Le 10 migliori serie a fumetti del 2020

Dopo la nostra selezione dei migliori fumetti classici pubblicati nel 2020 in Italia, nel riepilogare il meglio di quest’anno ormai prossimo alla conclusione, spostiamo la nostra attenzione verso i migliori fumetti seriali. Sono tutte serie che cercano di essere originali, o nella materia del racconto, o nel modo in cui mettono su carta vicende e personaggi di lungo corso.

È una selezione nella quale dominano gli americani (come non succedeva da un po’ di anni), grazie a qualche rilancio riuscito e ad alcuni importanti recuperi di recenti serie indipendenti, e i francesi, che mostrano una ripresa nel mondo del fumetto seriale con diversi prodotti interessanti, dopo qualche anno più opaco. A completare la selezione non mancano i giapponesi – tra novità fondamentali e conferme importanti – e una serie di un giovane autore italiano proveniente dal mondo dell’autoproduzione, che ha sorpreso tutta la redazione per la sua già grande maturità.

L’ombra venuta dal tempo 1-2, di Gou Tanabe (J-Pop)

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L’ombra venuta dal tempo – vincitore l’anno scorso al Festival d’Angoulême nella categoria miglior serie – è il più recente nella serie di adattamenti di racconti di H.P. Lovecraft realizzati dal fumettista giapponese Gou Tanabe. Racconta le disavventure di un professore che per cinque anni è posseduto dalla mente di creature venute da un tempo e da un luogo lontani. Tornato in sé, il professore cerca di trovare un senso nella propria vita di quegli anni, studiando quanto più possibile testi che possano spiegare le visioni avute.

Il testo originario di Lovecraft è uno dei tasselli fondamentali del Ciclo di Cthulhu, composto dalle tante opere dell’autore di Providence con protagonisti creature mitologiche e misteriose. Si tratta di un’opera complessa e sfaccettata, di cui Tanabe ha gestito ottimamente i ritmi narrativi sincopati e asfissianti. Il punto di forza del mangaka, che in questo lavoro spicca più che in ogni altro, sta in particolare nella capacità di rappresentare con efficacia gli scenari immaginati da Lovecraft, oltre alle creature inquietanti del suo bestiario.

Quelli di L’ombra venuta dal tempo sono luoghi che per detta dello stesso Lovecraft non rispettano le leggi della fisica per come la conosciamo e che dunque possono costituire una sfida quasi insormontabile per qualunque disegnatore. Nagabe invece è riuscito a rappresentarli in modo efficace, in modo particolare nelle brevi sequenze di splash page che avvolgono il lettore e lo gettano nell’incubo delirante del protagonista.
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X-Men 1-11, di Jonathan Hickman e Leinil Francis Yu (Panini Comics)

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L’idea dietro al rilancio degli X-Men fa parte di uno dei primi pitch che Jonathan Hickman propose a Marvel Comics dieci anni fa, un documento in cui spiegava perché il franchise degli X-Men era compromesso e lo sarebbe sempre stato, anche se le serie avessero venduto bene, finché determinate cose non fossero state sistemate.

Hickman e il team di scrittori hanno proposto un complesso, nuovo mondo mutante. Ci sono prelievi dalla letteratura fantascientifica contemporanea (il new weird, il biopunk, i giochi col linguaggio di Ted Chiang, l’horror ambientale di Jeff VanderMeer) mischiati con gli X-Men, in una miscela insolita. Charles Xavier si è alleato con Magneto e insieme i due hanno fondato una nuova nazione, Krakoa, potenziale casa per tutti i mutanti (nonché mutante senziente a sua volta), che chiede di essere riconosciuta territorio indipendente dal resto dei governi. Da questa premessa si sviluppa una vicenda che salta avanti e indietro nel tempo, cambia la Storia e apre un mondo di nuove possibilità per le trame degli X-Men. Il parco testate mutanti riparte da zero con le serie X-Men, New Mutants, Marauders, Excalibur, Fallen Angels, X-Force e altre ancora, tutte sotto la supervisione (più o meno diretta) di Hickman.

