
Quando il 2020 si farà Storia, la pandemia sarà il tema prevalente. Ma quando qualcuno metterà insieme i pezzi per comporre un ritratto dell’annata dal punto di vista della storia del Fumetto, sarà bene che non sottovaluti un altro tema: le iniziative di sistema. Ovvero, la nascita in pochi mesi di varie organizzazioni di rappresentanza collettiva.
Per anni queste iniziative sono parse una questione poco interessante. Avendone parlato enne volte con autori, editori, giornalisti, librai, ho memoria delle reazioni di fronte a dibattiti del genere: la para-depressione di chi le riteneva una chimera; lo sprezzante scetticismo di chi le percepiva come una perdita di tempo; o le risate, proprio.
Eppure le alleanze tra segmenti del mondo produttivo e artistico sono, per chi si fosse sintonizzato solo ora (#manga #graphicnovel #gipi #zerocalcare #sio), uno dei motivi per i quali questo settore ha cumulato una storica debolezza in termini di credibilità pubblica. Gli exploit commerciali vanno e vengono, le mode pure; le prassi di lavoro evolvono, le dinamiche di mercato pure; eccetera. Vivere in un settore “liquido”, ovvero “invisibile” alle istituzioni e/o alle altre categorie del sistema produttivo, può diventare un problema. Lo ha dimostrato la pandemia. Ma a ben guardare di casini non ne sono mancati, negli ultimi anni: crisi delle edicole, leggi sul libro, avvento degli e-commerce, globalizzazione dei consumi e del lavoro, pirateria digitale… Unire le forze per definire, promuovere e sostenere obiettivi comuni a beneficio della filiera – un comportamento banale per i tanti settori che compongono l’industria culturale – dalle parti della Nona arte è stato spesso messo in fondo alle priorità.
Eppure, in questo 2020, nell’arco di pochi mesi sono nate in Italia ben tre organizzazioni che raggruppano componenti importanti del settore creativo ed economico che è il fumetto. MeFu riunisce gli autori e i professionisti creativi, Moleste le autrici e altre professionalità, RIFF i festival. Quest’ultima è una vera e propria associazione di categoria, una persona giuridica dotata di statuto e organi sociali, mentre gli altri due sono gruppi al momento privi di strutture formali riconosciute giuridicamente (ma il cantiere per trasformare MeFu in associazione costituita è in corso: in bocca al lupo).
Va dato atto che, dal 2017, un ruolo pionieristico lo ha svolto una porzione di mondo fumettistico spesso marginalizzato: le librerie specializzate, le “fumetterie”. Ai fondatori di ALF – Associazione Librerie del Fumetto – eredi della precedente AFuI, nata nel 2007 e idealmente confluita in ALF – vanno riconosciute grande forza di volontà e generosità, nonostante i limiti strutturali (le librerie sono aziende spesso molto piccole), organizzativi e comunicativi. Ma il fatto che ALF abbia partecipato nel 2019 alle audizioni presso la Camera dei Deputati sulla riforma della legge del libro, è un’importante tessera del più ampio puzzle dentro a cui il settore si muove. E ci sono anche le attenuanti: il dialogo tra le parti è difficile, se le controparti non hanno organizzazioni collettive. ALF è una specie di “fratello maggiore” di RIFF, MeFu, Moleste, e sono certo che dal 2020 in poi, le occasioni di confronto e lavoro con i librai aumenteranno.
Facciamo una veloce sintesi del 2020, allora. La prima indagine sulla condizione lavorativa ed economica dei fumettisti, condotta da MeFu, ha acceso riflettori mai puntati in passato sulla filiera creativa. Lo stesso si può dire per l’indagine, piccola ma ben fatta, sulle condizioni di lavoro dei traduttori di manga. E poi c’è l’accordo stabilito da RIFF con il Ministero dei beni culturali che, a tutti gli effetti, è un fatto storico. Proprio all’inizio dell’anno, peraltro, lo stesso Ministero aveva istituito un Tavolo tecnico sul fumetto, per avviare un dialogo su temi attinenti alle attività delle Biblioteche nazionali. Risultato: il Ministro attualmente in carica ha ricevuto un’organizzazione di rappresentanza collettiva nel campo del fumetto, RIFF. Pensa un po’.
«Eh, ma la politica, cosa vuoi che faccia…», mi hanno detto in tutta onestà una manciata di autori/autrici sentiti in questi giorni. La risposta che mi pare possibile dare è, in verità, semplice: 1) il MiBACT ha deciso di stanziare fondi per il fumetto, non parole, e poi 2) il dialogo con il governo è essenziale, ma serve anche altro.
Serve allora estendere il dialogo con il Parlamento: sulle leggi per il libro ma anche per il diritto d’autore, per la fiscalità, per le politiche sul lavoro e relativi inquadramenti legali e welfare, per i pezzi del mercato ‘invisibili’ (esempio: le tavole originali, diciamolo, sono una tipologia di opere d’arte ormai uscita dal Far West, ma priva di un quadro normativo chiaro).
E serve allargare il dialogo alle altre associazioni di categoria dei più disparati ambiti economici e sociali che il fumetto intreccia: dagli autori stessi (in Francia, il discusso Rapporto Racine, che ha elaborato proposte di intervento a favore degli autori su mandato del Ministro della Cultura, ha dialogato con una quantità persino eccessiva – come mi ha testimoniato lo stesso Bruno Racine – di associazioni di autori) alle Fiere (Lucca Crea, altra novità recente, è diventata socio di AEFI), alle federazioni di festival culturali di altri settori, alle associazioni imprenditoriali di settore come librerie o editori (penso ad AIE e AEDI, di cui sono soci ancora pochi editori di fumetto, impegnati peraltro su pochi tavoli di lavoro).
All’insegna del disinteresse o della protervia – alla “so io cosa serve al Fumetto” – decenni di opportunità potrebbero essere già andati in fumo, rallentando la maturazione del settore in termini di identità culturale, forza economica, qualità professionale, attrattività per i talenti. Oppure no: il Fumetto è stato lento a fare squadra, ma è nelle condizioni di recuperare il tempo perduto. Se saprà fare buon uso delle nuove organizzazioni comuni di rappresentanza, naturalmente.
Sembra una vita fa quando, nel 2004, un editorialista scriveva sulle pagine di Fumo di China «“fare sistema”: discorsi che “non attirano” l’imprenditoria del fumetto nostrano» (ero io). Essere testimone di un cambiamento del genere, sono sincero, mi fa ben sperare per gli anni a venire: c’è il rischio che il Fumetto ne esca più forte. Ma occhio: assumersi questo rischio sarà una faticaccia. Collettiva.
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