Se leggete fumetti di supereroi da un numero sufficiente di anni vi sarà capitato almeno una volta di farvi qualche domanda sul perché esseri dotati di poteri incredibili finiscano puntualmente per risolvere ogni questione con una lotta. Potrebbero inventare raffinati strumenti di coercizione con la loro intelligenza fuori parametro, usare la dialettica, mettere in piedi complesse macchinazioni, entrare direttamente nella testa dei loro nemici, alterare la realtà o sfoderare qualsiasi altra soluzione possa incastrarsi nella loro mitologia. E invece il piano malefico da parte del cattivo di turno è vanificato in seguito a uno scontro fisico.
Non importa quanto machiavellico e raffinato possa essere stato stato il meccanismo narrativo fino a quel momento. In ogni serie di supereroi prima o poi arriva il momento in cui le cose vanno risolte a pugni e mascelle slogate. Si tratta di un proverbiale esempio di sospensione dell’incredulità, giustificabile con il semplice assunto che il piacere di assistere a un bel combattimento è qualcosa di irrinunciabile. Non importa che si tratti di fumetto, cinema o prodotti per lo streaming: una rissa ben coreografata e adeguatamente immortalata è linguaggio visivo nella sua forma più pura, totalmente slegato da ogni influenza della parola scritta. Oltre che uno strumento narrativo molto potente.
Anche se stiamo parlando di un linguaggio in movimento – la scena d’azione – traslato in un contesto statico come la pagina stampata di un fumetto, lo stile di combattimento di un personaggio ne definisce infatti la personalità tanto quanto i dialoghi e il design. Dovendo raccontare di corpi impegnati a divincolarsi e colpirsi stando nei confini di una tavola disegnata i fumettisti si sono sempre dovuti fare in quattro, potendo contare solo su tratti, colori e layout. Rimanendo all’interno del contesto supereroistico, e prendendo in esame alcune delle migliori scene di combattimento della sua storia, è incredibile la varietà di soluzioni portata da disegnatori e sceneggiatori sfruttando una tavolozza di possibilità così limitata.
C’è chi ha scelto un approccio più realistico e sofferto e chi ha optato per direzioni più espressioniste e astratte. Chi ha preso la scusa per aggiungere ancora più pathos a storie cupe e chi invece ha trasformato tutto in un gioco o in un’occasione d’oro per sperimentare stando con i piedi ben radicati nell’escapismo. Chi ha frammentato la pagina in riquadri rigidi e marziali e chi ha optato per vignette enormi, dove i bordi svaniscono e il movimento finisce per sballottarci da un capo all’altro della tavola.
Quella che segue è una nostra personale selezione delle migliori scene di lotta dei supereroi. Migliori non da un punto di vista narrativo, ma proprio tecnico. Le più belle da vedere e da leggere dagli anni Sessanta a oggi, insomma, non necessariamente quelle che raccontano la storia migliore.
(Marco Andreoletti)
Capitan America contro Batroc, di Stan Lee e Jack Kirby

Potevamo inaugurare questa lista senza partire dall’autore che più di tutti ha plasmato l’immaginario supereroistico? Parliamo ovviamente di Jack Kirby, il “Re dei Comics”. E lo facciamo con una tavola iconica, che i fan del fumetto hanno mandato a memoria sin dalla prima volta che l’hanno vista: quella che raffigura la parte centrale dello scontro tra Capitan America e Batroc, apparso nella storia The Blitzkrieg Of Batroc! (La guerra lampo di Batroc!) pubblicata su Tales of Suspense 85 nel gennaio del 1967.
Si tratta di un fumetto di appena 10 pagine, ma decisamente folgorante, in cui Capitan America, per salvare Sharon Carter dalle grinfie dell’Hydra, se la deve vedere con Batroc. L’intera sequenza è un’adrenalinica lotta corpo a corpo tra il soldato a stelle e strisce e il suo nemico, in cui Kirby, all’apice della sua maturità artistica, sfoggia tutto il suo repertorio di trucchi fumettistici.