Ciò che funziona, più delle singole serie (mediamente buone), è l’operazione in sé. La storia impostata da Hickman si dipana infatti in ogni testata mutante. E così, nella sua serie solista, Wolverine deve indagare su un mercato nero in cui si vendono i farmaci miracolosi di Krakoa, la squadra X-Force ricopre il ruolo della CIA del mondo mutante, mentre nella miniserie X-Men/Fantastic Four gli autori esplorarono la natura mutante di Franklin Richards, primogenito di Reed e Sue. Perno di tutta questa rivoluzione è però X-Men, scritta in prima persona da Hickman, in cui l’autore esplora le conseguenze di tutte le scelte a fin di bene compiute da Xavier e Magneto.
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Blueberry: Rancore Apache, di Joann Sfar e Christophe Blain (Alessandro Editore)

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Rancore Apache è la storia più recente di Blueberry, realizzata da Joann Sfar e Christophe Blain e prima parte di una trilogia. Creato nel 1963 dallo sceneggiatore Jean-Michel Charlier e dal disegnatore Jean Giraud (alias Moebius), Blueberry è il personaggio western più noto del fumetto francese, le cui pubblicazioni non si sono praticamente mai interrotte, tra serie principale e spin-off, passando da un autore all’altro.

Gli ultimi in ordine di tempo sono proprio Sfar (Il gatto del rabbino) e Blain (Isaac il pirata), che con questa storia hanno proposto una versione tradizionale del personaggio, in un’avventura perfettamente inseribile nella “continuity” dei suoi fumetti. I due autori hanno mantenuto anche lo spirito “politico” delle avventure di Charlier, con una storia di vendetta che mette al centro le donne e che vede coinvolti indiani e soldati. Nel mezzo, un Blueberry che colleziona delusioni a partire dalle primissime pagine (in cui viene fregato addirittura da un’adolescente).

Pur non risparmiandosi elementi sopra le righe che richiamano lo spirito più surrealista di Moebius (come un automa che gioca a scacchi nel forte dove risiede Blueberry), Sfar e Blain hanno osato relativamente poco in questo loro esordio su Blueberry, puntando al sodo – dal punto di vista sia narrativo che grafico – con un’avventura molto classica che gioca con gli elementi chiave della mitologia del personaggio (come la sua bravura nel giocare a poker), rimasticandoli e rielaborandoli per il lettore contemporaneo, senza mai cedere alla nostalgia più spicciola.
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Graveyard Kids 1, di Davide Minciaroni (Edizioni BD)

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Rob e suo fratello si sono trasferiti da poco alla scuola media “Cipollo II”. Appena arrivati finiscono per pestare i piedi al terribile Bill e alla sua ghenga. Sarà l’inizio di una guerra tra bande sempre più spietata e surreale, tra vecchie ferite mai completamente rimarginate, alleanze improbabili e botte da orbi.

Graveyard Kids è nata come autoproduzione fotocopiata per il collettivo Doner Club nel 2017. Dopo un paio di uscite – e un Premio Micheluzzi come Miglior serie dal tratto non realistico nel 2018 – il fumetto è passato sotto l’egida di Edizioni BD, che ha deciso di pubblicarne una versione rivista ed estesa in formato tankobon. Una scelta non casuale, visto come il fumetto di Davide Minciaroni riesce a fare suoi alcuni dei generi nipponici più rappresentativi.

