La mattina del 4 ottobre 1915 gli abitanti di Chicago, squadernando i giganteschi giornali sulle proprie scrivanie o sui tavolini dei bar, incapparono probabilmente in un trafiletto di cronaca che raccontava come la notte precedente, intorno alle 3:30, un poliziotto di nome Fisher, in un vicolo nei pressi dell’incrocio tra East Monroe Street e South Wabash Avenue, si era imbattuto nel corpo senza vita di un giovane uomo, morto chiaramente per una caduta. Alzando gli occhi aveva individuato subito la finestra al quinto piano da cui era precipitato.
Era una stanza di albergo, del De Jonge Hotel & Restaurant, occupata da altri due giovani. La sera prima un loro amico, il morto, era passato a trovarli e i tre avevano gozzovigliato e si erano addormentati. I due non sapevano come fosse caduto il terzo, giuravano di non averlo spinto ed escludevano qualsiasi volontà di suicidio. In poco tempo il caso fu archiviato e dai giornali di Chicago scomparvero i trafiletti a lui dedicati.

Purtroppo per noi, però, non scomparvero solo quelli, ma anche i fumetti che il defenestrato disegnava per il Chicago Herald. Si chiamava infatti Stewart (o Stuart) Carothers, era nato solo 22 anni prima in Tennessee, nel febbraio 1893, ed era tra gli autori più abili del giornale e del piccolo ma agguerrito syndicate guidato dal suo editore James Keeley (per sapere cosa sia un syndicate, è sufficiente leggere la nostra guida alle strip americane).
Carothers aveva all’attivo una manciata di serie di argomento cinematografico, tema molto sentito in quegli anni in cui Chicago era sede di importanti studi, prima dell’ascesa di Hollywood. La più duratura fu The Movies of Haphazard Helen, dal 2 gennaio 1915, proseguita da altri dopo la sua morte, mentre titoli come Advice To Would-Be Movie Actors (“Consigli per aspiranti attori”), How To Become A Film Star Without Leaving The Flat (“Come diventare una stella del cinema senza lasciare l’appartamento”) e It Never Occurs To Film Directors (“Non succede mai ai registi”) durarono ciascuna una manciata di settimane e furono sostituite da altre, che facevano umorismo su differenti aspetti della produzione cinematografica.
Era dunque l’uomo giusto per la striscia più ambiziosa del piccolo syndicate, un fumetto su licenza con protagonista un personaggio esistente, una star del cinema, a cui erano stati pagati fior di diritti per lo sfruttamento della sua immagine: Charlie Chaplin.

Charlie Chaplin’s Comic Capers aveva debuttato il 29 marzo 1915, in strisce quotidiane e tavole domenicali; era pubblicata quindi da meno di sei mesi quando Carothers morì. Il protagonista era il celebre attore, vestito come il suo personaggio più famoso, il vagabondo Charlot, interpretato per la prima volta all’inizio del 1914 e protagonista di oltre 30 pellicole nel corso del primo anno. Nel dicembre 1914 Chaplin aveva cambiato casa di produzione, da Keystone a Essanay, e quest’ultima aveva intrapreso un’aggressiva campagna di sfruttamento della sua immagine. Nel 1915 scoppiò così la “Chaplinmania”, con negozi invasi di merchandising, giocattoli, dischi, libri, spartiti di canzoni. Il fumetto non poteva restare a guardare, e fu così che il Keeley syndicate chiuse un contratto con la Essanay e mise all’opera il suo migliore – sfortunatissimo – uomo.
La serie era una normale striscia umoristica autoconclusiva dell’epoca. Ogni giorno una gag, slegata da quelle precedenti e da quelle successive. Era soprattutto umorismo fisico, con botte, cadute, scivoloni, incidenti e ogni tanto qualche gioco di parole o battuta verbale. In quest’ultimo caso era immancabile, nella vignetta finale, lo “svenimento”, spesso acrobatico, di un personaggio come reazione alla sciocchezza detta da un altro.
L’intuizione di Carothers fu di sfruttare la doppia vita del personaggio, sulla carta e nel mondo reale. Il vero Charlie Chaplin poteva leggere le strisce che lo vedevano protagonista, e questo dava all’autore lo spunto per gag metanarrative, in cui lo Charlot disegnato leggeva i propri fumetti o litigava con il proprio fumettista, trovate che, se non erano completamente una novità per le strip dell’epoca, un secolo fa erano di certo molto meno frequenti che nella nostra cultura post-postmoderna.

È chiaro, quindi, che la morte improvvisa del loro cavallo di razza proprio all’apice del successo deve aver sconvolto la direzione del giornale, che corse subito ai ripari ingaggiando altri disegnatori – pare tali Warren e Ramsey, che però non si firmavano – per proseguire la striscia. I risultati furono disastrosi, con disegni anche sotto la soglia della pubblicabilità.