Nella tavola in questione l’autore utilizza innanzitutto uno dei suoi marchi di fabbrica: la griglia fissa a nove vignette. Al suo interno raffigura il momento chiave dello scontro: Capitan America che sconfigge Batroc a suon di cazzotti. Una pagina notevole, come tante altre disegnate da Kirby in carriera, ma che si eleva per la messa in scena coreografica della lotta, le prospettive dei personaggi, la dinamicità dell’azione e, soprattutto, il bucare la pagina con una tridimensionalità impressionante.
Osservate ad esempio la prima vignetta, che mostra i due personaggi lanciarsi uno contro l’altro, e notate la prospettiva di Batroc, ripreso da dietro, con la gamba che si alza a indicare lo slancio in avanti: è letteralmente un calcio in faccia al lettore, che annuncia e presuppone l’inizio di qualcosa di grosso.
E quello che arriva dopo è decisamente grandioso: 7 vignette piene di irruenza, ma con una violenza sommessa, in cui l’atto del movimento prevale sui colpi messi a segno. Nonostante infatti questi ultimi siano enfatizzati dalle tante linee cinetiche che si diffondono a raggiera su sfondi monocolori su cui si stagliano, quello che il lettore segue maggiormente è l’incredibile teatralità dell’azione nel suo complesso.
La dinamicità, la tridimensionalità, il movimento dei corpi e l’aspetto coreografico, sia dell’azione racchiusa in una singola vignetta che dell’azione presa nell’interezza della tavola, ovvero del colpo d’occhio sulla pagina, sono la chiave di questa sequenza indimenticabile, in cui per il nostro bene – va detto – per una volta Stan Lee decise di farsi da parte senza appesantirla con dialoghi pomposi.
Una tavola da incorniciare, che Jack Kirby disegnò più di 50 anni fa. Sembra incredibile, ma potrebbe averla disegnata ieri e sarebbe stata ugualmente potente e innovativa. È questa la grandezza dell’autore: essere senza tempo. Ed è questo il motivo per cui è stato soprannominato il Re quando ancora era in vita. Il motivo per cui qualsiasi fumettista ancora oggi deve confrontarsi con le sue tavole.
(Andrea Queirolo)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Marvel Masterworks: Capitan America 2.
Spider-Man contro tutti i suoi nemici, di Joseph Michael Straczynski e John Romita Jr.

Buon compleanno! fu un arco narrativo della serie Amazing Spider-Man il cui finale coincise con il numero 500 della testata. Scritta da Joseph Michael Straczynski e disegnata da John Romita Jr., la storia del 2003 racconta dell’invasione dei Senza Mente, creature provenienti da un’altra dimensione le cui azioni portano all’arrivo del temibile Dormammu. Ne segue uno scontro che conduce il Dottor Strange e Spider-Man in una dimensione astrale.
In quanto albo celebrativo, gli autori fecero il punto della storia editoriale del personaggio e lo proiettarono in un viaggio nel tempo, attraverso le tappe salienti della sua vita passata e futura, mentre la voce del Dottor Strange è impegnata a ricondurlo al presente. Dilaniato dai ricordi che è stato costretto a rivivere (le morti di parenti e amici, le battaglie con antagonisti storici), Peter è allo stremo, ma Strange lo intima a proseguire nel viaggio e a raccogliere le forze per tornare nel proprio tempo.
Ecco che, come ultimo sforzo, Spider-Man si trova a combattere tutti i suoi nemici contemporaneamente, in una doppia pagina straripante di personaggi. Anche se le nuvolette vanno un po’ per conto loro e, a parte la prima e l’ultima, si concentrano sulla parte alta del disegno, c’è una direzione principale della tavola, che è quella che parte dallo Spider-Man in caduta libera in alto a sinistra, e arriva, suggerita dalla direzione delle pose, all’angolo in basso a destra. Al centro, Spider-Man che si azzuffa con Goblin, la nemesi più famosa del personaggio.