Dentro Graveyard Kids si può trovare il classico filone della delinquenza giovanile – quello di Crows, Clover o di esempi più leggeri come Cromartie High School – ma anche lo shonen puro e duro alla Jojo. In più abbiamo un’estetica che pare presa di peso da Adventure Time, declinata in mille modi e arricchita da una serie di trovate tipiche del manga più dinamico. Il risultato è un fumetto assolutamente sopra le righe, dove convivono ingredienti diversissimi tra loro come il teen-drama, un world building quasi fantasy e una propensione per la deformazione del corpo a un passo dall’horror. Il tutto reso omogeneo da una narrazione in grado di sorprendere in continuazione, tra combattenti con il potere del tabagismo cronico e terribili gatti liceali.
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Imbattibile, di Pascal Jousselin (Comicon Edizioni)

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Imbattibile è il classico bravo ragazzo – anche un po’ tracagnotto – che tutte le domeniche va a pranzo dalla zia o a cui piace fare giardinaggio, ma, soprattutto, ha in dono il “potere del fumetto”. Questo peculiare supereroe sa infatti muoversi all’interno di una pagina a fumetti, spostandosi tra le vignette in orizzontale, in verticale e persino in diagonale, invadendo spesso gli spazi bianchi tra l’una e l’altra e tenendo sotto controllo la narrazione nella sua interezza (sia all’indietro che in avanti) per sfruttarla a proprio vantaggio.

Il risultato è un grande gioco – a tratti metatestuale – che sfrutta le possibilità uniche del fumetto e soprattutto non stufa mai il lettore, nonostante la ripetitività di alcune trovate e la semplice linearità delle trame. Anzi, l’autore riesce in ogni storia ad alzare sempre un po’ di più l’asticella, a volte giocando anche con la struttura fisica delle pagine.

L’opera di Jousselin non è solo una parodia dei supereroi, ma qualcosa di unico e a se stante. Sa intrattenere i lettori più giovani e al tempo stesso spiegare alcune caratteristiche strutturali del fumetto, senza mai risultare complicato o pedante. Ma Imbattibile è in grado di strappare più di qualche sorriso anche a un pubblico adulto o magari di offrire spunti di interesse a chi di fumetto ne mastica già un po’, con le sue trovate all’apparenza cervellotiche ma rappresentate sempre con grande chiarezza e freschezza.
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Copra 1-2, di Michel Fiffe (Panini Comics)

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Copra è una serie – iniziata come autoproduzione nel 2012 e attualmente pubblicata da Image Comics – scritta e disegnata dall’autore cubano Michel Fiffe. Fin dai primi numeri è stata riconosciuta come uno dei migliori fumetti indipendenti del mercato statunitense – e inserito nella Top Ten 2013 di Comic Book Resources nonostante le 400 copie medie di diffusione dei singoli albi – guadagnandosi con il passare degli anni sempre più lettori.

I primi archi di narrativo di Copra sono una sorta di omaggio alla Suicide Squad di DC Comics, ricchi di ritmo e di trovate grafiche. Il risultato è una versione ancora più carica di personaggi surreali e scene d’azione fracassone rispetto al prototipo originale. A rendere il tutto ancora più divertente c’è un continuo flusso di citazioni al comicdom – non solo personaggi e situazioni, ma anche richiami espliciti ad autori ben precisi come Frank Miller e Klaus Janson -, rivisto in un’ottica in grado di includere tra le influenze nomi chiave della scena indipendente come Farel Dalrymple, Ed Piskor e Michael DeForge.

Il risultato è un fumetto genuinamente di genere: Fiffe non fa nulla per distaccarsi dai cliché e dai luoghi comuni del supereroismo più edgy e finisce per raccontare una storia piena di energia e amore per le narrazioni alla Sporca dozzina. La vera differenza la fa un approccio grafico stratificato e personale, che gioca con la composizione della tavola, i colori e i repentini cambi di tratto, in grado di porsi tra le stranezze alla Picturebox Inc e la rigidità di autori come Benjamin Marra.
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Tracce di sangue 5-7, di Shuzo Oshimi (Panini Comics)

Tracce di sangue si conferma uno dei migliori fumetti sulla piazza: lo avevamo infatti già inserito tra i best of del 2019, e quest’anno, arrivati al settimo volume, lo rifacciamo con decisione. In un anno in cui in Italia di Oshimi sono state pubblicate diverse opere giovanili poco rilevanti o riuscite – grazie alle quali abbiamo in ogni caso approfondito il suo percorso artistico – è ancora più chiaro come questa per lui sia l’opera della maturità. Con Tracce di sangue ci ritroviamo davanti a un autore in grado di spiazzare il lettore, con le idee chiare e tutti i mezzi per metterle in pratica. Un autore talmente bravo e originale che ci risulta davvero difficile trovare in giro qualcun altro come lui.