Tra i fumetti di Carothers già pronti in archivio e questi rimpiazzi la strip proseguì senza troppi scossoni fino ai primi mesi del 1916, quando a Chicago arrivò un altro giovane, un aspirante disegnatore che non aveva mai pubblicato prima d’ora una sola vignetta. Si chiamava Elzie Crisler Segar, era nato l’8 dicembre 1894 a Chester, Illinois, e sarebbe diventato in seguito uno dei fumettisti umoristici più importanti di sempre, grazie alla creazione di Popeye, alias Braccio di Ferro. Allora era solo il proiezionista di un cinema della sua città natale che aveva imparato a disegnare seguendo un corso per corrispondenza. Grazie a un fortunato giro di conoscenze era riuscito a ottenere una lettera di presentazione di Richard F. Outcault, il creatore di Yellow Kid e Buster Brown, senza nemmeno incontrarlo.
Fu con queste carte – inesperienza e referenza di un pezzo grosso – che Segar si presentò alla redazione del Chicago Herald a cercare lavoro e fu subito messo a disegnare Charlie Chaplin’s Comics Caper. Non si sa perché accadde: non era un disegnatore particolarmente bravo (anzi, siamo onesti: la maggior parte delle sue strip sono meno interessanti di quelle di Carothers), forse semplicemente la direzione le stava provando tutte per risollevare la serie.
Il futuro creatore di Popeye rimase sul personaggio per poco meno di due anni, disegnando sia le strisce quotidiane che le tavole domenicali e intanto si fece le ossa creando serie minori e disegnando vignette per lo stesso giornale.

L’apporto maggiore alla serie da parte di Segar fu l’invenzione di una spalla per Charlot, un piccoletto di nome Luke the Gook, dalle fattezze un po’ scimmiesche simili a quelle dei personaggi di Gus Mager, di grande successo in quegli anni.

Per il resto, la serie era ancora grossomodo quella di Carothers, soltanto le gag verbali diventarono più frequenti rispetto al puro slapstick. L’autore di Chester non aveva ancora sviluppato l’umorismo surreale che lo avrebbe reso famoso, né si firmava con il sigaro, e il disegno non era ancora dinamico, stilizzato ed esagerato come sarebbe stato in seguito.
Possiamo immaginare che, quando la serie terminò nel settembre 1917, nessun lettore abbia pianto troppo. Il disegnatore si dedicò ad altre strip, tra cui la fortunata Loopin’ the Loop, insolita striscia verticale pensata per occupare una mezza colonna di giornale, da cui Segar fece satira sull’attualità di Chicago.
Nel giro di un anno, il Chicago Herald e il suo syndicate furono acquistati da William Randolph Hearst e confluirono nel suo impero editoriale; i fumetti degli autori della Windy City raggiunsero così lettori in tutti gli Stati Uniti. Il 19 dicembre 1919 apparve sul New York Journal la prima striscia del Thimble Theatre di Segar, la serie che lo rese famoso e su cui, quasi 10 anni dopo, sarebbe comparso Braccio di Ferro.

I fumetti di Charlie Chaplin furono quindi una breve parentesi per uno dei massimi fumettisti di strisce sindacate, poco più di una nota nella prima parte della sua – purtroppo breve – biografia. Può darsi, però, che qualche impavido completista, qualche chapliniano di ferro o qualche curioso le voglia leggere. Ecco quindi qualche indicazione per recuperarle.
L’unica edizione italiana, a quanto mi risulta, è stata pubblicata negli anni Settanta dal Club Anni Trenta, con introduzione nientemeno che di Carlo della Corte (autore nel 1961 di un seminale saggio sul medium intitolato I fumetti). È un albo orizzontale di grande formato (43,5 cm di larghezza!) che pubblica un centinaio di strisce di Segar, Carothers e anonime – anche se la pubblicazione è intitolata solo al primo – in ordine sparso e senza l’indicazione delle date di uscita delle singole strisce. Mancanze perdonabili, intendiamoci, in epoche pionieristiche per le ristampe filologiche di materiale classico. Se avete fortuna, potete trovarne qualche copia nei mercatini o su Ebay, altrimenti è disponibile presso WOW Spazio Fumetto di Milano.

Per chi legge in inglese, la situazione è più semplice ma più frammentaria:
- la Charlie Chaplin Foundation ha messo sul proprio sito le scansioni di alcune raccolte pubblicate nel 1917 dalla casa editrice newyorchese M. A. Donohue & Co. Vi compaiono strip di un po’ tutti gli autori, senza grande cura filologica, ma sono essi stessi documenti interessanti;
- se voleste acquistare fisicamente quegli albi, se ne trovano esemplari su Ebay tra i 150 e i 250 dollari;
- il sito Barnacle Press ha raccolto alcune strisce del solo Segar;
- un articolo del sito Comics Kingdom – tra le fonti di questo pezzo – ha le scansioni di una trentina di strisce, provenienti chiaramente da una raccolta che però non siamo riusciti a individuare;
- Il già citato saggio Screwball! The Cartoonists Who Made the Funnies Funny stampa un paio di strip e tavole domenicali. Poco utile per il solo Charlie Chaplin’s Comics Caper ma ottima lettura in generale sulle strisce umoristiche americane.
La cosa interessante è che queste fonti presentano contenuti diversi l’una dall’altra: sono pochissime le strisce che compaiono da più parti. Lasciamo ai completisti il piacere di confrontarle.
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