquidi e qualche altro pezzo, insostituibile, di materiali tradizionali. Il grosso sarà biodegradabile: quasi per invitare ciascuno a fare la prova di cosa succede sotterrando l’orologio nella terra della piantina di gerani e controllando, dopo qualche mese, cosa ne sia rimasto».
La Stampa definì l’operazione «una dimostrazione pratica su vasta scala delle possibilità applicative del nuovo materiale prodotto in via sperimentale della ricerca del Gruppo Ferruzzi». Ad accompagnare il gadget c’era la storia Zio Paperone e la spazioplastica, scritta da Massimo Marconi e disegnata da Giorgio Cavazzano, in cui un’astronave in avaria con una coppia di paperi alieni atterra su Paperopoli alla ricerca del carburante per i loro motori.
Marconi, all’epoca caposervizio alle sceneggiature del settimanale, si era spesso assunto l’onere di scrivere storie di supporto alle iniziative promozionali o dagli intenti pedagogici, come Topolino e la spada invincibile, commissionata dalla F.I.S. (Federazione Italiana Scherma), Paperino & Gastone amici per lo sport, storia pubblicitaria per i biscotti Ringo, o le successive storie abbinate ai gadget.
«Quelli del marketing erano bravissimi a trovare questi oggetti che erano il mio tormento perché non li vedevo prima e la storia andava preparata con molto anticipo» spiega a Fumettologica Marconi. «Vedevo solo gli abbozzi, dovevo cercare di spiegarli al disegnatore e poi all’ultimo minuto arrivava l’oggetto, costringendoci a modifiche dell’ultimo secondo. Sembra siano passati secoli, eravamo un po’ più ingenui.»
Con il Mater-Bi fu realizzato anche il gadget del 1990, la macchina fotografica. I risultati di vendita però non bastarono a far proseguire la collaborazione tra Novamont e Disney. L’azienda avrebbe dovuto produrre un terzo gadget, ma le difficoltà finanziarie del gruppo bloccarono il progetto. Così, nel 1991, i lettori videro arrivare nelle edicole il Topobinocolo, gadget multiuso in plastica convenzionale, a cui fu associata la prima storia dichiaratamente promozionale, Topolino e il rompicapo dell’inesauribile (di Massimo Marconi e Roberto Santillo).
Nel 1993 fu realizzato il Topowalkie, una ricetrasmittente componibile attiva fino a 50 metri, composta, in tutta la sua tiratura, da 32 milioni di componenti elettronici e 400 chilometri di filo elettrico. Era un giocattolo più complesso e costoso, il cui budget superò il prezzo di copertina. «Si lavorava in perdita, per scelta – giusta – della Disney» spiega Marconi. «Serviva per far conoscere il nome, per attirare e affezionare il pubblico. Su cento persone che comprarono per la prima volta solo per il gadget magari venti rimasero.»
Per pubblicizzare l’iniziativa, a partire da giugno uscì Topolino e il collegamento multidimensionale, una storia a puntate che aveva come protagonista il gadget. Il Topowalkie fece segnare il record di un milione di copie vendute, consolidando lo slot estivo, già di per sé un momento dell’anno di alta stagionalità, e registrando dei moltiplicatori di vendite pari o superiori a quattro.
«Topolino vendeva un milione di copie con il gadget estivo. Ma non era Topolino che vendeva, era il gadget» spiega a Fumettologica Paolo Cavaglione, direttore della testata dal 1994 al 1999. «Allora, al di là del conto economico, l’unica funzione era quella di far riprendere per un po’ di tempo il giornale a chi l’aveva abbandonato. Obiettivo che si raggiungeva, ma che durava per poche settimane. Non ho mai demonizzato i gadget, ma non ho neppure mai contato più di tanto sulla loro capacità di salvare un giornale dal suo destino.»
Dall’oggetto al giocattolo
Negli anni Novanta si assistette a una trasformazione dal gadget-oggetto al gadget-giocattolo, un passatempo puramente ludico. Secondo quelli del marketing, il gadget slegato dal mondo del giornale non funzionava più e le attenzioni andavano riportate su oggetti usciti direttamente dalle storie o strettamente correlate ai personaggi. Da oggetti con un uso pratico griffati Disney (la radio, l’orologio, la sveglia), ci si spostò a veri e propri giochi usciti dalle pagine dei fumetti.
«Il gadget così concepito serve come completamento di un mondo» afferma Valentina De Poli, direttrice di Topolino dal 2007 al 2018. «Ma servono competenze eccezionali per realizzarlo. In questo Emanuela Peja è stata una maestra. Per tutti». Emanuela Peja è stata infatti il principale riferimento del marketing di Topolino per quasi vent’anni. Peja era entrata in Disney nel 1991, in concomitanza con la nascita di Disney Libri, occupandosi dello sviluppo di nuovi prodotti, tra cui la fortunata collana dei Librottini, piccoli volumi dalle pagine cartonate e gli angoli stondati pensati per la prima infanzia. Nel 2000 entrò nella squadra di Topolino, venendo promossa a senior marketing manager nel 2007, sotto la direzione di De Poli.
Nei primi anni Duemila, la direttrice Claretta Muci – a capo del settimanale dal 2000 al 2007 – aprì il mondo Disney attraverso varie operazioni di worldbuilding, un aspetto mai sistematizzato davvero perché lasciato all’estro dei singoli autori, che aggiungevano tasselli al mondo di Topi e Paperi senza una supervisione filologica. La direttrice volle far esplorare ai lettori le città e i luoghi dei personaggi attraverso più piattaforme in maniera coerente, offrendo un terreno comune per coordinare tutte le iniziative editoriali del mondo. Mise l’architetto prestato al disegno Blasco Pisapia a progettare gli interni delle case dei personaggi e gli studi furono utilizzati nell’album di figurine del 2003 o per i gadget come il deposito di Zio Paperone, la casa di Paperino, la plancia di Paperopoli.
