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FocusIntervisteDa "Ruby Falls" a "Daredevil": intervista ad Ann Nocenti

Da “Ruby Falls” a “Daredevil”: intervista ad Ann Nocenti

ruby falls bao ann nocenti intervista

di Mario Moschera*

Un’intervista alla sceneggiatrice Ann Nocenti in occasione dell’uscita italiana di Ruby Falls, fumetto con i disegni di Flavia Biondi pubblicata negli Stati Uniti dall’etichetta Berger Books di Dark Horse e tradotta in Italia da Bao Publishing.

Una cosa di Ruby Falls che ho trovato molto interessante è l’ambientazione. È il Nord America, ma per quello che riguarda la storia della famiglia protagonista, potrebbe essere ambientato davvero ovunque. Anche perché l’idea del ruolo della donna nel mondo è abbastanza universale.

Sai, ci sono molte culture dove, invecchiando, vieni considerato un contenitore per la Storia, sei considerato un saggio… Uno dei miei più grandi rimpianti è non aver intervistato i miei nonni. Mio nonno arrivava dall’Italia e si stabilì in Pennsylvania, comprò un pezzo di terra con una miniera di carbone. Divenne contadino, ed era completamente autosufficiente. E io ho chiesto a mio padre come fosse svegliarsi là la mattina, mungere il latte prima di andare a scuola, cose così. E voglio dire una cosa a tutte le persone là fuori: andate a parlare con i vostri nonni, prima che non possiate più!

Infatti una delle cose che Clara (la nonna della protagonista) ripete è che più cerchi di lavorare sulla tua memoria di una cosa, più finisce che dai una tua versione…

La cambi, ed è strano per me. Ho avuto una lunga carriera eppure vengo sempre intervistata a proposito del mio lavoro in Marvel Comics degli anni Ottanta, e cerco sempre di ragionare su quello che mi ricordo. Sono stata dieci anni in Marvel, ho scritto molti fumetti, ma non ho mantenuto un diario di quei giorni, non ci sono molte fotografie, e c’è stato un solo documentario, Comic Book Confidential (1988) girato da Ron Mann.

Guardandolo, molti mi hanno chiesto chi fossero quelle persone ritratte, ma si tratta di un ricordo vecchio di 30 anni. E tutto quello che volevo dire è: non fidatemi della mia memoria! Mi ricordo solo un certo aspetto, gli scherzi e i giochi che facevamo nel “Bullpen”, perché Mark Gruenwald voleva far esplodere la vita corporativa con qualcosa di esilarante. Ed io racconto sempre queste cose, perché tendo a ricordami solo le cose divertenti.

ruby falls bao ann nocenti intervista

Pensi che Ruby Falls avrebbe preso una direzione differente se tu avessi lavorato con un disegnatore differente?

Assolutamente sì! Qui entriamo nella meccanica di scrivere fumetti. Se avessi preso questo soggetto e lo avessi passato a cinque disegnatori diversi, avrei avuto cinque versioni diverse. Io sono la scrittrice e Flavia Biondi la disegnatrice, ma c’è un terreno comune in cui siamo entrambi storyteller.

Lo puoi notare con The Seeds, con David Aja. Volevo che ci fossero delle maschere nella storia, per dare l’idea di come l’aria fosse meno respirabile, e David ha avuto l’idea delle maschere antigas. E siccome le api hanno una parte fondamentale in questa storia, David ha cercato di inserire l’elemento dell’esagono ovunque, con le api, la diffusione del virus. L’idea era che ci fosse una intelligenza in natura anche migliore di quella degli umani.

C’è una considerazione che il personaggio di Astra fa a proposito delle fake news: più continui a ripetere una bugia, più la gente comincia a crederci. È qualcosa di terribilmente attuale.

Abbiamo scritto con Karen una postfazione in materia. Tutta la storia è stata scritta quando era presidente Barack Obama, poi c’è stato Donald Trump e tutte le fake news. Il fumetto non commenta quello che è successo in quei quattro anni perché era stato scritto prima, ma allo stesso tempo alcuni personaggi sono cambiati completamente.

L’idea che avevo inizialmente per gli alieni era che fossero inizialmente degli inetti, poi ho pensato che avessero una serie di televisori che seguissero in continuazione, e che imitassero quel modo di parlare. E c’è questa bellissima tavola di David quando l’alieno compare per la prima volta, con le televisioni, la bandiera americana e il fucile, in mano che è incredibilmente rappresentativa di qualcosa che stava accadendo in America.

Magari è troppo presto, ma c’è già la percezione di come le cose stanno cambiando senza più Trump?

Sì, assolutamente. Stiamo tutti tornando a respirare, perché per tutto il tempo in cui è stato presidente ha cercato di iniziare e guerre e fare tutte quelle pazzie come scrivere tweet che potessero creare crisi diplomatiche internazionali.

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Come i fan ben sanno, il tuo ciclo di Daredevil venne subito dopo quella di Frank Miller, che era un noir e poteva essere davvero ambientato in qualsiasi periodo storico. Invece con le tue storie leggevamo l’America degli anni Ottanta, soprattutto io ero colpito dal modo in cui Matt Murdock si relazionava con il gruppo di ragazzini che compariva di frequente.

Adoro la run di Frank, è molto cinematografica. M’ispiravo anche io alla storia del cinema, ma ero più legata al neorealismo italiano e a quei registi che non avendo budget, prendevano direttamente dalla realtà e inserivano la finzione direttamente dentro la vita di tutti i giorni, Roberto Rossellini per esempio. Ero legata molto di più a quel tipo di sensibilità.

Il quartiere di Hell’s Kitchen è a New York, io vivo là, quindi perché non andare direttamente là, sedermi in un parco e sentire quello che gente diceva, lo stesso sulla metropolitana e camminando per le strade, per poi mettere tutto in un fumetto. È legato molto al concetto dell’oggetto trovato, come i surrealisti francesi.

Quando eravamo bambini facevamo le prove a scuola, ci dovevamo nascondere sotto i banchi in caso arrivasse una bomba. E così nasce il personaggio di Lance, che è costantemente spaventato dalla possibilità che possa esplodere una guerra nucleare. Pensa alla piaga del Covid, e ti rendi conto che quelle paure non sono così differenti.

L’AIDS comparve negli anni Ottanta, c’era già questa paura se potevi iniziare una relazione che magari ti poteva uccidere… E inoltre, il padre di Lance era Bullet, l’uomo esplosivo che lottava con Daredevil. E naturalmente John Romita Jr., che è uno storyteller meraviglioso, tirò fuori questo look per Bullet, che lo rende simile a una bomba. Tante cose messe assieme funzionarono, ma naturalmente ce ne furono anche altre che non andavano, per cui dovevi provare fino a quando non trovavi la combinazione giusta.

*La versione integrale di questo articolo è disponibile sul mensile Fumo di China 306, ora in edicola, fumetteria e online.

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