
Il primo lungometraggio da lui sceneggiato – The Show, di cui è stato presentato pochi giorni fa il trailer – esordirà oggi al Sitges Film Festival, così nei giorni scorsi Alan Moore ne ha approfittato per concedere una delle sue rare interviste al webmagazine americano Deadline, in cui si è parlato tanto del film, ma anche di fumetti e cinecomics. Ovviamente in termini per nulla accomondanti.
«Non sono più interessato ai fumetti, non voglio più averci a che fare» ha messo in chiaro fin da subito lo sceneggiatore di Watchmen e V for Vendetta. «Facevo fumetti da circa 40 anni, quando mi sono ritirato. Quando entrai nel settore, la grande attrattiva stava nel fatto che si trattava di un mezzo di comunicazione rozzo, creato per intrattenere la gente della classe operaia, in particolare i bambini. Il modo in cui il settore è cambiato, ora ci sono i “graphic novel”, che hanno prezzi da pubblico borghese. Non ho nulla contro la borghesia, ma il fumetto non è stato pensato per hobbisti di mezz’età. È stato pensato per persone che non hanno molti soldi.»
Moore – che si è ritirato definitivamente dal mondo del fumetto con la pubblicazione tra il 2018 e il 2019 di La lega degli straordinari gentlemen: La tempesta – si è preso però anche una parte della “responsabilità” per questo cambiamento di target: «È stato in gran parte il mio lavoro ad attirare un pubblico adulto, è stato il modo in cui è stato commercializzato dal settore del fumetto, c’erano decine di titoli di giornali che dicevano che il fumetto era “cresciuto”. Ma, a parte un paio di fumetti specifici, non era davvero così. Questa cosa avvenne negli anni Ottanta, con i graphic novel. La gente voleva continuare a leggere fumetti come aveva sempre fatto, e ora poteva farlo in pubblico sentendosi sofisticata perché non stava leggendo un fumetto da bambini e non veniva vista come subnormale».
«Ormai la maggior parte delle persone equipara i fumetti con i film di supereroi. Questo aggiunge per me un ulteriore livello di difficoltà» ha aggiunto Moore. «Non vedo film di supereroi dal primo Batman di Tim Burton. Hanno rovinato il cinema, e anche la cultura in generale. Diversi anni fa ho detto che pensavo fosse un segnale preoccupante che centinaia di migliaia di adulti facessero la fila per vedere personaggi creati 50 anni prima per intrattenere i dodicenni. Sembrava uno sfruttamento della volontà di fuga dalle complessità del mondo moderno e della nostalgia per l’infanzia. Mi sembrava pericoloso, sembrava un’infantilizzazione della popolazione.»
«Potrebbe essere stata solo una coincidenza, ma nel 2016, quando gli americani hanno eletto un satsuma nazionalsocialista e la Gran Bretagna ha votato per lasciare l’Unione Europea, sei dei dodici film con i maggiori incassi erano film di supereroi» ha poi fatto notare lo sceneggiatore. «Non voglio dire che una cosa abbia provocato l’altra, ma credo che siano entrambi sintomi dello stesso problema: un rifiuto della realtà e una brama di soluzioni semplicistiche e sensazionalistiche.»
Sulla situazione dei supereroi, la posizione di Moore è altrettanto netta: «Tutti questi personaggi sono stati rubati ai loro creatori originari, tutti. Hanno una lunga fila di fantasmi dietro di loro. Nel caso dei film Marvel, Jack Kirby. Non sono interessato ai supereroi, sono stati inventati a fine anni Trenta per i bambini e sono perfetti come intrattenimento per i bambini. Ma se cerchi di adattarli al mondo degli adulti, diventano in qualche modo grotteschi».
«Mi è stato detto che il film Joker non sarebbe esistito senza la mia storia del personaggio [Batman: The Killing Joke, Ndr], ma tre mesi dopo averla scritta io la ripudiai, perché era troppo violenta» ha ricordato lo sceneggiatore. «Si trattava di Batman, per amor di Dio, è un tipo vestito da pipistrello. Sono sempre più convinto che la migliore versione di Batman fosse quella di Adam West, che non si prendeva sul serio.»
Nonostante abbia smesso di scrivere fumetti, Moore non ha in ogni caso abbandonato il proprio lavoro: «Ho appena finito un libro di magia. L’ho un po’ messo in pausa, ma sto anche lavorando su un’opera su John Dee con [il musicista] Howard Gray. Ho qualche storia breve in uscita. E ho anche pensato molto a quello che faremo dopo The Show. Speriamo che sia godibile a se stante, ma in un certo senso può essere visto come in un episodio pilota incredibilmente elaborato, e pensiamo che nel film ci sia una storia piuttosto interessante da sviluppare come serie TV, che, molto fantasiosamente, si intitolerebbe The Show. Ho lavorato a circa quattro-cinque stagioni di potenziali episodi. Stiamo parlando con alcune persone per capire come procedere e, se ci fosse dell’interesse, io sarei pronto a lanciarmi. Non stiamo chiedendo tanti soldi, ma solo il controllo sul lavoro e la proprietà di esso. Se qualcuno volesse concedercelo, non avremmo problemi a rinunciare a una parte dei soldi».
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