L’epopea fantascientifica di “Invisible Kingdom”

In un sistema stellare lontanissimo dal nostro un’enorme corporazione interplanetaria provvede ai bisogni materiali di tutti i cittadini della galassia. La Lux, questo il nome della compagnia, è una sorta di Amazon su scala cosmica, e i suoi fattorini viaggiano attraverso l’intero universo pur di garantire consegne puntuali ai tanti clienti desiderosi di ricevere i loro pacchi. A fare da contraltare a un’entità così mastodontica abbiamo un culto di monache dedite alla rinuncia e alla povertà. Questo fino a quando verità scomode cominceranno a emergere dalle crepe di un meccanismo forse non così perfetto come sembra. Traffici di denaro poco chiari, macchinazioni politiche, giochi di potere. Le due protagoniste della vicenda – la capitana Grix, al soldo della Lux, e la novizia Vess – si troveranno ben presto invischiate in un affare decisamente più grande di loro e le conseguenze saranno terribili.

Questa, in sintesi, la trama di Invisible Kingdom, il nuovo lavoro di G. Willow Wilson – nota ai più per il suo interessante ciclo su Ms. Marvel – e Christian Ward (Freccia Nera, ODY-C). Si tratta di una delle serie di maggiore successo tra quelle licenziate da Berger Books – imprint di Dark Horse Comics gestito da Karen Berger -, fresca vincitrice di due Eisner Award come miglior nuova serie e miglior disegnatore digitale.

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Pedigree nobile a parte, se ci si dovesse fermare a uno sguardo superficiale lo spunto alla base di Invisible Kingdom potrebbe sembrare un incrocio tra I Guardiani della Galassia e la serie televisiva Firefly. Abbiamo una ciurma male assortita, una capitana tanto coraggiosa quanto impulsiva, uno sconfinato impero del male a cui sfuggire. Gli ingredienti classici dell’epopea sci-fi da 40 anni a questa parte. A questo aggiungiamo la consueta estetica pittorica ormai irrinunciabile per ogni serie a fumetti di fantascienza con ambizioni autoriali. Ben presto però, e per nostra fortuna, ci si rende conto di essere finiti in territori ben diversi da quello che le prima pagine ci facevano temere.

La prima cosa che balza all’occhio sono i richiami espliciti all’attualità. Se all’inizio sono tanto palesi da sfiorare il didascalico, con lo svilupparsi della vicenda acquistano una profondità sempre maggiore. Oltre a includere riferimenti sempre più vasti – come la percezione delle fake news e la gestione della cosa pubblica online – anche il punto vista su questi aspetti si fa sempre meno banale e scontato, includendo sempre più sfumature. Pur rimanendo una narratrice piuttosto tradizionale, Wilson si dimostra una scrittrice in grado di toccare argomenti delicati in maniera adulta mantenendo al contempo una grande leggerezza. L’intelligenza di tale approccio si manifesta anche nella scrittura dei dialoghi e dei rapporti tra i vari personaggi, probabilmente l’aspetto a cui la sceneggiatrice tiene di più.

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Invisible Kingdom non porta in dote una grandissima originalità come approccio al genere. Si tratta della consueta epopea picaresca dove una squadra di underdog, con tanto di astronave scassata, si ritrova a fuggire e a combattere qualcosa di enorme. Con il secondo ciclo narrativo le cose cambiano leggermente, ma siamo sempre dalle parti della band of misfits. Quello che davvero riesce a far emergere Invisible Kingdom sul marasma di pubblicazioni fantasy/sci-fi attualmente sul mercato è appunto la solidità dei suoi personaggi.

Nonostante il contesto assurdo in cui si muovono, gli attori della vicenda parlano e si comportano in maniera realistica, senza rinunciare comunque a un approccio molto brillante e ritmato. Questo permette di evitare l’effetto plastificato di Saga, oppure il continuo ricorrere a chiusure a effetto o one-liner stentoree tipico di tanti fumetti alla ricerca del sensazionalismo a tutti i costi. Un ingrediente importante a cui si aggiunge la fallibilità dei personaggi e delle loro scelte, oltre che la loro visibile confusione e incapacità di prendere decisioni nei momenti più tesi. Il capitano di una nave stellare non può sempre essere l’Han Solo – un fanfarone vanaglorioso che non sbaglia un colpo – di turno. Può capitare che si tratti di una persona con ben chiaro cosa fare, senza avere però idea del come. Con il terrore di sbagliare e di mettere i suoi uomini in pericolo. 

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Il risultato è qualcosa di molto diverso rispetto alla consueta serie di fantascienza fatta di un grosso concept roboante attorno a cui girano personaggi stereotipati o banali. Invisible Kingdom ha dalla sua una scrittura matura, capace di dimostrarlo senza perdere il gusto di essere comunque divertente nel senso più leggero del termine. A fronte di un approccio così elegante ci si sarebbe aspettati lo stesso ragionamente anche dal punto di vista grafico, quando invece è stata preferita la scelta di Christian Ward. Un ottimo copertinista, ma che su queste pagine finisce per fare la fine del Dustin Nguyen di turno, solo più sovraccarico e colorato

Le ottime intuizioni di design – come la cattivissima astronave Lux, pilotata con tablet e dagli interni da Apple store – e i passaggi di grande effetto si perdono sullo sfondo di una colorazione fin troppo esuberante, personaggi spesso irriconoscibili e una narrazione a tratti davvero confusa. Una direzione che non si sposa con il registro pacato e minimalista – per quanto una serie che parla di corporazioni galattiche, astronavi, combattimenti stellari e bizzarre razze aliene possa esserlo – della sceneggiatura. Invisible Kingdom non ammicca al lettore, non gioca con il facile sentimentalismo, non si pone come balocco pop. Cerca in ogni modo di proporsi come alternativa ai vari Ascender o Saga lavorando più sulle sfumature che sui lustrini. Da questo punto di vista risulta difficile capire il perché di una scelta stilistica grafica così pesante e al contempo banale, soprattutto in virtù del curriculum da editor di Karen Berger. 

christian ward

Nonostante questo aspetto, Invisible Kingdom riesce comunque a imporsi come una lettura appassionante, scritta con intelligenza e consapevolezza. La percezione è quella di un progetto a lunghissima gittata, dove le migliori idee devo ancora essere svelate. Per ora la rilassatezza del ritmo e l’accento su aspetti solitamente trascurati la rendono una proposta unica, in grado di svettare sul resto delle serie mainstream statunitensi senza bisogno di specchietti per le allodole e colpi bassi.

Invisible Kingdom voll. 1 e 2
di G. Willow Wilson e Christian Ward
Dark Horse Comics, novembre 2019 – giugno 2020
brossura, 128 pp., colore
20,00 €

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