
Liv Strömquist da ragazza sognava di diventare scrittrice. Tuttavia le parole, da sole, erano inadeguate a esprimere ciò che aveva da dire. Liv è nata il 3 febbraio del 1978 a Lund ed è cresciuta a Ravlunda, nel sud della Svezia. Iniziò a disegnare fumetti per divertire gli amici quando aveva 7 o 8 anni. Dopo la Laurea in Scienze Politiche si dedicò alle tematiche sociali, alle politiche sull’immigrazione e in particolare alla condizione della donna. La sua ambizione era scrivere libri che parlassero di questi temi, ma sentiva che la scrittura non era lo strumento adatto per farlo. A 23 anni, un coinquilino fumettista le suggerì di associare il disegno e la scrittura, così Strömquist, che disegnava fin da bambina, riuscì a far sbocciare la propria creatività.
Il disegno divenne per lei uno strumento di comunicazione spontaneo, specie nella formazione della sua coscienza critica, tanto da indurla a farne una professione: a partire dal suo primo albo a fumetti, Hundred Percent Fat pubblicato da Ordfront Galago nel 2005, una raccolta di storie brevi in cui iniziò ad affrontare questioni sociali, relazioni tra i sessi, femminismo e politica. Pur ottenendo un grande successo, Hundred Percent Fat, che conteneva un messaggio femminista e critico verso le norme educative le attirò anche dissenso, non soltanto per i contenuti anticonvenzionali, ma anche per la semplicità stilistica del disegno e per l’umorismo con cui era solita esprimere le sue argomentazioni.

Nello stesso anno, Strömquist fu moderatrice per l’emittente radiofonica giovanile Sveriges Radio P3 e per due programmi satirici. Col tempo la sua fama di autrice impegnata nel sociale è cresciuta: in patria ha vinto svariati premi (Premio Satira “Ankam” 2011, Premio Adamson 2012 come “miglior fumettista svedese”) e le sue pubblicazioni sono state tradotte in vari paesi, tra cui l’Italia. Il suo lavoro più vecchio pubblicato in Italia è I sentimenti del principe Carlo, uscito in Svezia nel 2010 e tradotto nel nostro paese da Fandango Libri nel 2018. Il libro si presenta come «uno studio sociologico e storico sull’economia emotiva nelle relazioni eterosessuali». Il titolo prendeva spunto da una risposta del principe Carlo nella conferenza stampa che seguì l’annuncio del fidanzamento con Diana. Alla domanda se fosse innamorato, Carlo rimase esitante, poi disse: «Sì, qualunque sia il significato della parola amore».
Nel libro, Liv Strömquist affronta un argomento che coinvolge tutti, l’amore e le relazioni fra uomo e donna, e lo fa in modo diretto e spudorato per mostrarci una prospettiva differente rispetto alle dinamiche in cui siamo immersi e alle quali siamo assuefatti. Tramite le storie di personaggi noti, in cui tutti in qualche modo possiamo riconoscerci, l’autrice ci spiega come la società in cui viviamo produce degli stereotipi di genere che a partire dall’immaginario determinano il nostro comportamento. Così, gli uomini sono indotti a nascondere le proprie emozioni, per mostrarsi forti e indipendenti, e le donne a essere comprensive e orientate verso la cura dell’altro.

Per Strömquist, amore è una parola dal significato sfuggente, difficile da comprendere, un’esperienza universale, un sentimento che nel tempo è declinato e gestito in modalità diverse dai singoli ma anche dalla società. Oggi, che il diritto di proprietà erotica sia collegato all’amore ci sembra del tutto naturale, ma l’autrice ci dimostra che, a ben pensarci, anch’esso è un costrutto fondato su stereotipi e dettato da un’idea completamente irrazionale di relazione sociale. Infatti, ci dice Strömquist, quando una relazione sentimentale si consolida, e le emozioni connesse all’amore e alla gelosia diminuiscono d’intensità, ci si dedica ad altre tipologie di proprietà: come avere dei figli, oppure arredare casa. Sviscerando questo concetto, l’autrice, in veste di personaggio all’interno del suo dispositivo/fumetto, smonta l’idea di amore romantico così come lo intendiamo oggi e inoltre sottolinea la differenza tra amore e dipendenza.
Con I sentimenti del principe Carlo l’autrice pose le basi per altri temi che avrebbe sviluppato nei lavori seguenti: la visione e l’immaginario del corpo della donna (Il frutto della conoscenza, 2014, in Italia Fandango Libri, 2017), la cura e le risorse che le donne dedicano all’uomo e i motivi sociologici della loro bassa autostima (I’m Every Woman, 2018, Fandango Libri, 2019), l’amore come prodotto di consumo e le difficoltà nell’innamorarsi (La rosa rossa si schiude, 2019, Fandango Libri, 2020).