Sempre attraverso la sistemazione dei personaggi nello spazio possiamo individuare una seconda lettura: è il movimento dall’alto al basso, per poi risalire e riscendere, che coinvolge tutti i micro-scontri sulla pagina, come una sinusoide accentuata. Quello che sembra caos totale è in realtà una composizione dove ogni interazione è chiara e ogni collisione è leggibile. E soprattutto, le masse kirbyane di Romita Jr. fanno sentire al lettore ogni singolo pugno sferrato.
(Andrea Fiamma)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Spider-Man Collection 9: Buon compleanno.
Thor contro il drago Jomurgand, di Walt Simonson

Il Thor di Walt Simonson è per definizione una delle gestioni più ricche, ipertrofiche ed esagerate dell’intera storia della Marvel. Durante il ciclo del fumettista del Tennessee il Dio del Tuono ritrovò una dimensione epica, sospesa tra fantasy kitsch (quello delle copertine metal, per intenderci), fantascienza e una serie di trovate che non potrebbero esistere al di fuori di una pagina di fumetto.
Un nuovo Thor alieno dai lineamenti equini, scontri contro demoni ed elfi oscuri, eroi tramutati in rane, l’arrivo dell’iconica armatura e poi battaglie, lotte e la comparsa di ogni sorta di bizzarro personaggio. A una scrittura ricca di idee Simonson associava poi il suo tratto sempre d’impatto e un inconfondibile gusto estetico fatto di esagerazioni. Uno stile potente, che non ci pensava due volta a sporcarsi le mani con soluzioni narrative magari facili, ma sempre tremendamente funzionali.
Il questo senso il numero 380 è un autentico pezzo di storia di Thor. Il Nostro eroe, indebolito da una maledizione inflittagli da Hela, deve fronteggiare il mitologico Jormungand, il serpente di Midgard. Per rendere l’enormità di un tale scontro, Simonson scrisse e studiò i layout – che sarebbero poi stati completati da un ottimo Sal Buscema – di un albo composto unicamente da splash page.
Sebbene si tratti di due entità semi-divine le botte sono reali, e la pesantezza dei colpi è data da un uso perfetto delle onomatopee. Che sono folli, esagerate sia graficamente che a livello di scrittura – SSKKKASSSSSHHH!, BRAKAAKKTH!, SKREWWHRAKKKK! – e protagoniste quasi di ogni pagina. L’energia sprigionata dagli scontri è resa portando a un nuovo livello la rappresentazione tradizionale fatta di bagliori di luce e linee cinetiche, in un continuo movimento che trascina il lettore di pagina in pagina.
Ad accompagnare il tutto dialoghi pomposi e grosse didascalie scritte con tono aulico e ridondante. Insomma, se scontro epico deve essere che scontro epico sia. Simonson sfruttò ogni mezzo a sua disposizione e raggiunse una delle sue vette più alte. Un numero che è puro divertimento, perfettamente consapevole della sua natura di baraccone ma al contempo privo di qualsiasi forma di distacco ironico.
(Marco Andreoletti)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Marvel Omnibus: Thor 2.
Daredevil ed Elektra contro i ninja, di Frank Miller

Nato quasi come un esperimento a fine anni Ottanta, Elektra vive ancora fu per Frank Miller l’occasione per dare la propria versione definitiva del personaggio della ninja assassina da lui creato qualche anno prima sulle pagine di Daredevil. La storia però fu di più: un vero e proprio saggio delle qualità tecniche e delle conoscenze fumettistiche dell’autore, in quella che forse è la più “europea” fra le sue prove.
Con Elektra vive ancora il Miller disegnatore sperimentò infatti una linea chiara che gli permise di svuotare i volumi, in attesa di riempirli di grosse campiture di nero nelle successive storie di Sin City. Intanto, però, a riempire i bianchi ci pensarono gli splendidi colori evocativi di Lynn Varley, che si lasciò andare a una palette più chiara e calda rispetto a quella usata per Il ritorno del Cavaliere Oscuro qualche anno prima.