L’inquietante manga incentrato sull’amore morboso di una madre nei confronti del proprio figlio continua a sorprendere non tanto per quello che racconta – che è comunque interessante e non scontato – ma per come lo racconta. Tracce di sangue è una storia che tocca temi importanti come l’abuso sui minori, la malattia mentale, il complesso di edipo, il bullismo e le difficoltà di comunicazione, trasportando il lettore nell’incubo vissuto dal giovane Seiichi. Ma il vero punto di forza del manga è la capacità di costruzione narrativa delle tavole e delle sequenze. In Tracce di sangue c’è una costante tensione dettata dal ritmo delle vignette e da passaggi di rara intensità espressiva, in cui l’autore riesce a comunicare le perturbanti emozioni dei personaggi anche solo attraverso i loro sguardi.

Shuzo Oshimi realizza sequenze inquietanti e potenti, con ricercati colpi di scena che ogni volta alzano l’asticella, portandoci a chiedere fin dove si può spingere l’orrore a cui stiamo assistendo. La situazione claustrofobia di Seiichi – schiacciato e disorientato dal possessivo amore della madre – procede per twist narrativi che lo porteranno a riconsiderare le sue relazioni e a ricercare la propria individualità. Da questo punto di vista Tracce di sangue può anche essere letta sottotraccia come una storia di formazione, con il protagonista che intraprende un viaggio vorticoso all’interno delle proprie emozioni. In primo piano, però, risalta come horror psicologico, potente, oscuro e disturbante. Se la serie continuerà su questo livello (e al momento, dopo sette volumi, continua dritto per la sua strada), sarà molto difficile non poter considerare Oshimi come uno dei grandi fumettisti della sua generazione.
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Qui c’è la nostra intervista all’autore, Shuzo Oshimi.

Something is Killing the Children 1-2, di James Tynion IV e Werther Dell’Edera (Edizioni BD)

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La tranquilla cittadina di Archer’s Peak è devastata da eventi tremendi. Mentre ragazzini continuano a scomparire nel nulla, il ritrovamento di cadaveri orribilmente mutilati getta la comunità nel panico più totale. Le forze dell’ordine si dimostrano del tutto incapaci di fronteggiare una minaccia che agli occhi degli adulti si presenta come incomprensibile. Nei boschi intorno al piccolo centro rurale si nasconde infatti una creatura mostruosa che solo i bambini sembrano in grado di vedere.

Something is Killing the Children è stata una delle più grosse sorprese dell’anno, impressione confermata anche dalla prestigiosa candidatura a migliore nuova serie del 2020 agli ultimi Eisner Awards. La serie di James Tynion IV e Werther Dell’Edera parte da uno spunto che pare essere preso paro paro da produzioni alla Stranger Things e lo sviluppa in maniera fresca e originale. Se da una parte c’è un inaspettata maturità nel raccontare i risvolti psicologici di eventi così drammatici nel contesto di una piccola cittadina di provincia, dall’altra abbiamo l’innesto di un personaggio del tutto sopra le righe come Erica Slaughter. Cacciatrice di mostri appartenente a un misterioso ordine di guerrieri, si afferma subito come memorabile grazie anche al suo design totalmente fuori luogo.

