
«Sono tre gli argomenti da evitare nelle conversazioni… Religione, politica e il Grande Cocomero». (Linus, Peanuts del 25 ottobre 1961)
Una delle caratteristiche che contraddistingue Linus van Pelt, oltre alla proverbiale coperta che si porta dietro, è la sua fede nel Great Pumpkin (“Grande Zucca”), un’entità che si presenta sui campi di zucche elargendo doni ai bambini credenti e buoni d’animo. Nominato per la prima volta in una striscia del 26 ottobre 1959, e tradotto in italiano con il termine “Grande Cocomero”, è una metafora delle speranze e delle delusioni incarnate dalla figura di Babbo Natale. Ogni anno, a Halloween, mente i suoi amici escono per il rituale di “dolcetto o scherzetto”, Linus aspetta il Grande Cocomero in un campo di zucche – un luogo che, secondo il bambino, è un simbolo di sincerità. Immancabilmente, Linus rimane deluso dall’assenza della creatura, che non è mai apparsa nei fumetti, nonostante, secondo Linus, sia stata avvistata su alcuni campi degli Stati Uniti.

Tutti i suoi amici, in particolare la sorella Lucy, tentano di convincerlo ad abbandonare quella che per loro è una sciocca credenza. Occasionalmente, qualcuno perora la sua causa, facendogli compagnia durante la notte di Halloween: Sally, la sorella di Charlie Brown innamorata di Linus, Marcie e Piperita Patty. Quest’ultima, in una storia degli anni Settanta, si unì a Linus dopo aver sentito che il Grande Cocomero avrebbe portato dei regali ai suoi fedeli. Ma quando confessò di aver chiesto un guantone da baseball, Linus andò su tutte le furie perché chiedere un regalo equivale a urtare la sensibilità del Grande Cocomero («Non si chiede un regalo, si aspetta qualsiasi cosa vorrà portare»). Patty fu così bandita dalla cerimonia, mentre Marcie, che scambiava sempre il nome del Grande Cocomero per altri ortaggi, dovette desistere su richiesta dei suoi genitori, i quali definirono Linus un falso profeta (e Sally pensò bene di portarlo a scuola come soggetto per il suo “mostra e racconta”).
Critici e commentatori hanno voluto vedere nel Grande Cocomero una riflessione sui dilemmi esistenziali dell’uomo, una satira dell’evangelismo cristiano (Linus, pur senza uno straccio di prove per dimostrare il suo credo, è impegno in ferventi proselitismi presso i suoi coetanei) o una critica verso chi non rispetta la fede altrui – perché Linus, nonostante le prese in giro, continua imperterrito nella sua opera di proselitismo, arrivando perfino a stampare una rivista a tema.
Secondo il critico Giulio C. Cuccolini, il culto del Grande Cocomero è «una ghiotta occasione pedagogica su cui Schulz ritorna annualmente per avvisare il lettore che il pericolo insito nel credere ciecamente è la facilità di cadere nel ridicolo. Il piccolo Linus con le sue isteriche manifestazioni di intolleranza e di cecità fideistica diventa motivo di riso, ma al contempo il suo comportamento è un esempio di come non si dovrebbe vivere un convincimento religioso per evitare di trasformarlo in una credenza superstiziosa, irrazionale e pregiudizievole».

Schulz era stato in gioventù un uomo religioso e, pur coltivando un lato spirituale della propria persona, da adulto si definiva un umanista secolare. Aveva particolarmente in odio la rappresentazione esplicita della religione nei fumetti, come accadeva in Dennis the Menace e Family Circus. Nel 1999 disse: «Non riesco proprio a sopportare tutte quelle smancerie nei confronti di Dio. Uno potrebbe prendersi il diabete solo leggendo quei fumetti».
In realtà, il significato dietro a questo Babbo Natale autunnale è molto più pragmatico. Quando il Grande Cocomero diventò il soggetto dello special televisivo del 1966 It’s the Great Pumpkin, Charlie Brown (in Italia Aspettando il Grande Cocomero, Charlie Brown!), Schulz ebbe modo di spiegare la visione del personaggio al regista Bill Melendez e al produttore Lee Mendelson. Durante una riunione per parlare della storia, riportata nel libro It’s the Great Pumpkin, Charlie Brown: The Making of a Television Classic, Schulz affermò che «ci sono centinaia di migliaia di bimbi poveri in questo mondo che sono fortunati a ricevere uno o due regali di Natale. E non hanno fatto altro che sentir parlare di tutti i doni che elargisce Babbo Natale. Dev’essere difficile per molte famiglie. E, quando un bambino finalmente capisce che non esiste Babbo Natale, si domanderà quante altre cose non veritiere gli sono state dette».
«Ora, potrei anche stare esagerando tutta la questione, e non è un problema così grande, immagino», continuò Schulz, «ma il Grande Cocomero è una satira nei confronti di Babbo Natale, perché Linus si aspetta dei regali. E quando il Grande Cocomero non arriva, Linus è affranto. È una dimostrazione che si può sopravvivere anche senza aver ottenuto ciò che desideravi… E continuare a provarci».