La sintesi non riguardò solo il tratto, ma anche la narrazione, come dimostra in particolare la scena di lotta principale della storia, quella di Matt Murdock ed Elektra contro i ninja della Mano all’interno di un cimitero innevato, composta da 6 pagine con un layout fisso di due vignette per tavola. In esse, Miller fissò alcuni momenti dello scontro – neanche necessariamente i più salienti – proponendo una sequenza di illustrazioni che sembrano concentrarsi soprattutto sulla composizione delle immagini e sulle pose a effetto dei personaggi.
In poche pagine, poi Miller e Varley descrissero le differenze sostanziali fra Daredevil ed Elektra in modo efficace, con una semplice scelta visiva: all’inizio è tutto bianco, con Daredevil – privo di costume – che tra le lapidi immacolate cerca di combattere i ninja a modo suo, a suon di pugni, mostrando una forte fisicità; a metà della sequenza entra però in scena Elektra che, con il suo costume, rompe la monotonia cromatica delle pagine. Di lì in poi il rosso – quello del sangue dei ninja – arriva a sporcare tutto, con la ragazza che mette in scena tutta la sua spietata violenza pur muovendosi con un’eleganza naturale.
Miller amava molto il fumetto giapponese in generale e il Lone Wolf and Cub di Kazuo Koike e Gōseki Kojima in generale, e in questa sequenza sembrò volerlo ricordare. A loro volta, però, queste pagine influenzarono un importante autore giapponese come Yukito Kishiro, che nel suo Alita l’angelo della battaglia le citò in modo piuttosto esplicito.
(Andrea Antonazzo)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Grandi Tesori Marvel: Elektra vive ancora.
Nextwave contro Beyond Corporation, di Warren Ellis e Stuart Immonen

È naturale che un fumetto pensato per essere «cocaina ridotta a una pietruzza di crack» come Nextwave abbia delle sequenze d’azioni fuori di testa. Scritta da Warren Ellis e disegnata da Stuart Immonen, la miniserie del 2007 racconta di un gruppo di eroi (la cacciatrice di mostri Elsa Bloodstone, l’ex-Capitan Marvel Monica Rambeau, Tabitha Smith, ex membro di X-Force, e Machine Man, insieme a un nuovo personaggio, Capitan ****) assoldati dall’agenzia antiterroristica H.A.T.E., per combattere armi di distruzione di massa che includono Fin Fang Foom, Broccoli Men e Ultra Samurai. Quando però scopre che H.A.T.E. è finanziata dall’organizzazione terroristica Beyond Corporation, il gruppo si ribella e inizia ad agire per conto proprio.
Nextwave era una serie pazza, dotata perfino di una sigla musicale, composta dall’editor della testata Nick Lowe insieme al fratello Matt. Tra le varie stramberie, il quinto numero uscì in una versione variant in bianco e nero, stampata su carta di giornale, che i lettori potevano colorare con i pastelli (l’opera migliore si aggiudicò una tavola originale della serie).
«Volevo togliere il superfluo, la logica, la trama e lasciare tutte le stramberia di un fumetto d’avventura» raccontò Ellis, «dove ogni cosa può diventare ridicola senza per forza diminuire il divertimento dell’esperienza». Questo assunto è ribadito in ogni pagina del fumetto, tra comicità nonsense, metaironia, parodie e umorismo sopra le righe, ma è rimarcato con ancora più forza nella chiusa dell’undicesimo numero, in cui Ellis e Immonen misero in scena una battaglia tra il gruppo e le armi ingegnerizzate dalla Beyond Corporation, tra scimmie Wolverine, M.O.D.O.K. vestiti da Elvis Presley, robot, pirati e ogni genere di stranezza abbia mai partorito l’universo Marvel. È la sezione più rappresentativa di tutta la serie: fumetto supereroistico d’azione, con un spiccato gusto per l’assurdo e uno stile di disegno che mischia la maestria dell’Immonen realista a un effetto da cartone animato, dove ogni elemento è colorato e gommoso.