Perfino il Papersera, il quotidiano fittizio di Paperopoli, travalicò la finzione per diventare un vero giornale in cui trovavano casa sponsor vari o firme della cultura pop italiana. L’idea di far vedere la città e le case dei personaggi sarà sfruttata nell’iniziativa I Love Paperopoli, una collana in 100 uscite con cui si poteva ricostruire un modello in scala dell’intera città del Calisota. «Un grande e complesso progetto» spiega a Fumettologica Peja, «che ha oltrepassato anche i confini diventando un progetto internazionale. Una grande soddisfazione personale».
I gadget più ambiziosi
Liberi di ideare e realizzare i gadget di Topolino, purché aderenti alle policy Disney, i realizzatori si sbizzarrirono. Nella primavera del 2004, Topolino 2520 presentò il primo pezzo di un gadget faraonico: un galeone popolato dalla banda Disney in versione piratesca, l’oggetto più ambizioso prodotto fino ad allora, a cui avrebbe fatto seguito l’altrettanto imponente castello di Wizards of Mickey, la serie fantasy creata da Stefano Ambrosio. Ci furono poi il deposito di Zio Paperone, l’auto di Macchia Nera – piena di armi e trappole -, la casa di Paperino. Erano oggetti distanti anni luce dalla semplicità dei gadget delle stagioni precedenti.
«Insieme alla redazione selezionavamo le tematiche che potessero essere sviluppate come contenuto editoriale e a fumetti. A volte invece si partiva dal tema, che poteva essere un contenuto editoriale, una ricorrenza, una celebrazione o una nuova super hit del momento, che ispirava l’ideazione di un nuovo concept di gadget.»
Dopo il design, la scelta del fornitore, i vari passaggi di approvazione del prototipo, degli stampi e delle varie parti in cui i gadget dovevano essere scomposti e le certificazioni UE del giocattolo – molto restrittive per la policy Disney – si passava alla produzione vera e propria. Un processo che occupava dagli otto ai dieci mesi di lavoro.
«Il via a un nuovo modo di pensare e realizzare i gadget avvenne da un lato dalla consapevolezza che i tempi erano cambiati e i nostri lettori avevano bisogno di stimoli nuovi, più complessi e più tecnologici», spiega Peja, «e dall’altro un nuovo modo di lavorare in squadra realizzando sempre qualcosa di innovativo e vicino ai nostri lettori. Certo, erano progetti decisamente più ambiziosi e complessi che avevano bisogno di equipe di ingegneri super qualificati per poter essere realizzati. Era infatti difficile per i nostri fornitori riuscire a realizzare dei prototipi funzionanti e in linea con i canoni di alta qualità e di aderenza agli aspetti artistici di Disney e superare le difficoltà di progettazione del giocattolo, con o senza parti elettroniche, che potesse essere suddiviso (e poi rimontato dai ragazzi e dai genitori) in quattro/cinque/sei parti che dovevano essere poi assemblate fra loro perfettamente, realizzate con dei budget molto contenuti. Siamo stati un po’ il loro incubo!»
«Il gadget più complesso credo sia stato il Sommergibile di DoubleDuck, un bellissimo gadget che ha dato del filo da torcere a noi e ai nostri fornitori. Alla difficoltà di funzionamento sott’acqua (motore a pile, stabilizzatori per l’assetto in acqua, ingegnerizzazione del vano per l’immersione ed emersione, la chiusura stagna delle parti del giocattolo) si deve aggiungere la difficoltà che il giocattolo doveva essere venduto in parti e che dovevano essere assemblate dai nostri lettori. E per un oggetto che doveva funzionare sott’acqua non era per nulla facile.»
De Poli spiega che quell’era rappresentava una modalità di fruizione anacronistica per i fruitori e ammette di essersi sentita in colpa «per non aver capito in tempo che, nel 2016, l’epoca delle “4 settimane per costruire un gadget” era al capolinea. Ormai il lettore vuole tutto e subito. Sempre di più. Piuttosto spendendo più soldi, ma mettendo mano al super gadget subito». Già a partire dal 2001, con la 113, l’auto di Topolino, erano stati introdotti gadget preassemblati, a pagamento e solitamente dopo la conclusione delle iniziative promozionali ‘da montare’. Dalla stagione 2019/2020 il gadget gratuito non è stato più realizzato.
«Per tanti anni Topolino ha fatto una mega campagna estiva dove c’era un gadget che veniva pubblicizzato con notevoli risultati di vendita» ha detto Alex Bertani, «ma alla fine vendevamo dei giocattoli, diciamo la verità, perché dopo quattro settimane si tornava nei volumi di vendita precedenti. In quelle quattro settimane avevi quindi venduto dei giocattoli, non delle storie». Durante la gestione di Bertani, in ogni caso, i gadget sono rimasti un elemento importante della rivista, anzi, il loro numero è aumentato e gli allegati sono presenti durante tutto l’anno.
E, ormai da qualche tempo, la stagione del grande gadget estivo è ormai un ricordo. L’obiettivo sarà anche stato quello di vendere qualche copia in più del settimanale, ma, ricorda Peja, gli oggetti allegati erano uno dei elementi che servivano «per realizzare, con entusiasmo, ogni settimana un giornale sempre al passo con i tempi».
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