Mai sentito parlare di Georges Mougin? È un imprenditore francese particolarmente attento ai cambiamenti climatici, che da oltre cinquant’anni sta perfezionando un sistema per fornire nuova acqua potabile ai Paesi del Terzo mondo. Come? Ricavandola dagli iceberg che ogni anno si staccano dalla costa della Groenlandia, pronti per essere trainati fino ai Tropici ed essere immessi nelle reti idriche delle nazioni più assetate. Semplice, sicuro ed ecologico. Una soluzione che ad alcuni lettori di fumetti Disney potrebbe suonare famigliare, perché qualcosa di simile era già successo su Topolino nel 1975, in una storia molto particolare, intitolata Zio Paperone e gli icebergs volanti.

Scritta da Giorgio Pezzin e disegnata da Giorgio Cavazzano, la storia era nata molto tempo prima di essere pubblicata. I due autori si erano conosciuti per caso, negli anni Sessanta: Cavazzano cercava un inchiostratore che lo sostituisse nel ripasso a china di Romano Scarpa, un’incombenza che gli impediva di disegnare nuove storie e di sperimentare. Pezzin, all’epoca diciannovenne, aveva accettato di buon grado ma presto aveva capito di non essere all’altezza e, per non rompere i rapporti col collega, aveva deciso di proporre una sceneggiatura alla redazione di Topolino, che conosceva e leggeva fin da piccolo.
La risposta del periodico arrivò due anni più tardi, nel 1970: la storia piacque e Pezzin fu convocato a Milano dove sostenne un colloquio con il direttore Mario Gentilini, che gli chiese, fiducioso, se ne avesse altre in cantiere. La prontezza con cui il giovane cominciò a elencare soggetti su soggetti dovette lasciarlo a bocca aperta e si rivelò determinante. In quel periodo infatti Guido Martina, decano degli sceneggiatori Disney, iniziava ad attenuare la propria produzione ed era indispensabile rintracciare nuove leve per garantire un valido ricambio generazionale. Pezzin, sebbene inesperto, corrispondeva perfettamente all’identikit: era dotato di un cervello vulcanico, era amico di un disegnatore e conosceva bene i personaggi.
I suoi primi progetti, però, furono quasi tutti rifiutati dal caposervizio alle sceneggiature, Gian Giacomo Dalmasso, un altro autore di lungo corso che non rispettava minimamente i modelli di Floyd Gottfredson e Carl Barks e che aveva snaturato topi e paperi proprio come Martina. I cartoonist americani erano invece due dei punti di riferimento di Pezzin, che per via di tutte quelle bocciature decise di prendere le distanze dal periodico. Per sua fortuna Cavazzano si ricordò di lui, e quando Dalmasso abbandonò il suo ruolo di editor, nel 1973, lo avvertì subito, sperando di trovare «una spalla con cui lanciarsi da solo», come avrebbe ricordato lo stesso Pezzin.
L’occasione non tardò ad arrivare: lo sceneggiatore mise subito mano ai suoi vecchi spunti e iniziò a elaborare i più promettenti, perlopiù ambientati a Paperopoli, dove Paperone e nipoti si misuravano con problemi di stringente attualità, dall’inquinamento dei mari allo spionaggio industriale. Molti di questi non erano pensati soltanto per quei personaggi, ma per la matita di Cavazzano, che in un primo momento fu l’unico disegnatore di riferimento per Pezzin. I due abitavano ancora nella stesso quartiere di Venezia, a circa 50 metri l’uno dall’altro, e il loro modo di lavorare – in perfetta simbiosi – faceva sembrare le loro storie frutto di un’unica mente creativa. Tra quelle, alcune delle quali scartate da Dalmasso, una parlava di iceberg.