“Great Pumpkin” prese poi una vita tutta sua in Italia, dove fu tradotto come “Grande Cocomero” per colmare quello che, secondo i traduttori, era uno iato culturale tra Stati Uniti e Italia. Fu Bruno Cavallone a tradurre i primi quattro libri dei Peanuts per conto di Milano Libri. Quando poi Linus iniziò a pubblicare la striscia nel 1965, Bruno passò il compito al fratello Franco. Come avrebbe spiegato in seguito a Repubblica: «”Il grande cocomero”, “Era una notte buia e tempestosa” sono tutte frasi che ha inventato o adattato al gergo». Franco Cavallone invece non avrebbe mai chiarito mai nel dettagliò cosa lo spinse ad adattare “Great Pumpkin” in maniera così libera. È probabile che il traduttore cassò “Grande Zucca” perché preferiva un termine maschile che echeggiasse Babbo Natale. Dopo aver scartato “Grande Zuccone”, optò per un altro frutto tondeggiante e foneticamente più spiritoso.
Per Simona Bassano Di Tufillo, autrice di Piccola storia dei Peanuts, il nome Grande Cocomero sarebbe invece «un errore di traduzione voluto dai redattori della rivista Linus, giustificato con una presunta necessità di dare un genere maschile a qualcosa che fosse trascendente quanto Dio, Gesù e Babbo Natale (dimenticando che esistono la Madonna e la Befana)». Altri affermano che la scelta fu dovuta alla relativa oscurità di Halloween, una festa poco conosciuta nel nostro paese in quegli anni (anche se la tradizione di intagliare zucche nel periodo di Ognissanti era diffusa in alcune parti d’Italia, e comunque nei fumetti i personaggi continuano a parlare di Halloween, rendendo futile il divario dall’originale).

Ciononostante, l’espressione si è talmente radicata nell’immaginario comune da essere rimasta immutata nelle varie traduzioni. In Italia, “Il grande cocomero” indica un film di Francesca Archibugi basato sulle esperienze del neuropsichiatra Marco Lombardo Radice e poi un programma televisivo andato in onda nel 2014 e condotto – non a caso – dal deejay Linus.
Quando, negli anni Duemila, Andrea Toscani ritradusse i Peanuts in occasione dell’edizione italiana di The Complete Peanuts, mantenne il nome, premettendo in una nota che «dopo alcuni tentennamenti, abbiamo deciso di far sopravvivere anche noi questa bonaria divinità, ormai familiare a tanti appassionati italiani». I curatori spiegarono che «ai tempi delle prime edizioni di Peanuts in Italia (quando ancora la festa di Halloween, con “dolcetti o scherzetti” annessi, non era stata ufficialmente e consumisticamente adottata) si scelse un ortaggio più “mediterraneo”, simile per forma e dimensioni, ma dal suono più suggestivo».
Toscani ha spiegato a Fumettologica che inizialmente aveva cercato di riavvicinarsi all’originale, immaginando delle alternative più letterali, ma alla fine il peso culturale di “Grande Cocomero” prevalse sui propositi di fedeltà. Ciononostante, il traduttore utilizzò l’invenzione di Cavallone come base per altre scelte testuali che diedero maggior coerenza all’adattamento. In un paio di occasioni Linus si trova a scrivere quelli che in originale lui chiama “Pumpkin Cards” (la versione di Halloween dei biglietti di auguri natalizi): «Non ho resistito e giocando su “biglietti augurali” mi sono inventato i “biglietti anguriali”».
*Si ringrazia il Centro Fumetto “Andrea Pazienza” per la consulenza nella stesura dell’articolo.
Le ultime due immagini provengono da Il Post, che pubblica quotidianamente le strisce dei Peanuts
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