
Rivedere oggi Paranoia Agent, serie animata in 13 episodi diretta e curata da Satoshi Kon, porta a un nuovo livello di consapevolezza sulla grandezza autoriale del suo creatore, una lungimiranza che prende corpo nell’assoluta attualità di un’opera che ha ormai 17 anni.
Quando iniziò a lavorare su Paranoia Agent, Satoshi Kon era all’apice della sua carriera. Dopo essersi affermato in ambito fumettistico, aveva iniziato a lavorare nel campo dell’animazione, collaborando con i più importanti autori dell’epoca. Aveva esordito come regista di un lungometraggio nel 1997 con Perfect Blue, proseguendo poi il suo percorso autoriale – sempre lucido e spiazzante – con Millennium Actress (2001) e Tokyo Godfathers (2003). Forte di questo successo, a Kon fu affidata una serie con una libertà creativa senza precedenti. Il risultato finale è, forse, la sua opera più complessa e stratificata, quella in cui, grazie a un minutaggio impensabile al cinema, riuscì a sviscerare tutte le tematiche portanti della sua opera.
La storia: Tsukiko Sagi è una famosa designer che ha creato Maromi, una mascotte in grado di ottenere immediatamente un grande successo. Le pressioni lavorative a cui è sottoposta affinché crei un nuovo personaggio sono alte, almeno fino a quando non è aggredita da un ragazzo sui pattini con una mazza da baseball. Le aggressioni si fanno più frequenti e coinvolgono molte altre persone, e l’assalitore è soprannominato Shonen Bat. Sul caso indagano due detective che ben presto capiranno quanto la situazione sia molto più complicata di quello che appare.

Partendo da una linea narrativa legata a un genere specifico, il thriller, Kon scardinò le regole della serialità per innestare altre linee narrative, abbandonarne alcune, prendere altre strade, sospendere il tutto con tre episodi centrali destabilizzanti (Happy Family Planning, Etc., Maromi dolce-sonno) e concludere il tutto con un finale in tre atti che è un crescendo di emozioni, suspense, rivelazioni.
La base di partenza, dunque, è meta-cinematografica, poiché Kon, come in Perfect Blue, parte e si muove all’interno di un genere, il thriller nello specifico, raccontando l’indagine e la ricerca di un aggressore che si trasforma in omicida. Ma il “genere” è soltanto un mezzo per raccontare altro, ovvero la vita nella sua complessità. Kon era un provocatore, e nelle sue opere cercava sempre di portare avanti analisi sulla società contemporanea, travestendole da storie coinvolgenti, spiazzanti, capaci di riformulare la messa in scena ma al tempo stesso coinvolgendo il pubblico con un’architettura narrativa che prendesse spunto da elementi legati alla pop culture.
Osservando l’opera omnia di Kon, possiamo identificare degli assunti che sono il cuore pulsante del suo lavoro, come il discorso legato al labile confine tra sogno e realtà e tra paranoia e lucidità o la riflessione sul ruolo dell’autore in quanto creatore di mondi, personaggi, vite. Inoltre possiamo sicuramente rilevare una tendenza di Kon a esprimere incondizionato amore per il cinema e l’animazione, grazie a citazioni, riferimenti che spesso diventano elementi essenziali delle sue storie, veri e propri protagonisti. Tutti fattori presenti in Paranoia Agent.

Ma se proviamo, per un attimo, a condensare tutti questi elementi in un unico, grande tema, ci si accorge facilmente che Satoshi Kon, con la sua pur condensata opera, ha effettuato una profonda, brillante e sorprendente riflessione sulla società contemporanea. Paranoia Agent, con i suoi 13 episodi, diventa un trattato con cui Satoshi Kon analizza, con metodo chirurgico, le idiosincrasie, i controsensi, le follie della società contemporanea, quella giapponese in particolare.
L’episodio Happy Family Planning affronta un tema forte e ancora attuale come il problema del tasso di suicidi in Giappone. Maromi dolce-sonno racconta, non senza sarcasmo, le condizioni di lavoro insane che riguardano l’industria animata giapponese, discorso applicabile anche a quella del manga. Tutte le pressioni a cui siamo sottoposti, spesso generate in ambito lavorativo, generano mostri. E infelicità. Quello che Kon con Paranoia Agent ci suggerisce, in maniera delicata, è che gli unici a poter cambiare questa situazione di disagio, di pressione, di dolore siamo noi.
Tutta l’opera di Satoshi Kon ruota attorno al concetto di fuga, tutti i suoi personaggi scappano dal dolore, dalla sofferenza, dalle follie sociali del loro tempo. Ma la fuga, sembra suggerire Paranoia Agent, non può essere la soluzione. Se la società contemporanea, figlia delle direttrici capitaliste, è un luogo triste, insulso, alienato, sta a noi cambiare le cose e renderlo un posto migliore.

Già solo così, Paranoia Agent sarebbe un capolavoro di lucidità, un’opera rivoluzionaria e meravigliosa. Ma, con un finale a sorpresa, Kon la eleva a qualcosa destinato a rimanere nel tempo, a imperitura memoria. Quando tutto sembra risolto, Kon inserisce un momento in cui capiamo che tutto ciò che era stato distrutto e ricostruito poco prima, in un’apoteosi che si ispira molto all’estetica di Katsuhiro Otomo (maestro di Kon), si prepara a ricominciare in un loop infinito.
Il significato di reiterazione, di perenne continuità strutturata in cicli e ricicli, è sublimato dall’immagine del cerchio, ripreso anche nella sigla finale, con i corpi dei personaggi che dormono sdraiati su un prato e che compongono per l’appunto un cerchio, mentre un Maromi gigante li sovrasta. Il messaggio è chiaro: non c’è una soluzione definitiva alle nostre angosce squisitamente contemporanee, ma una perenne lotta alla ricerca della felicità.
E la grandezza di Paranoia Agent si sostanzia nel fatto che, a distanza di quasi vent’anni, è tra le opere più intriganti nel delineare un’analisi sociologica e psicologica della società valida ancora oggi. Questo è uno dei motivi per cui l’opera di Satoshi Kon è destinata a perdurare nel tempo: per la sua capacità di aver visto nel presente le traiettorie che ci portano al futuro. Un futuro oscuro e a tratti inquietanti, ma non privo di amore e dolcezza.
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