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Disegnare “Aldobrando”. Intervista a Luigi Critone

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Luigi Critone è un fumettista italiano che vive a Parigi e lavora per il mercato francese. Oltralpe ha pubblicato da autore unico la serie Je, Françoise Villon, ispirata al poeta francese vissuto nel 1400 ed edita da Delcourt, e più di recente ha sostituito Enrico Marini come disegnatore della serie Lo scorpione, su testi di Stephen Desberg. Nel frattempo, ha curato i disegni di Aldobrando, nato come spin-off a fumetti di Bruti, il gioco di carte di ambientazione fantasy lanciato nel 2015 da Gianni “Gipi” Pacinotti. Il libro è stato pubblicato in Francia da Casterman a inizio 2020, per poi arrivare in queste settimane in Italia per Coconino Press.

L’autore di Appunti per una storia di guerra e Momenti straordinari con applausi finti – nel realizzare una storia di ambientazione non contemporanea – ha voluto affidare la propria sceneggiatura a Critone, che ha così fatto il suo ritorno sul mercato italiano ad alcuni anni di distanza dalle sue prime autoproduzioni.

Avventura picaresca del giovane eroe eponimo – molto distante dagli stereotipi di genere – Aldobrando si muove tra gli scenari medievali di Bruti e i toni da commedia de L’armata Brancaleone di Monicelli per raccontare una vera e propria storia di formazione. Abbiamo approfittato dell’uscita italiana del libro per rivolgere alcune domande a Critone, sull’esperienza di Aldobrando e sul suo lavoro in generale.

Come è nata la collaborazione con Gipi?

Con Gianni ci conosciamo da tempo, lui ha vissuto per un periodo a Parigi, ma lo conoscevo già da prima, da quando lavoravo a Firenze. La sua proposta di disegnare Aldobrando è arrivata inaspettata, proprio mentre stavo finendo il progetto precedente, la biografia di François Villon. Mi aveva sempre detto che non sarebbe mai riuscito a lavorare con un altro disegnatore, quindi mi ha decisamente sorpreso.

Abbiamo iniziato a parlarne, mi ha spiegato la situazione del gioco [Bruti ndr], che io già conoscevo, e poi abbiamo cercato un editore. Almeno per la Francia – che poi sarebbe stato Casterman – perché per l’Italia eravamo abbastanza sicuri che sarebbe stato Coconino. Così ho iniziato a lavorarci, circa a fine 2016.

Non è stata la prima volta che hai lavorato su un fumetto di ambientazione medievale, c’è qualcosa che ti affascina di questo tipo di scenari?

In realtà non è proprio una scelta, ma è legato al fatto che, quando inizi a fare un certo tipo di fumetto, poi le proposte tendono a somigliarsi. Il mio primo fumetto per la Francia era ambientato nel Seicento, e poi c’è stato Sette missionari che era ambientato nell’Alto Medioevo. Credo che mi propongano questo tipo di fumetti a causa del mio stile di disegno, che deriva dal periodo in cui ho lavorato per uno studio di illustrazione di Firenze, dove lavoravamo soprattutto su illustrazioni di storia, per l’editoria o i musei.

Probabilmente ho uno stile di disegno che si presta bene a queste ambientazioni. Per quelle medievali c’è forse bisogno di uno stile più organico rispetto a un fumetto ambientato al giorno d’oggi. Io per esempio uso molto molto di rado riga e squadra. È un tipo di disegno che di certo finisce per corrispondermi, ma non è una vera e propria preferenza. Mi va bene così, però mi piacerebbe fare anche qualcosa di diverso dal fumetto storico. Mi ritrovo un po’ su questa linea, ma non è per scelta, non è un periodo storico che mi piace più degli altri.

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Al di là di Bruti, sei un appassionato o perlomeno conoscitore di fantasy e giochi di ruolo o di carte?

No, per niente, a differenza di Gianni. Tra l’altro ho giocato con lui a Bruti e sono davvero parecchio scarso. Mi affascina la possibilità di poter disegnare quel tipo di ambientazioni, perché è molto divertente, però non sono appassionato di fantasy né tantomeno di giochi di ruolo, a differenza di Gianni che è stato un grande giocatore. Anzi, penso che giochi ancora.