Ellis descrisse così la sequenza in sceneggiatura: «Quella che segue è una scena con sei doppie pagine che dovresti immaginare come un’unica lunga immagine, come fosse il livello di un videogioco a scorrimento. Il gruppo avanza da sinistra a destra, in un tunnel in cui vengono attaccati da sei ondate di bastardi strampalati creati come strumenti di morte dalla Beyond Corporation».
Si decise poi che la maxi-rissa sarebbe stata stampata su sei diverse versioni dell’albo (una doppia pagina per ogni versione). Per ammirarla tutta, i lettori più fedeli avrebbero dovuto comprare tutte e sei le copie. Gli autori ammisero la loro bassa mossa di marketing aggiungendo nelle pagine didascalie come: «Nextwave: ora vi tocca comprare sei copie di questo fumetto» o «Nextwave: per la quale state palesemente buttando via soldi dal 2006».
Immonen improvvisò l’intera sequenza, cercando di risolvere quello che era essenzialmente un grande problema di composizione: dato che non c’era nessuna evoluzione o storia interna alla scena da sviluppare, il disegnatore doveva cercare variazioni spaziali tenendo conto dei suggerimenti di Ellis e Lowe sui personaggi da inserire: «Avrei potuto esagerare ancora di più, ma mentalmente mi sembrava un’unica immagine e al quarto giorno sentivo solo la fatica. Dopo due settimane persi energia. In casi del genere è sempre meglio suddividere il lavoro partendo dal centro e poi completare parti sparse, così la perdita di energia non diventa evidente sulla pagina».
(Andrea Fiamma)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Nextwave: Agenti dell’H.A.T.E..
Batman e Robin contro i rapinatori di banche, di Grant Morrison e Frank Quitely

La run di Batman & Robin a firma Frank Quitely e Grant Morrison è stata definita – in primis dai due autori stessi – come una rilettura lynchiana della classica serie TV del 1966 con Adam West e Burt Ward. Dopo anni di riletture grim & gritty, tutte figlie di quanto fatto da Frank Miller negli anni Ottanta, il camp e il bizzarro tornarono a dipingere Gotham come una sorta di luna park popolato da improbabili saltimbanchi. A questa ricetta collaudata i due autori scozzesi aggiungevano però pesanti iniezioni di horror grottesco, strani simbolismi e una lunga serie di trovate sopra le righe.
Nella seconda vignetta della scena di lotta presa da Batman & Robin 2 vediamo sintetizzato tutto questo in una soluzione dalla semplicità lapalissiana. Robin è scagliato contro una parete da uno scagnozzo composto da più corpi fusi assieme. Nonostante la situazione sia resa piuttosto disturbante dal design dell’aggressore, sul muro le crepe generate dall’impatto formano l’onomatopea SMASH, in un cambio di tono davvero spiazzante. I celebri cartelli televisivi con le scritte Bang o Kapow sono richiamati alla lettera, ma inseriti in un contesto dove i colpi fanno davvero male. Tanto da sfondare un muro.
Non a caso nelle vignette subito dopo troviamo il giovane eroe in difficoltà, con l’inquadratura che si fa sempre più chiusa. Robin è messo all’angolo e liberarsi pare impossibile. Solo l’intervento di Batman nelle due pagine successive, suggerito da una singola vignetta dove gli eventi si cristallizzano per un istante e abbiamo uno zoom sugli occhi del vigilante, risolverà la situazione. La regia di Quitely e la sua gestione del layout delle vignette rendono alla perfezione la rapidità dell’intervento, asciugando lo scontro da ogni spettacolarità e dando l’idea di efficacia più che di spettacolo circense.
Unico neo dell’intera sequenza la resa un poco goffa delle tecniche di combattimento, con Batman che attacca spingendo sempre il volto in avanti e calciando in maniera piuttosto scoordinata. Essendo le due pagine pensate come una sorta di storyboard passo passo dell’offensiva era auspicabile una maggiore cura del realismo, ma il dinamismo e l’impatto rimangono indubbi.
