La provincia, nostro malgrado. “Padovaland” di Miguel Vila

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La provincia in Italia è tutta uguale. Ci piace compiacerci delle piccole o grandi città in cui cresciamo studiamo lavoriamo, ma la verità che non riusciamo mai a tagliare il cordone ombelicale che ci lega al posto in cui siamo nati e abbiamo coltivato la nostra noia, la nostra idea di andarcene via. Veniamo dalla provincia e in provincia ritorneremo. In particolare, l’area che sta tra le province di Padova, Treviso e Venezia, quello spazio che dalla seconda metà dello scorso secolo ha visto lo svilupparsi di quel fenomeno economico e produttivo noto come “miracolo del Nord-Est”, potrebbe essere rappresentato come un unico conglomerato urbanistico, una megalopoli (o l’idea di una megalopoli) alla stregua di Los Angeles.

Una distesa di villette a schiera dagli ampi giardini, larghe strade multicorsie, distretti industriali e commerciali coloratissimi, immersi nel verde, illuminati dalle luci al neon. Spazi immensi di aiuole e asfalto nei quali muoversi rigorosamente in macchina, o al più in bicicletta, nelle stagioni che lo consentono. Spazi che definiscono le vite di chi ci nasce e specialmente di chi suo malgrado (perché nell’adolescenza, è sempre un vivere “malgrado”) è costretto a viverci. Questa è Padovaland. Una megalopoli potenziale, un parco senza divertimenti, una ipotesi tardiva di Los Angeles.

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L’esordio di Miguel Vila per Canicola Edizioni (uscito quasi in contemporanea a un altro ritratto della provincia veneta, Malibu di Eliana Albertini, BeccoGiallo) coglie perfettamente quella sensazione di “malgrado” della provincia: le feste, le bevute, il sesso, Netflix, i social network, gli studi, i rapporti complicati tra persone costrette a convivere nello stesso spazio, quel cercarsi e rifiutarsi che dipende dal fatto che non hai alternative.

Irene, detta Ire, ha scelto di prendersi un anno sabbatico dall’Università e lavora come cassiera in un centro commerciale. Si è da poco lasciata col fidanzato e ha iniziato a frequentare un collega più vecchio di lui, che adora le sue grandi tette ma è anche capace di ascoltarla – persino, forse, di capirla. Il fratello di Irene, Fabio, si è preso una cotta per un’amica, Catia, della quale appena può si mette a guardare i selfie sexy sui social. Giulia, fotografa appassionata, si sta laureando con una tesi sulle architetture della provincia veneta, e passa il tempo a cercare immagini di depositi d’acqua o dei fumaioli delle villette a schiera che vengono regolarmente rifiutate dal relatore perché fuori contesto. Ma forse è proprio questa assenza di contesto che caratterizza la provincia, non solo quella veneta.

Le ville di Palladio sono chiuse al pubblico, la provincia veneta potrebbe trovarsi ovunque, gli spazi sono tutti tristemente omologati come le vite delle persone al loro interno, intrappolate in una quotidianità già scritta e sempre sul punto di esondare. Si coglie una cattiveria di fondo che avvicina questo lavoro a un altro racconto di periferia, in quel caso romana, il film Favolacce dei fratelli D’Innocenzo: in entrambe le storie, troviamo un disagio che cresce sotto le parvenze di una normalità borghese forzata e bugiarda, fino a esplodere in situazioni che parrebbero sopra le righe, se non fossero smentite da una realtà – basta seguire le notizie di cronaca – capace di superare ogni più improbabile fantasia.

L’umanità crudele e sottilmente violenta ritratta da Miguel Vila ricorda per certi versi il caustico pessimismo di Tiziano Sclavi (altro grande conoscitore degli incubi della provincia, nel suo caso pavese, trasposti nella nebbiosa Londra di Dylan Dog) miscelato con lo sguardo un po’ cinico di un Daniel Clowes o, per citare un autore stilisticamente molto affine a Vila, Nick Drnaso con il suo Sabrina. Per non parlare del conterraneo Paolo Bacilieri, che già aveva raccontato, in Durasagra – Venezia Uber Alles e SuperMaso Attitude, lo stesso spaesato livore per un territorio – provincia metafora del mondo – violato e irriconoscibile, coperto di spazzatura, nella vana ricerca di un nuovo “canone di bellezza”. 

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Venti anni dopo, Miguel Vila ritrae quello stesso spazio irriconoscibile e lo carica di colori pastello e vignette senza bordo. Il suo segno ricco e corposo – date un’occhiata al suo profilo Instagram – si alleggerisce in funzione della narrazione, focalizzandosi sull’espressività dei volti e dei corpi, e lasciando agli spazi la guida del racconto. Il suo lavoro intercetta le vite di questi ventenni spaesati, chiedendo a se stesso e a noi se possono ancora rappresentare qualcosa o sono semplicemente figure fuori contesto, estranee al paesaggio come depositi dell’acqua, o fumaioli che spuntano dalle villette a schiera.

Padovaland
di Miguel Vila
Canicola Edizioni, novembre 2020
brossura, 156 pp., colore
18,00 € (acquista online)

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