di Mario A. Rumor*
Tra le poche vere scoperte del cinema di animazione giapponese, per lo meno in Italia, c’è Beautiful Dreamer (1984), un film lungo quanto un sogno che ancora oggi traina l’ammirazione e lo stupore del pubblico. Nel 1992, quando Yamato Video lo fece uscire in videocassetta, ignorando l’ordine di uscita dei lungometraggi dedicati a Lamù, la scoperta di questo film diretto da Mamoru Oshii fu come un folgorante e imprevedibile big bang.
Il paradosso è che, per quanto ci riguarda, i titoloni che il pubblico in segreto bramava (da Hayao Miyazaki a Dragon Ball) se ne stavano beatamente nel limbo ad aspettare, mentre il “sogno bellissimo” di Lamù – nelle nostre edicole sbarcata a fumetti giusto 30 anni fa – prendeva forma. Galantemente, gli facevano posto. Chi ancora non si separa dalla personale collezione di vhs anime, potrebbe addirittura fissare con occhi da innamorato Beautiful Dreamer circondato da quelli che all’epoca erano considerati tesori preziosi (Venus Wars, Cobra…), o più blandamente una delle tante facce dell’animazione nipponica sulla via del ritorno cultuale.
Beautiful Dreamer è stata una scoperta in quanto, all’improvviso, scombinava l’intero assunto della serie tv nata nel 1981 e diretta con mano libera proprio da Oshii. La scombinava meno una minima percentuale che proprio il regista aveva esaltato su piccolo schermo grazie al suo gusto per il surreale, prelevando da lì il personaggio di Mujaki e facendolo diventare il misterioso ometto dietro le quinte di questo film.
I protagonisti del film erano chiaramente gli stessi studenti del liceo Tomobiki, Ataru adempiva religiosamente al suo ruolo da farfallone impenitente, mentre Lamù accentrava gli sguardi estasiati e voraci dei compagni di classe. Erano loro, certo, eppure erano perfino più belli di prima, con una patina da “grande film” approntata appositamente per lo schermo. E dietro, Oshii architettava una dimensione altra, apriva al dibattito sui confini realtà e sogno, filosofeggiava citando la fiaba di Tarō Urashima (in italiano diventata la storia di Rip Van Winkle) e sottraeva misteriosamente quegli stessi personaggi al climax narrativo facendoli diventare nient’altro che simulacri di pietra.
Quei pochi felici che sgomitavano in quegli anni per dare un senso alla loro passione, ora avevano davanti agli occhi un testimone affatto linguacciuto, la cui filosofia però entrava in testa. L’animazione appariva più nobile, intellettualmente abbordabile senza tuttavia tradire il mandato di divertire o immaginare grandiose scene labirintiche (il liceo con un piano in più), uno scenario distopico e una generale atmosfera inquietante (la città silenziosa sotto la pioggia).
Nella nuova edizione in Blu-ray proposta da Koch Media – con un packaging molto giapponese, che vent’anni fa avrebbe favorito eccessiva salivazione in chiunque – apprendiamo com’è nato il film, ascoltando la voce del regista in un celebre commento audio. Ne capiamo l’essenzialità nella filmografia di Oshii e forse riusciamo a sfatare la sua presunta abilità a fare “capitoli secondi” migliori degli originali. Va da sé che seguire i ricordi e le riflessioni del regista potrebbe essere il modo più ortodosso di avvicinare cotanto genio e al tempo stesso svecchiare il suo lavoro, inquadrandolo in una cornice meno prevedibile di quanto in realtà sembri una volta a disposizione del pubblico.
Di Beautiful Dreamer si sapeva in effetti che la sceneggiatura all’inizio non era soddisfacente, e che il buon Oshii ci mise rapidamente le mani sopra quasi allo scadere del tempo. Sul suo destino animato gravava inoltre l’avversione signorile di Rumiko Takahashi, l’autrice del fumetto di Lamù, ancora convinta di poter interferire con l’estro e l’egocentrismo di Oshii e ricondurre la sua creazione a più miti destinazioni spettacolari. Ma per il Nostro era anche questione d’onore.
Beautiful Dreamer egli lo ha sempre considerato il suo primo vero film, dopo essersi occupato di Only You, capitolo numero uno della saga cinematografica di Lamù uscito l’anno prima, come se fosse un episodio televisivo gonfiato a un’ora e mezza. Se la sua temerarietà resta leggendaria, ne andava in realtà il suo onore di regista, anche perché in dirittura d’arrivo c’era già Tenshi no Tamago (1985) che non scherza quanto a dibattiti cine-filosofici e che farà di lui un autore da riverire.
Insomma, passano gli anni, ma il sogno bellissimo di Lamù continua a resistere all’usura del tempo riuscendo a far impallidire molti nuovi sgargianti film dell’industria animata giapponese. Una pellicola che si può citare per la sua perfezione, la leggerezza con la quale getta nella mischia alcuni celebri simulacri Toho (Godzilla) più per comodità che per reale mania citazionista, e il valore sul campo degli animatori più ganzi degli anni Ottanta: Yuji Moriyama, Ichiro Itano, Tsukasa Tannai, solo per citarne qualcuno. Un manipolo di infaticabili eroi, sotto la guida un po’ folle di Mamoru Oshii.
*La versione integrale di questo articolo è disponibile sul mensile Fumo di China 307, ora in edicola, fumetteria e online.
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