Con Il frutto della conoscenza, Liv Strömquist racconta la visione del corpo femminile dal punto di vista storico, affronta secoli di pregiudizi e di oppressione sessuale. In copertina è presente la stessa disegnatrice che reinterpreta una performance del 1968 dell’artista austriaca Valie Export, antesignana del movimento femminista, poi ripresa nel 2005 da Marina Abramovic: “Aktionshose: Genitalpanik”, una serie di irruzioni in diversi cinema europei, imbracciando un mitra e indossando jeans con una grande apertura sul pube. Il frutto della conoscenza è costruito come una lunga presentazione tenuta da un narratore/personaggio (identificabile con l’autrice stessa) sul perché, dalla notte dei tempi, l’organo sessuale femminile abbia sempre suscitato interesse e curiosità.
Un lungo viaggio tra diverse epoche storiche alla scoperta di come la cultura e la scienza abbiano influenzato la visione della sessualità femminile e di conseguenza l’immagine della donna. Si parte dai popoli dell’antichità, quando l’organo femminile era considerato sacro e adorato, per poi passare alla differente concezione del Medioevo, in cui era percepito come qualcosa di sporco e diabolico. L’autrice spiega che il cambiamento di pensiero avvenne quando le religioni basate sul culto della fertilità furono sostituite dalle religioni monoteiste, nelle quali esistevano solo divinità maschili, la donna era relegata al ruolo di vergine-madre e la sessualità diventava una cosa sporca. Sul finire dell’Ottocento, lo sviluppo delle scienze andò a scalfire vecchie credenze religiose, e la medicina cominciò ad occuparsi più nel dettaglio del corpo, in particolare del sesso femminile.

Influenzata dalle teorie di Foucault sul biopotere, Strömquist spiega che la visione moderna dell’identità di genere è fortemente correlata alla biologia. L’autrice riesce a parlare di sessualità, mestruazioni e molto altro con irriverenza ma anche rispetto per il corpo. Infrange tanti tabù e pregiudizi grazie alla documentazione e alla ricerca delle fonti. Cita filosofi, sociologi e aneddoti storici ma anche semplici episodi di vita quotidiana, per rendere chiari i concetti che sono sotto i nostri occhi e di cui spesso non siamo consapevoli. L’obiettivo di Strömquist è di infrangere il silenzio sul corpo delle donne e sulle loro vite all’interno della società di appartenenza. Perché, se una cosa non viene nominata, non viene vista: non esiste.
Il disegno serve per chiarire e semplificare i concetti che vuole esprimere. La tavola per l’autrice diventa lo spazio per rielaborare il quotidiano, il luogo per osservare la realtà e, tramite il disegno, aiutare il lettore nella comprensione della “questione femminile”. Anche in rapporto ai condizionamenti derivanti dal passato e dalle vetuste morali sulla famiglia e sul sesso, di cui ci illudiamo di esserci liberati. Il tratto è semplice, istintivo e di immediata percezione, l’uso del bianco e nero è intervallato a un cromatismo irreale e vivace, e per certi tratti anche infantile. L’autrice lavora non solo sul piano visivo ma anche linguistico per dimostrare come la lingua influisca sulla percezione delle donne. Il linguaggio, con le sue regole, influenza e modella la conoscenza della realtà, dato che la lingua è soprattutto relazione e comunicazione tra individui. Come afferma la socio-linguista Vera Gheno: il femminismo è nelle parole.

