“Zero” di Aleš Kot: il controspionaggio in chiave biopunk

zero ales kot

Edward Zero è uno spietato agente al soldo di una misteriosa agenzia d’intelligence sovranazionale. Addestrato fin da bambino a portare a termine ogni tipo di missione senza farsi troppe domande, è utilizzato sul campo per operazioni ad altissimo rischio. Che si tratti di asportare organi a un soldato palestinese bio-modificato o di infiltrarsi in un ritrovo per terroristi e mercanti di umani a Hong Kong, Zero semplicemente porta a termine i suoi obiettivi. Questa è la sua vita, l’unica che conosce. Almeno fino a quando una catena di drammatici eventi comincia a fargli mettere in dubbio tutto quello in cui crede.

Non è un caso se lo sceneggiatore Aleš Kot dedichi uno dei primi numeri di questa serie – edita originariamente per Image Comics nel 2013 – a Garth Ennis. La matrice alla base di Zero è sovrapponibile senza troppi problemi a quella che ha permesso allo scrittore irlandese di pubblicare alcune delle sue migliori storie. Abbiamo soldati vittime di un sistema che li vuole solo come automi incapaci di farsi domande, giochi politici dove si nasconde il vero orrore, dialoghi un po’ retorici scolpiti nella roccia e violenza quanto basta. Kot di suo ce la mette tutta per rendere il piatto un poco più ricco e meno derivativo, allontanandosi dalle storie di guerra e sconfinando poco a poco in territori tipici della fantascienza più cruda, al limite del biopunk. Ci riesce moltiplicando il numero degli ingredienti in maniera vertiginosa, facendoci credere che la storia raccontata sia molto di più complessa di quello che è in realtà e giocando continuamente con generi abbondantemente codificati.

zero ales kot
Michael Wash

In primo luogo l’ordine cronologico della vicenda viene sfalsato, balzando continuamente avanti e indietro nel tempo e andando a disseminare qua e là una serie di indizi che andranno a trovare il loro posto nel corso dei 18 numeri della serie. Ogni capitolo è affidato a un disegnatore diverso, tutti dotati di uno stile da uno stile ben caratterizzato, mentre il designer Tom Muller arricchisce i vari segmenti con interventi che servono a includere citazioni di McCarthy come sezioni di interrogatori o stralci di diario. Per essere un lavoro di oltre sette anni fa è ammirevole come fosse già in atto un recupero dell’estetica digitale della prima metà degli anni Novanta.

Se oggi l’uso di sfumature dai colori sintetici e l’inclusione di schermate di programmi ormai obsoleti è una pratica comune – basti vedere quanto il vaporware abbia influenzato prodotti come Midnight Gospel – all’epoca dell’uscita di Zero non era una cosa così comune. Pionieri di questo tipo di estetica furono i ragazzi dello studio twopoints.net, dal cui lavoro Muller sembra avere pescato a piene mani. Kot, come un novello Warren Ellis, gioca tra attinenza alla realtà, terminologia parascientifica e incursioni in una fantascienza al contempo visionaria e carnale. Come se gli orizzonti più sfrenati della conoscenza umana finissero sempre a viaggiare in parallelo con mutazioni del corpo. Strani macchinari funzionano grazie a membrane micotiche, mentre l’organismo umano può essere stravolto a piacimento. Lo sceneggiatore accumula tensione e indizi per tutti i primi numeri della serie e chiude lo story-arc con una trovata che è quasi una citazione letterale dello scrittore di Authority e Planetary.

Tradd Moore

A conti fatti non c’è nulla di davvero originale in Zero, eppure l’insieme della somma delle parti restituisce un’ottima serie. Il primo volume si apre con il bravo Michael Walsh, che, con il suo tratto pastoso e retrò, molto stiloso, detta subito il tono da spy story di tutta la vicenda. Peccato che che non siamo in qualche raffinato casinò di Montecarlo a sorseggiare cocktail, ma nella Striscia di Gaza, dove violenza e morti fanno ben presto il loro esordio sulla pagina. Si tratta del primo corto circuito della serie, sospesa tra riferimenti precisi – alla narrativa di genere come all’attualità – e repentini cambi di campo. Subito dopo arriva Tradd Moore a raccontare l’adolescenza del nostro protagonista, rendendola un racconto ipertrofico ed esagerato come le sue tavole. I teenager che disegna hanno grossi occhioni dolci che sembrano usciti da un manga romantico, ma sono addestrati come macchine di morte. Il sangue schizza in coreografici geyser e tutto il capitolo regala più di una felice intuizione grafica.

Con Mateus Santoluoco si torna in ambiti più da James Bond, con un’atmosfera che torna a quelle di Walsh. L’andamento quasi caricaturale viene rafforzato da fisionomie spesso esagerate e da una colorazione stilizzata e squillante. Segue Morgan Jeske, il disegnatore più ruvido e brutale del lotto. Lontano anni luce dall’eleganza dei colleghi che lo hanno preceduto, il suo capitolo è il più ricco d’azione, e l’ambientazione da favelas viene resa alla perfezione dal suo approccio fatto di tratti secchi e sgraziati. Chiude il volume Will Tempest, che con il suo stile freddo e particolareggiato sembra essere preso di peso dalle pagine di una serie di Avatar Press.

Mateus Santoluoco

Non ho idea del perché alla Image si sia pensato a un approccio così eclettico e sfaccettato. Per quanto il risultato sia gradevole, risulta del tutto slegato dall’andamento della trama. Potrebbe essere l’ennesimo richiamo a Warren Ellis, sebbene la sua Global Frequency – serie in 12 numeri del 2002 – giustificasse i cambi di disegnatore di numero in numero con l’essenza stand-alone di ogni singolo episodio. Qui non esiste nulla del genere. Nonostante i continui cambi di linea temporale la vicenda è omogenea e non particolarmente complessa. Probabilmente sono stati vincoli di tipo produttivo a spingere l’editore a questa scelta, ma questo non ci impedisce di dire che il risultato non sia stato certo il migliore possibile. Se tutto fosse stato affidato a Michael Walsh, il migliore del primo volume, Zero ne avrebbe guadagnato in maniera importante. A rafforzare questa ipotesi abbiamo la serie Secret Avengers, realizzata assieme a Kot nel 2013, una delle migliori e più atipiche run Marvel degli ultimi anni.

L’edizione italiana di Zero si esaurirà in quattro volumi, necessari a coprire i suoi diciotto numeri di lunghezza. Per ora abbiamo tra le mani un fumetto tanto derivativo quanto appassionante e deciso nel giocare con i generi e le suggestioni. Il colpo di scena finale traina con forza verso il prossimo volume e i presupposti per continuare a divertirsi ci sono tutti. Ci saranno violenza, macchinazioni, strane derive fantascientifiche e grandi colpi di scena. Oltre che disegnatori grandiosi e un Aleš Kot sempre più consapevole di essere uno dei migliori sceneggiatori del fumetto americano contemporaneo.

Zero
di Ales Kot e Aa. Vv.
traduzione di Michele Innocenti
saldaPress, settembre 2020
cartonato, 168 pp., colore
19,90 € (acquista online)

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