Nei piani di Paperone gli iceberg dell’Antartide costituiscono una gigantesca miniera d’acqua dolce a cielo aperto che, come qualsiasi miniera, può essere registrata a proprio nome e sfruttata fino a esaurimento scorte. Ma perché “volanti”, allora? A causa di Rockerduck, che, una volta messo al corrente di questo progetto, tenta di ostacolare il rivale demolendo il carico di ghiaccio trainato dai suoi rimorchiatori. Paperone ha previsto una manovra del genere e ha già approntato una seconda spedizione, questa volta servendosi di decine di mongolfiere, pronte per trasportare gli iceberg senza insospettire i sommergibili nemici.
In una realtà non troppo distante dalla nostra, in cui presto «anche bere diventerà un lusso», sarebbe stato fin troppo facile per gli autori scadere nella pubblicità sociale e trasformare la storia in una puntata di Superquark, dove per bocca dei protagonisti erano snocciolati i dati salienti del problema. Fu molto utile, invece, trattarlo in chiave comica fin dalle prime tavole, dove a una pattuglia di vigili del fuoco non è permesso di spegnere incendi oltre le 16:00 per via dell’acqua razionata. Allo stesso modo, quando i nipotini mettono al corrente lo Zione del rischio ambientale, sono mostrati alcuni episodi paradossali che volgono in farsa il dramma.
Paperone, poi, era molto diverso da quello a cui erano abituati i lettori di Martina. Non aveva motivo di perseguitare il neghittoso nipote per costringerlo a sgobbare o a estorcergli i pochi risparmi messi da parte, perché dimostrava una volta per tutte di essere un vero genio della finanza, che non aveva bisogno di ricorrere a mezzi illeciti per affermarsi sugli altri e che nutriva un vero rapporto di sangue con i nipoti, con i quali sfogava le proprie gioie e le proprie frustrazioni. E faceva persino capire di amare il rischio, come quando, per battere Rockerduck sui diritti di usufrutto, si catapulta all’ufficio concessioni. Letteralmente.

Erano trovate anomale per il settimanale all’epoca edito da Mondadori. La maggior parte degli sceneggiatori si atteneva ancora scrupolosamente al verbo di Martina: dialoghi frenetici, giochi di parole, gag da romanzo popolare che pervadevano ogni tavola, tempi narrativi dilatati e tantissimi insulti. La sua influenza era tale che persino Massimo Marconi ricorreva spesso ai battibecchi tra zii e nipoti, se il soggetto non aveva appeal. Certo, anche nelle storie di Rodolfo Cimino le discussioni in famiglia erano frequenti, almeno tanto quanto il ricorso a un linguaggio aulico che si prendeva in giro da solo, ma si rideva anche grazie a gag debitrici dell’animazione e che davano importanza al versante grafico senza trascurare la parte testuale.
Pezzin fece lo stesso, ma con una lingua più fluida e accessibile. Diede più importanza alla trama (non più solo un semplice scontro tra due magnati dell’alta società, ma una missione per la salvezza del mondo) e al tempo stesso non lasciò che avesse la meglio sulle battute: queste infatti traevano sempre origine da un imprevisto ai danni degli eroi e non da esigenze di sceneggiatura. Il vero valore aggiunto, però, stava proprio nei paperi, per i quali dopotutto non c’era pericolo a farsi proiettare nell’atmosfera, partire alla volta dell’Antartide o veder precipitare un uomo dall’ultimo piano del deposito, perché perfettamente consapevoli di vivere in un fumetto. A differenza dei paperi di Martina, parodie (spesso malriuscite) di persone in carne e ossa.
Anche dividere la vicenda in due tempi assumeva un nuovo significato. Al lettore era offerta l’occasione di vivere due avventure in una, perché gli iceberg volanti apparivano proprio alla fine della prima metà, prefigurando il trionfo di Paperone. Alimentare le aspettative dando l’esito per scontato fu utile per non cadere nella tentazione di inserire troppi colpi di scena e permise agli autori di lavorare solo sulla forma (dando la precedenza al “come” sul “cosa”).