I’m Every Woman, composto quando l’autrice aveva solo 20 anni, richiama nel titolo una celebre frase attribuita a Virginia Woolf («Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna») e contiene una rassegna di figure femminili rimaste all’ombra dei mariti famosi, pur avendo contribuito al loro successo. Nella classifica dei “I fidanzati più provocanti della storia” scopriamo che Jenny, la moglie di Karl Marx, oltre a essere frequentemente tradita dal marito, fu una grande pensatrice politica e diede un enorme contributo al marxismo. Fu coautrice del Manifesto del Partito comunista, anche se in pochi lo sanno. E forse pochi sanno che la teoria della relatività, attribuita solo ad Albert Einstein, in realtà deve la sua scoperta anche alla moglie, Mileva Maric, una matematica serba che studiava fisica teorica insieme a lui al Politecnico Federale di Zurigo. Poi Einstein si innamorò di sua cugina e per lei abbandonò moglie e figli. Da allora non nominò mai Mileva e negò anche il fatto che le scoperte fondamentali le avessero fatte insieme, fino ad affermare cose tipo: «Le donne non sono fatte per il pensiero astratto».
Parlando di parità di genere, l’autrice constata che oggi il concetto è diventato sinonimo di «lo stesso numero di uomini e donne in ogni luogo di lavoro» ma in alcuni ambiti, come quello politico, si tratta solo di cariche di rappresentanze di genere. Dal punto di vista biologico, la società non diventerebbe più dolce e umana se ci fossero più donne in posizione di potere. Per questo cita Margaret Thatcher, l’ex primo ministro britannico, considerata la “lady di ferro”, colei che distrusse ogni forma di welfare sociale per la classe operaia inglese.

Strömquist spiega come il mito dell’amore porti le donne a credere che solo in un rapporto di coppia potranno essere felici e sentirsi sicure di loro stesse, citando Toni Morrison: «L’idea dell’amore romantico è una delle più distruttive nella storia del pensiero umano». L’autrice prende ad esempio la storia di Priscilla Presley, moglie di Elvis, conosciuto quando lei aveva solo 14 anni e lui 25 . Priscilla fu plasmata a piacimento da Elvis per ben 7 anni, appena sposata rimase subito incinta e fu costretta a seguire una dieta rigidissima per non lasciarsi andare, come sosteneva il marito. Ciò nonostante, Elvis perse interesse per lei e per il figlio, finché dopo 12 anni Priscilla comprese che era stata accecata dalla loro relazione e decise di lasciarlo.
La rosa più rossa si schiude è l’ultimo lavoro finora di Strömquist, pubblicato nel 2019 in Svezia e a luglio del 2020 in Italia. Il titolo riprende il frammento di una poesia di Hilda Doolittle, di cui scopriamo l’istantaneo innamoramento (non corrisposto) per il giovane giornalista Lionel Durand, avvenuto mentre lei, a 74 anni, era ricoverata in ospedale. Hilda era “caduta in amore” – l’espressione inglese “Fall in love” denota bene quel che accade quando ci si innamora, ossia si cade, si scivola in un nuovo stato. Strömquist torna a parlare d’amore partendo dal gossip e chiedendosi come mai Leonardo DiCaprio abbia avuto svariate relazioni con modelle bellissime senza mai innamorarsene, anzi chiudendo tutte le relazioni in modo analogo, “da buoni amici”.

Grazie a riferimenti filosofici e sociologici, l’autrice demolisce con ironia la trappola del self-empowerment, del fare sempre meglio, del diventare la versione migliore di noi stessi, trovare una persona migliore con la quale non litigare mai e che sia esattamente come desideriamo. Oggi la ricerca dell’amore non è finalizzata a conoscere qualcun altro, a perdersi nell’altro in modo irrazionale, a dimenticare se stessi nell’altro sé. Al contrario, oggi l’amore serve a trovare attraverso gli altri una conferma del nostro valore come esseri umani. L’amore è soggetto alle stesse logiche dell’economia capitalista, l’oggetto d’amore è la voce di un catalogo di svariati oggetti a disposizione, alla quale chiediamo di essere perfetta e impeccabile. Nella società contemporanea l’altro è stato privato del suo essere altro.
Attraverso il suo lavoro, Strömquist ci invita a liberarci dai condizionamenti sociali e culturali che la società ci impone. Il suo approccio femminista non si limita a parlare alle donne, ma offre un punto di vista per tutti coloro che vogliono guardare il mondo senza pregiudizi, liberandosi da abitudini talmente consolidate da essere diventate invisibili. Sarebbe sbagliato catalogare il suo lavoro come fumetto femminile che parla solo alle donne. La sua narrazione ironica e profonda riflette sul passato per definire un ideale di convivenza più aperto e sereno: perché il femminismo non è semplicemente una storia del passato, ma continua a interrogarci ancora oggi su quello che siamo, come esseri umani.
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