(Marco Andreoletti)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume I grandi maestri: Frank Quitely.
Ultimates contro Hulk, di Mark Millar e Bryan Hitch

C’era una strana tensione ad animare The Ultimates. Il progetto nacque nel 2002 come un aggiornamento degli Avengers per il nuovo millennio a opera di Mark Millar e Bryan Hitch, che ripensarono il gruppo come se stessero mettendo in scena un blockbuster hollywoodiano.
The Ultimates era anti-fumettistico nelle dinamiche (Quicksilver e Scarlet Witch hanno uno strano rapporto ai limiti dell’incesto, Hank Pym ha seri problemi comportamentali, c’è un uomo che dice di essere una divinità nordica, che sia solo uno squilibrato?) ma folle e rutilante nell’esecuzione, con dialoghi pieni di riferimenti alla cultura pop dell’epoca – molto inusuali per un prodotto fumettistico – e uno stile spaccone, distante da qualsiasi verosimiglianza al reale.
Il fumetto supereroistico veniva da una stagione dove tutto veniva urlato in faccia al lettore, tutto doveva essere sopra le righe. Hitch illustrava queste sceneggiature con un approccio serissimo, ragionando molto sugli stacchi del montaggio e sugli spazi, spesso rettangolari come il fotogramma di un film, della vignetta, quasi fosse un cinematografaro consumato. Dove Millar tendeva sempre all’esagerazione, Hitch riportava il tono della discussione a livelli dignitosi. Epici, colossali, scioccanti, ma sempre stilisticamente composti. Sembra quasi che Hitch stesse cercando di smussare le smargiassate di Millar. Senza Hitch, The Ultimates non sarebbe stato un fumetto altrettanto cinematografico. I lavori precedenti del disegnatore inglese, come The Authority, utilizzavano già le vignette orizzontali e quel senso di pulizia del racconto che sono cose di cui Millar ha sicuramente approfittato.
Hulk spacca Manhattan! è un esempio perfetto di questo approccio. Bruce Banner si è trasformato in Hulk e sta mettendo a ferro e fuoco una New York piovosa. Tocca agli Ultimates, nelle persone di Capitan America, Iron Man, Giant-Man, Wasp e Thor, risolvere la situazione. Siamo al quinto episodio della serie e, salvo una sequenza nel primo numero, non abbiamo ancora visto gli eroi in battaglia. Questo è il loro debutto e Millar dedica loro tutto l’albo, che è in sostanza una sequenza d’azione senza sosta. Hitch è chiamato a suonare una partitura che assomiglia più a un esercizio di apnea che a una lettura confortevole. Non c’è pausa, non c’è pagina con due personaggi seduti a un tavolo a discutere. È una scena d’azione dopo l’altra.
Il disegnatore inquadra da distante le scene, ci mostra gli ambienti, sistema la sua cinepresa e poi lascia che i personaggi dentro la vignetta scatenino il finimondo. Occasionalmente si avvicina, ma preferisce la visione complessiva al dettaglio. Anche nella scelta dei movimenti da disegnare, l’autore è attentissimo. L’occhio sa sempre dove guardare all’interno della scena, dove sono i personaggi, cosa stanno facendo e quali sono le loro intenzioni.
Per Hitch, il momento d’impatto non deve essere per forza una splash page e la splash page può anche raccontare la stasi. Spesso l’apice di un’azione sta in un rettangolo medio-piccolo. E delle tre vignette a tutta pagina dell’albo, due sono abbastanza canoniche e ritraggono il classico momento in cui un personaggio esplode o si esibisce in una dimostrazione di forza (Hulk che impazzisce di rabbia e Thor che cala il suo martello su Hulk), ma l’altra è uno scorcio della città quasi ad altezza marciapiede in cui vediamo Giant Man imprigionare tra le mani Hulk, che stava scalando un palazzo.