Credo che questo si noti in Aldobrando. Forse un vero appassionato di fantasy l’avrebbe disegnato in modo diverso, con costumi e ambientazioni più barocche, più cariche. A me, quello che piaceva di questa ambientazione “fantasy” era proprio il suo essere terra-terra. Alla fine quello che vediamo succedere – a partire dalle avventure di Aldobrando – è tutto molto reale. Non ci sono mai interventi sovrannaturali o situazioni misteriose, i personaggi hanno problemi molto reali, e questa cosa mi piace. Aldobrando è stato definito come un fantasy per comodità, io lo avvicino più a qualcosa come L’armata Brancaleone, ovvero una commedia storica.

Nella storia, in effetti, anche quando c’è, l’azione non si vede. E lo stesso si può dire per gli elementi più classici del fantasy e della magia. Ci sono solo alcuni accenni, ma tutto quello che è mostrato è ridotto a un alveo molto quotidiano, alla fine. Come siete giunti a questa scelta?

Per quanto riguarda la magia era già così nella sceneggiatura iniziale e, come ti dicevo, mi stava benissimo. Questo mi ha portato a fare delle scelte di regia precise, per esempio di avere per la quasi totalità del libro una specie di camera a spalla, cioè un’inquadratura all’altezza dei personaggi. Perché dalla sceneggiatura di Gianni sapevo che non c’era una ricerca del meraviglioso, ma qualcosa di molto più terreno.

Per l’azione invece è stata una scelta anche un po’ mia. Gianni mi ha dato una sceneggiatura cinematografica, non vignetta per vignetta, e poi io ho fatto uno storyboard che abbiamo riguardato insieme. Quindi molte delle scelte di messa in pagina e di ritmo sono mie.

Nella scena della Fossa, per esempio, dove c’era l’occasione di fare una bella scena in cui inserire un po’ di mazzate, ho deciso di non far vedere quasi nulla. A dire la verità avevo un po’ di dubbi su come i lettori avrebbero reagito a questo anticlimax, e penso soprattutto ai giocatori di Bruti, che è un gioco di combattimenti. È stata una scelta per me naturale, però avevo davvero paura che potesse essere deludente per i lettori. Quando Gianni l’ha vista, però, me l’ha approvata subito.

Alla fine questa è una delle caratteristiche del libro di cui vado più fiero. Nonostante non siamo andati incontro al lettore in modo prevedibile, i responsi sono stati positivi. Lo stesso Aldobrando non è certamente il classico eroe bello e forte, e un libro che fa a meno di tutte queste caratteristiche da grande pubblico, ma alla fine trova comunque i suoi lettori, per me ha una valenza molto importante.

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Posted by Luigi Critone on Sunday, February 23, 2020

Tu in ogni caso hai lavorato in una sorta di confort zone, mentre Gipi è noto per tutt’altro tipo di lavori. Com’è stato il suo approccio al fumetto?

All’inizio sono rimasto sorpreso dal fatto che lui sia riuscito ad adattarsi così bene a questo modo di lavorare, che non gli è famigliare. Ancora prima di iniziare, c’era un po’ di preoccupazione per il fatto che Gianni era un disegnatore, e non uno fra i tanti. Ma anche per il fatto che di norma era un autore unico. Questo poteva fare un po’ spaventare, ma la paura si è dissipata appena abbiamo iniziato a lavorare insieme, perché in modo molto fluido e immediato abbiamo trovato un metodo di lavorazione funzionale: la sceneggiatura era il suo campo, lo storyboard era il terreno comune, il disegno era in mano mia.

Gianni mi ha lasciato completamente carta bianca, e non deve essere stato facile. Ma lui sa bene che per un disegnatore sentirsi libero di appropriarsi del libro e di farlo come vuole è fondamentale, è per me è stato così. All’inizio mi sono posto qualche dubbio e abbiamo anche discusso di scelte di regia generali, dopodiché io sono andato avanti in modo del tutto libero e spontaneo, e questo secondo me si nota nella lettura del libro, che ho cercato di rendere il più scorrevole possibile, per tutte le sue circa 200 pagine.

