
Tra i fumetti più premiati di sempre in Francia, Pelle d’uomo di Hubert e Zanzim rappresenta il testamento spirituale dello sceneggiatore francese, scomparso nel 2020 a soli 49 anni. È indubbio che la prematura morte di Hubert abbia inciso sulla ricezione dell’opera, che pur incentrandosi su temi complessi lo fa utilizzando un linguaggio semplice e inclusivo, risultando immersivo tanto per chi per la prima volta si approccia alla poetica dello sceneggiatore francese tanto per chi ha una certa familiarità con l’universo “favolistico” e pur sorprendentemente contemporaneo che ha fatto la sua fortuna.
L’opera di Hubert Boulard è arrivata con estremo ritardo in Italia, dove abbiamo potuto leggere – tradotti da Bao Publishing – il ciclo de Gli Orchi-Dei (insieme a Bertrand Gatignol) e l’apologo morale di Bellezza (insieme a Marie Pommepuy e Sébastien Cosset, in arte Kerascoët). Pelle d’uomo, sempre per Bao Publishing, si inserisce in quel filone che potremmo definire della fiaba gotica. Zanzim lo asseconda – forte di una lunga frequenza artistica iniziata nel 2002 – con uno stile che fa eco a quello dei Kerascoët, ma con una freschezza inedita che rimanda alla leggerezza del primo Nejib.
Il leitmotiv della poetica di Hubert è il mostro e anche in questo Pelle d’uomo la differenza assume l’aspetto del prodigioso, di ciò che per la sua straordinarietà si pone “contro natura”, cioè contro la norma o la consuetudine.

Nel pieno del rinascimento italiano, in un periodo che non è più medioevo – con tutta la sua serie di clichè – ma non è ancora moderno, Bianca è destinata in sposa a Giovanni. Entrambi sono i rampolli di due ricche casate che con questo matrimonio incrociano i loro destini, ma soprattutto i loro affari.
Hubert segue la ragazza mentre scruta da lontano il promesso sposo, cercando di carpire i sentimenti celati dietro il fare cerimonioso e affettato del giovane. La prassi del matrimonio d’affari sta stretta alla ragazza, che vorrebbe conoscere lo sposo prima della cerimonia, sognando un matrimonio fondato sul reciproco amore. Una chimera, un’assurdità nella logica economica e proto-capitalistica della borghesia italiana.
Dinanzi alle inquietudini di Bianca, la zia madrina le confida un segreto: la loro famiglia si tramanda da sempre una pelle d’uomo, che indossata permette alle donne della famiglia di muoversi indisturbate nel mondo degli uomini. Hubert raccoglie un tema classico del genere fiabesco e dell’immaginario mitico come quello del travestimento (il riferimento diretto è nella fiaba Pelle d’asino di Charles Perrault) e lo conduce a un livello superiore, intrecciando il cross-dressing – già centrale nella cultura greca e latina – con tematiche LGBTQ.

L’esplorazione dell’altro sesso da parte di Bianca nei panni dell’altrettanto avvenente Lorenzo la porta a scoprire una realtà brulicante e viva sotto la patina di mascolinità dietro cui si nasconde l’altezzoso Giovanni. Quest’ultimo, infatti, vive la sua omosessualità in luoghi franchi come la taverna del Gatto Strabico. Un’omosessualità mediterranea, caratterizzata da un cameratismo e da una disibinizione che inebria Bianca, alla prese con il suo nuovo corpo. La svolta avviene quando la ragazza si innamora del suo promesso, effettivamente ricambiata, ma guarda caso nei panni di Lorenzo.
Senza entrare con dovizia di particolari nell’intreccio, la vicenda si dipana tra agnizioni e complicazioni tipiche delle narrazioni fiabesche, ma riducendo al minimo la componente “magica” e dando una connotazione “realistica” a quanto narrato. Hubert piega la forma della novella tardo-medievale per creare un mondo ovattato e leggermente stereotipato. È una comfort zone dove è possibile affrontare con leggerezza problematiche che attraversano la nostra contemporaneità senza dover necessariamente incorrere nel rischio di cadute e stecche.
Lo sceneggiatore francese crea così un linguaggio privo di asperità per raggiungere un po’ tutti. Zanzim segue questa tendenza attraverso uno stile sobrio e liquido, ma al contempo privo di quella ruvidità perturbante che invece i Kerascoët sanno infondere nel loro lavoro (si pensi non solo al già citato Bellezza, ma anche al gioiello gotico Dolci tenebre, prodotto insieme a Vehlmann).
Il talento di Hubert è comunque evidente anche in questo Pelle d’uomo: la levità con cui tocca argomenti come l’esplorazione del sesso, la ricerca di una propria identità che passa soprattutto attraverso il corpo, il meccanismo dispotico del potere patriarcale e religioso che genera identità attraverso il controllo delle pratiche sessuali eccetera, è sicuramente un valore aggiunto, ma al contempo mostra il fianco nella volontà di un lieto fine un po’ posticcio e anacronistico.

Nel contempo, però lo sceneggiatore mostra una via per poter parlare di identità di genere senza dover necessariamente ricorrere al vissuto e alla prima persona, senza dover necessariamente ricorrere all’auto-fiction. È una via che pone al centro prima del messaggio, anche una certa estetica della narrazione, mai fine a se stessa, certo a volte accomodante e volutamente trasversale e ampia, ma a buon ragione e con una finalità ben evidente: quello di ampliare la platea dei lettori interessanti a confrontarsi criticamente con le tematiche affrontate.
Nelle sue opere Hubert, coadiuvato da disegnatori che sapevano interpretare a pieno le sue idee, ha infuso il suo vissuto, i suoi traumi e le battaglie che hanno segnato il suo percorso esistenziale e autoriale. Pelle d’uomo va letto e apprezzato come lascito testimoniale, ma anche come l’ennesima e – purtroppo per noi – ultima prova di un talento prematuramente scomparso.
Pelle d’uomo
di Hubert e Zanzim
traduzione di Francesco Savino
Bao Publishing, aprile 2021
cartonato, 168 pp., colore
20,00 € (acquista online)
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