Un passaggio concitato diventa un momento per tirare il fiato (e sarei curioso di vedere cosa avesse scritto Millar in sceneggiatura per descrivere la pagina). Giant-Man sembra aver messo fine alla corsa di Banner, possiamo fermarci e guardare il paesaggio urbano, rimirare Giant-Man in posa come una statua greca, vestito con il suo costume high-tech, quasi fosse un’installazione artistica.
Tempo tre vignette e Hulk si è liberato dalla presa. E si ricomincia. Anche nella frenesia più totale dell’albo, dove in ogni vignetta c’è sempre qualcosa che si muove (anche solo la pioggia), Hitch e Millar hanno trovato scorci di quiete per ritmare l’azione e gestire il tempo di lettura.
(Andrea Fiamma)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Marvel Omnibus: The Ultimates.
Invincible contro Conquest, di Robert Kirkman e Ryan Ottley

Invincible di Kirkman e Ottley ha sempre giocato alternando momenti leggeri a passaggi decisamente più crudi, dimostrando una propensione alla violenza più esplicita spesso davvero sopra le righe. Nel voler rileggere in maniera realistica l’idea di supereroe è naturale finire a indagare i veri risultati di una rissa tra esseri dotati di forza e resistenza sovrumani. In questo senso il picco più di alto di tutta la serie è sicuramente lo scontro con l’alieno Conquest, un essere potentissimo che condivide con il protagonista pianeta di origine e poteri.
Nell’ottica della serie, Invincible è un titolo dove bene o male tutto finisce per diventare enorme, così lo scontro finisce per durare tre interi numeri, diventando sempre più brutale. Prende il via con un’onomatopea grande quanto una doppia splash page nel numero 62 e procede a suon di diretti in pieno volto, mentre grossi palazzi crollano come se fossero costruiti di carta. Poi si finisce in orbita solo per poter tornare sulla Terra a forza di pugni. Nel frattempo fanno capolino fratture esposte, corpi lacerati e sangue a fiumi. Il tutto mentre i toni diventano sempre più epici.
Il culmine lo si raggiunge con il 64, autentico tour de force splatter e animalesco. Il numero si apre con due braccia che letteralmente esplodono e continua tra ustioni diffuse, fasce muscolari strappate a morsi e ossa frantumate. Lo scontro si conclude con una doppia splash page divisa in trentadue vignette dalle dimensioni identiche dove Mark finisce l’invasore alieno a testate – sfruttando quindi l’unico arto che ha ancora integro – in una reiterazione del gesto grottesca e gratuita.
In primissimo piano abbiamo lo stesso Invincible che recupera il colpo dopo l’ultimo affondo, portandosi dietro una scia di sangue e lasciando intravedere quello che troveremo nella pagina seguente. Il volto di Conquest ridotto a poltiglia di carne e materia grigia. Arriva così al termine uno degli scontri fisici più brutali del fumetto mainstream statunitense, segnando vette di violenza che nel genere non si vedevano dai tempi della trilogia supereroica firmata da Warren Ellis per Avatar Press.
(Marco Andreoletti)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Invincible 12: Duro a morire.
Spider-Man contro Lizard, di Todd McFarlane

A fine anni Ottanta, in Marvel Comics c’era un gruppo di autori a cui era concesso tutto. Tra questi Todd McFarlane, diventato ormai una vera e propria star del disegno, a cui fu assegnato il compito di inaugurare nel 1990 una nuova testata di Spider-Man da lui scritta e disegnata.
Privo di uno sceneggiatore che potesse porgli dei limiti, McFarlane si concentrò sul disegno, scrivendo storie che fossero semplicemente accessorie a esso, senza doversi preoccupare di sviluppare psicologicamente i personaggi o ingegnarsi a trovare particolare motivi per farli scontrare. Emblematico da questo punto di vista fu il suo primissimo ciclo, Torment, in cui Spider-Man si trova ad affrontare uno scatenato Lizard, spinto dai tamburi ipnotizzanti di Calypso, la “vedova” di Kraven il cacciatore in cerca di vendetta.