Quindi tutti i dubbi che ci potevano essere all’inizio si sono rivelati infondati, forse anche perché con Gianni ci conosciamo da tempo. Io adoro il lavoro di Gianni, ma il fatto di avere un rapporto più personale con lui mi ha consentito di essere meno intimidito dall’idea di “fare un libro con Gipi”. Che non è uno scherzo, per un disegnatore è una grossa responsabilità ma anche un privilegio.

Aspettavo infatti l’uscita italiana di Aldobrando perché mi faceva molto piacere tornare professionalmente in Italia, e farlo in questo modo significa entrare dalla porta principale, perché ho il mio nome accanto a quello di Gipi in copertina. Ho cercato di sfruttare al meglio l’occasione, e devo dire che sono piuttosto soddisfatto, credo che questo sia finora il libro in cui mi sono espresso meglio a livello di disegno.

In che modo hai lavorato al character design? Ti sei posto dei punti di riferimento precisi da cui partire per il lavoro?

In realtà alcuni personaggi, come Sir Gennaro, l’Ucciditore e Boccamarcia, erano già presenti nel gioco, quindi io ho realizzato la mia versione basandomi su quella di Gianni. Per gli altri ho fatto come faccio di solito: parto dalla documentazione storica. In questo caso, però, essendo un fumetto in cui potevo finalmente “esagerare”, modificando i costumi e reinventandoli, mi sono divertito a farlo, sottolineando in questo modo l’aspetto da commedia del fumetto.

Il personaggio di Aldobrando è venuto fuori molto facilmente, mentre il più difficile è stato quello della Principessa. È stato complicato lavorare al suo aspetto fisico, perché è un personaggio particolare: all’inizio fragile come la tipica principessa prigioniera, ma poi nell’arco della storia si evolve, mostrandosi sveglia e di carattere.

Non ho guardato molte robe fantasy, perché non ho quella formazione, e quindi, rispetto a un disegnatore più specializzato, penso di aver realizzato una versione più sobria sia dei costumi che delle scenografie. A proposito di scenografie, la Fossa era già stata disegnata, anche se non era apparsa da nessuna parte. Io l’ho rifatta e mi sono creato anche un modellino 3D – che è una cosa davvero molto utile per un disegnatore – e l’ho usato per dare un aspetto più coerente alla scena in cui compare, che dura circa 30 pagine.

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Tu e i coloristi avete fatto un lavoro molto scrupoloso sulle scenografie completandovi a vicenda e dando molto calore alla storia, anche in presenza di scene che farebbero pensare a tutt’altro come quella con la neve, per esempio. Come avete collaborato nella scelta delle tonalità e dei colori da usare di volta in volta?

Abbiamo usato una tecnica derivata in parte dal lavoro per le carte da gioco di Bruti e in parte dal mio lavoro per il libro su Villon. Io ho fatto un acquarello monocromatico e i coloristi hanno lavorato su questa base, cambiando o aggiungendo colori. Questa tecnica consente un’integrazione molto forte fra disegno e colori.

Tutti e due i coloristi sono stati bravissimi, nella maggior parte dei casi non c’è stato bisogno di interventi né da parte mia né da parte di Gianni, in altri ci sono state discussioni per rendere un’atmosfera in un modo anziché in un altro. All’inizio c’era solo Francesco Daniele, poi è arrivata anche Claudia Palescandolo, ma, nel complesso, il lavoro è risultato molto fluido. Entrambi i coloristi sono tra l’altro stati molto capaci di coordinarsi pur lavorando su pagine diverse. Non si nota alcuna differenza.

Pensi che potrà esserci un seguito di questa avventura, sia per Aldobrando che per te e Gipi?

Per il momento non c’è nulla in programma. Un giorno effettivamente potremmo dare un seguito alla storia di Aldobrando o fare qualcos’altro, ma è difficile da dire ora. A me di certo piacerebbe lavorare di nuovo con Gianni, perché è stata un’esperienza molto appassionante da tutti i punti di vista.

Leggi anche: Come disegna Luigi Critone

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