
Primi anni Ottanta. Nonostante le autorità cerchino in ogni modo di minimizzare quanto sta accadendo, la tranquillità della piccola Brody Island viene scossa dal suicidio di una giovane dal passato problematico e dalla fuga di quattro carcerati. June Branch, futura psicologa all’ultimo anno di università, si trova sull’isola per passare l’ultimo week end d’estate con il giovane fidanzato aspirante poliziotto. Ben presto si troverà invischiata in una ragnatela di violenza, complotti e avidità. Armata di un’antica ascia vichinga dotata di strani poteri dovrà lottare con tutte le sue forze per sopravvivere alla notte più lunga della sua vita.
Basketful of Heads chiarisce le sue intenzioni fin dalle copertine, pittoriche e dalla costruzione narrativa decisamente retrò. Il taglio e i layout saranno anche moderni, ma è evidente che siano state pensate come una sorta di omaggio all’epoca d’oro dei racconti alla Creepshow e, di conseguenza, dei fumetti Tales from the Crypt pubblicati da EC Comics. Al centro di tutto il concept della miniserie abbiamo infatti, più che complessi sviluppi di trama o un world-building profondo e stratificato, una grossa trovata narrativa. Splendida a leggersi come a vedersi, perfetta per essere spezzettata in tante illustrazioni che promettono orrore e violenza come solo i vecchi trailer di qualche b-movie di Herschell Gordon Lewis sapevano fare.
L’arma utilizzata dalla scream queen di turno – un’ascia vichinga dell’ottavo secolo – ha infatti il potere di mantenere in vita le teste mozzate, che con il passare delle pagine andranno ad accumularsi dentro un cesto di vimini e amabilmente coperte da una bandiera a stelle e strisce. Portate al braccio da una novella Cappuccetto Rosso che di farsi mangiare dal Lupo cattivo non ci pensa proprio.

Quella di Joe Hill e Leomacs è una trovata così iconica da finire direttamente nel frontespizio di ogni numero della miniserie, che di volta in volta cambierà in base a quello che il lettore andrà a incontrare nelle pagine successive (o alle teste recise dai rispettivi corpi). Hill dimostra di conoscere bene le regole dell’horror, anche quello più classico, e imbastisce tutto Basketful of Heads giocando con le aspettative del lettore. L’ambientazione da placida periferia che si dimostra un perfetto teatro di cattiveria e crudeltà, la fine dell’estate come fine dell’innocenza, l’eroina bellissima e costantemente in micro shorts di jeans che passa da mezza svampita a inarrestabile macchina di morte. In più tanta violenza, senso del grottesco e un giocare sempre tra umorismo nero e suggestioni d’altri tempi.
Quando June mozza la prima testa, sulla spiaggia e durante il montare dell’alta marea, sono subito messe in chiaro le regole del gioco. Il capo del malcapitato di turno può vivere benissimo senza ossigeno, tanto più che i polmoni sono rimasti nell’altra metà del corpo. Non necessita di nessuna funzione vitale, trovandosi invischiato in una sorta di condizione di sospensione pre-morte. Il cervello continua comunque a lavorare, garantendo lucidità e possibilità di parlare.

La protagonista deve scegliere se portarsi la testa appresso, nel cesto di vimini del titolo, o abbandonarla sulla sabbia e lasciare che il mare la inghiottisca, garantendogli una sorta di affogamento perenne fino al disfacimento completo dei tessuti. Entrambe le soluzioni sono ricche di un senso del macabro notevole, che va a confermarsi come il punto di maggiore interesse di tutta la miniserie. Difficile trovare altro nella sceneggiatura di Hill, se non la voglia di giocare con un genere che troppo spesso è forzatamente riletto come politico o impegnato, a discapito del suo valore come letteratura di pura evasione.
Da parte loro Leomacs e il colorista Dave Stewart si dimostrano due giganti, interpreti perfetti di quello che altrimenti si sarebbe dimostrato poco più di un one-man-show di Joe Hill, ormai lanciatissimo nel ruolo di re dell’horror a fumetti. Le tavole di Basketful of Heads sono ricche di particolari gustosi, così come di trovate di regia perfette per veicolare la claustrofobia di una situazione senza via di uscita o la violenza di un colpo scagliato per mozzare un arto. Se la sceneggiatura si adagia sull’omaggio dell’orrore vintage, i disegni si prendono la briga di veicolarlo nel presente, portando avanti una narrazione dinamica e sempre carica di tensione.
Come nella sceneggiatura anche in questo caso si gioca con il kitsch e con il luogo comune, alternando momenti di regia solida ed efficace – l’esperienza su Tex del disegnatore si vede tutta – a trovate al limite della parodia come onomatopee di tuoni graficamente attraversate da un fulmine o fili del telefono a separare due vignette contenenti i due interlocutori. Il tratto gioca con linee pastose vagamente vintage, ma la tensione è tutta da thriller moderno. L’invasione domestica del secondo numero – uno dei pochi momenti davvero disturbanti e in cui c’è poco da ridere – si gioca sui suoni fuori campo, sulla limitazione del campo visivo e su un costante senso di claustrofobia. Tutti aspetti suggeriti da vignette troppo strette, o troppo statiche. Il senso di pericolo è tutto veicolato dai disegni.

A conti fatti Basketful of Heads è un gioco macabro e sanguinolento, dove ci si diverte a vedere la gente cadere a pezzi sotto i colpi di una scure vichinga posseduta da qualche strana maledizione. Parliamo di un libro forse fine a se stesso, ma che lascia indubbiamente soddisfatti. Satolli di un intrattenimento di gran mestiere, quello che alla perizia da narratori navigati riesce ad alternare picchi di creatività non indifferenti. La matrice da omaggio ai magazine pulp di un tempo lascia presto il posto a una macchina narrativa decisamente ben calibrata, con più carte da giocarsi di quanto uno potrebbe pensare.
Basketful of Heads – Una cesta piena di teste
di Joe Hill e Leomacs
traduzione di
Panini Comics, ottobre 2020
cartonato, 184 pp., colore
22,00 € (acquista online)
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