Il disegnatore italiano Werther Dell’Edera si dimostra però l’autentico perno su cui ruota tutta la serie. Le sue tavole riescono a essere estremamente violente, così come meste e cariche di eleganza. Il tutto mentre una ragazza dagli occhi smisurati e con un ciuffo biondo a coprirne il volto massacra mostri con una motosega comprata in ferramenta.

Nonostante i presupposti esagerati la narrazione di Something is Killing the Children riesce comunque a mantenersi controllata e matura, evitando quasi sempre gratuite soluzioni a effetto. Rimane peculiare l’utilizzo insistito della doppia pagina come una sorta tavola allargata, con le fasce ad attraversare per intero la larghezza del volume. Una soluzione molto cinematografica, esplorata anche da Brian Bendis e Michael Avon Oeming in una serie che pescava dalla nuova serialità televisiva come Powers, che dona improvvise accelerazioni al ritmo di una serie altrimenti fin troppo indulgente con la dilatazione dei tempi.
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Qui c’è la nostra recensione del primo volume.

Swan 1, di Nejib (Coconino Press)

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Il bevitore di assenzio – che prende il nome da un dipinto di Manet – è solo il primo capitolo di una trilogia (o forse più), ma tanto è bastato per conquistarci. Swan è la nuova opera di Nejib, l’autore di Haddon Hall. Quando David inventò Bowie e Stupor Mundi, un nuovo viaggio nel passato, questa volta fino alla Parigi del 1859.

Una Parigi che sta facendo da culla a un nuovo, rivoluzionario movimento artistico – l’Impressionismo – e nella quale arrivano da New York due rampolli di una ricca famiglia americana, la giovane Swan e suo fratello Scottie. Lui è lì per frequentare l’Accademia di Belle Arti – una delle più prestigiose al mondo -, lei vorrebbe fare lo stesso, ma l’accesso a simili istituzione non è ancora visto di buon occhio per le donne, nonostante sia la più talentuosa fra i due.

In tavole dal segno minimale e le tonalità espressive, Nejib non si limita all’evocazione storica, ma intreccia vari temi: il ruolo delle donne nella società patriarcale dell’Ottocento, l’omosessualità, lo sviluppo tecnologico della capitale francese e il ruolo centrale dell’artista nella società borghese, all’interno di una trama densa di avvenimenti e piena di sorprese.
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Silver Surfer: Nero, di Donny Cates e Tradd Moore (Panini Comics)

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Silver Surfer: Nero è il nuovo tassello dell’enorme arazzo cosmico tessuto dal sempre più lanciato Donnie Cates, il nuovo scrittore di punta di Marvel Comics. Lo sceneggiatore riprende l’araldo di Jack Kirby e lo riporta alle origini, in una miniserie sospesa tra il fantasy e i monologhi interiori di Stan Lee.

Allo stesso tempo, il disegnatore Tradd Moore (con i colori di Dave Stewart) interpreta il personaggio calandolo in un contesto che pesca a piene mani dalla psichedelia e dalla grafica in voga tra gli anni Sessanta e Settanta. Il risultato è un fumetto ricco di particolari e di tavole potentissime, dove risulta evidente la volontà del disegnatore di inserire quante più trovate a effetto possibili.

La chiarezza del tratto – fatto di linee definite e molto plastiche – è quella che ci accompagna dall’esordio di Moore su The Strange Talent of Luther Strode, ma qui si viaggia spesso a un passo dal kitsch, con ingredienti che si aggiungono a un piatto già ricco a livello di struttura. Ecco quindi oltre cento pagine di spadoni a due mani, draghi cosmici, effetti lava lamp e deformazioni di ogni tipo.

Una generosità che va a compensare una sceneggiatura minimale, tutta imperniata attorno a tre personaggi e al loro rincorrersi nel vuoto del cosmo siderale. Silver Surfer: Nero è un fumetto che non teme di peccare per eccesso e che prende con decisione le distanze dall’ultima interpretazione memorabile del personaggio a firma di Mike Allred e Dan Slott.
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