Rockerduck era un altro punto di forza della storia. Il personaggio creato da Barks nel 1961, utilizzato in un’unica circostanza e poi ripreso quasi esclusivamente da autori italiani, fino ad allora era stato troppo poco spietato con il suo nemico per costituire un problema. Si dava per scontato che fosse molto ricco e che al contrario di Paperone non badasse a spese, ma era raro che i due si dessero battaglia a suon di milioni, come tra Scrooge e il maragià del Verdestan. Qui, invece, mostravano entrambi il loro potere economico e Rockerduck, titolare di un’intera squadriglia di caccia e di una flotta di sommergibili, non era mai stato tanto malvagio.
La sua perfidia era enfatizzata dai disegni di Cavazzano, che in una scena inquadrava Zione e nipoti dal suo punto di vista, mentre prendeva la mira per mitragliare il loro iceberg. Una scelta coraggiosa ma tutt’altro che isolata, perché con Pezzin al proprio fianco (e con l’esperienza da ingegnere di quest’ultimo, fresco di studi universitari) il fumettista maturò uno stile completamente nuovo, più attento alla resa degli edifici e dei mezzi di trasporto, che non avrebbero sfigurato in una storia di taglio realistico, ma ancora molto cartoonesco nei personaggi, nelle proporzioni e nella scelta delle inquadrature.
Cavazzano guardava lontano, traendo ispirazione dai maestri della bande dessinée (Uderzo e Franquin) e alleggerendo la gabbia di vignette a beneficio dei corpi e del lettering grazie al sapiente uso del tratteggio e all’impiego sempre ben dosato delle linee cinetiche. Uno stile che nel 1975 aveva già toccato il proprio apice con Paperoga e il peso della gloria, uscita un paio di settimane prima degli Icebergs, ma nata in quegli stessi mesi, concepita quasi come un esercizio di maturità per il disegnatore e, naturalmente, sceneggiata da Pezzin.

Basta confrontare le due storie per rendersi conto della bravura di Cavazzano. La prima era stata pensata per lasciare libero sfogo alla sua matita e infatti il canovaccio era un pretesto, un cuscinetto dove prendevano forma gag e virtuosismi irresistibili. Per la seconda, invece, il disegnatore si dovette scontrare con una sceneggiatura già fatta e finita, che non sembrava richiedere ulteriori migliorie. Riuscì a farla propria uscendo dalla gabbia il meno possibile: accolse la tematica ecologista (assente in Il peso della gloria) ed enfatizzò il realismo delle espressioni del volto e dei momenti drammatici, tradendo il tratto umoristico soltanto allora.
In seguito Pezzin avrebbe affrontato molto spesso tematiche ambientali, sia con Cavazzano sia con Massimo De Vita, altro astro nascente del fumetto umoristico tout court. Proprio con lui in cabina di regia, nel 1985, avrebbe realizzato Zio Paperone e la colonizzazione del deserto, storia sicuramente meno ambiziosa ma che citava indirettamente gli Icebergs. Questa volta non si trattava di scarse riserve d’acqua dolce, ma di terreni poco fertili. Il magnate deve tentare l’impossibile: rendere produttive le vaste pianure del Sahara, le uniche incolumi dallo smog, e per farlo ricorre a un enorme blocco di ghiaccio. Il suolo, assorbendolo, tornerà così rigoglioso come un tempo (proprio come nell’avventura di dieci anni prima).

Zio Paperone e gli icebergs volanti segnò così una svolta nella carriera dei suoi autori e divertì migliaia di lettori per generazioni, essendo poi stata ristampata con costanza. Anche se la nuova fase dell’evoluzione di Cavazzano non durò a lungo – perché in Disney «c’era troppo poco spazio per interpretazioni personali», avrebbe sentenziato Tiziano Sclavi – diede in ogni caso nuovo lustro a un villain abusato, maggiori attenzioni a una problematica comune e nuova linfa vitale a un papero che, altrimenti, sarebbe rimasto «solo un povero vecchio».
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