Lo stesso McFarlane avrebbe in seguito ammesso che Torment è una delle peggiori storie da lui scritte, dando la colpa alla sua inesperienza come sceneggiatore. In ogni caso, in quella storia mise in scena tutto quello che aveva da dare, come dimostra per esempio la doppia splash page che ne apre la terza parte, con Spider-Man e Lizard avvinghiati per un corpo a corpo fra i tetti di New York.
Nel fitto tratteggio di McFarlane, ciò che conta non è la composizione o la chiarezza formale della scena, ma l’impatto visivo che offre. Non importa se proporzioni o prospettiva sono sbagliate, ciò che conta davvero è riuscire ad avvertire la furia impetuosa di Lizard con le sue fauci minacciose, il dolore di Spider-Man mentre viene sbattuto contro una colonna di mattoni, persino il disagio di quest’ultima, che finisce per essere letteralmente travolta dagli eventi, mentre un gruppo i piccioni vola via a dare sostanza all’ambientazione.
Gli anni Novanta del fumetto americano e la cosiddetta “scuola Image” iniziarono proprio da lì, dalla ricerca di un disegno sempre più d’effetto che avesse la prevalenza su tutto il resto, rielaborando la lezione di Kirby in modo fin troppo superficiale. Ma, intanto, molti lettori in quegli anni restarono più di una volta con la bocca spalancata davanti a quei disegni.
(Andrea Antonazzo)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Marvel Omnibus: Spider-Man di Todd McFarlane & Erik Larsen.
Madman contro Mr. Gum, di Mike Allred

Anche se non si tratta di una rissa propriamente detta – qualche pugno viene comunque dato anche in queste pagine, tranquilli – il nono numero di Madman Atomic Comics va a inserirsi per forza di cose all’interno di questa lista. Da raffinato sperimentatore qual’è Mike Allred scansa con eleganza la tentazione di costruire l’ennesimo numero composto unicamente da splash page e sceglie invece di raccontare un’incredibile sequenza d’azione stando all’interno di un’unica enorme vignetta, così grossa da essere suddivisa in 28 pagine.
Quello a cui assistiamo è un concitato inseguimento lungo una strada urbana dove sono coinvolti Frank Einstein, Mr. Gum e una serie di “bestie volanti dalle labbra di pesce”. All’interno della stessa tavola vediamo il protagonista moltiplicarsi in diverse pose in rapida sequenza – come in una sorta di zootropio – scandendo lo scorrere del tempo e dando autentico senso di movimento all’intera narrazione.
Come se questa intuizione non fosse sufficiente a farci capire a che punto di padronanza fosse arrivato Allred dopo anni passati a scrivere e disegnare le avventure di Madman – in realtà tutta la serie Atomic Comics è una scusa per sperimentare con il fumetto da parte di un autore maturo e arrivato – abbiamo anche una sovrapposizione perfetta tra l’aspetto grafico e quello testuale.
Come già detto, a riempire le pagine troviamo il nostro protagonista, le suddette creature dalla forma di grosse fettucce svolazzanti e soprattutto Mr. Gum. Più simile a una massa di elastici in tensione che a un supereroe, Jack Pomade finisce per allungarsi a dismisura e ad aggrovigliarsi con i nemici in assurde contorsioni. Alla stessa maniera i balloon di dialogo e le didascalie relative a un sofferto monologo interiore del protagonista finiscono per intrecciarsi durante l’inseguimento. I due livelli di testo si sovrappongono metaforicamente all’aspetto visuale, si incrociano tra loro, arrivano allo stesso punto per allontanarsi di nuovo e infine ritrovarsi.
Ogni aspetto della narrazione di questo numero è perfettamente coerente e funzionale alla direzione in cui si vuole muovere l’autore, prendendo al volo le distanze dallo scherzo fine a se stesso. Madman Atomic Comics 9 è fumetto nella sua forma più pura, stratificato e progettato benissimo. Oltre a essere essere grandioso a vedersi e divertente da leggere.
(Marco Andreoletti)
Questa storia è stata pubblicata in Italia nel volume Madman Collection 8: Madman Atomic Comics.
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