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Graphic Novel"Giù le zampe" di Gato Fernandez, ovvero il velo nero della depressione

“Giù le zampe” di Gato Fernandez, ovvero il velo nero della depressione

giu le zampe gato fernandez comicout

Analizzare criticamente il graphic novel Giù le zampe di Gato Fernandez (edito da Comicout) non solo è un’impresa ardua, ma corre il rischio di essere anche inutile e controproducente. Se non fosse che quest’opera merita non solo di essere letta, ma di diventare parte di una ricca collezione di fumetti al di là dei gusti e delle inclinazioni di ciascuno.

Il lavoro dell’illustratrice argentina Gato Fernandez, allieva e collaboratrice del compianto Carlos Trillo, e innanzitutto militante transgender femminista e della difesa antagonistica delle identità di genere, racconta, come recita il sottotitolo dell’edizione italiana – in verità un po’ fastidioso – una storia realmente accaduta, che riguarda l’abuso minorile intrafamiliare, subìto tra i tre e i sette anni dell’autrice ormai trentenne. 

Ed è subito chiaro che il tema, così delicato ma anche così drammaticamente comune ad ogni tempo e latitudine, prende il sopravvento sugli aspetti grafico-narrativi anche in relazione all’inevitabile e dolorosamente salvifica componente terapeutica della realizzazione di un’opera creativa. La quale è il frutto di un percorso di rielaborazione, e inevitabilmente trasformazione in struttura comunicativa, purtroppo spesso mai conclusivo e definitivo, dell’esperienza traumatica vissuta.

A questo si unisce un’altrettanto forte volontà politica, nel senso migliore del termine, che si esprime in due modi: nella scelta meno remunerativa di non (s)vendere questa narrazione a un editore qualsiasi ma affidarla a una casa editrice indipendente e nell’urgenza di comunicare attraverso un’espressione artistica – in questo caso il fumetto – la realtà di un fenomeno diffuso ben oltre l’immaginabile. 

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Tutto ciò per sensibilizzare e richiamare l’attenzione su un tema tutto sommato ancora poco riconosciuto e spesso oggetto di manipolazione mediatica, se non anche di strumentalizzazione vera e propria per fini diversi. Ma anche per porsi come un possibile strumento di rottura del meccanismo di solitudine e di senso di colpa che colpisce chi ha vissuto o sta vivendo questa brutta esperienza.

Il travaglio creativo, tra dolore e liberazione, di Gato Fernandez si propone anche come un possibile approdo condiviso. Un esempio – se non di un reale superamento, che sarebbe stato assai improbabile – positivo, capace di trasformare, per mezzo del processo immaginifico, un dramma in un’esperienza di comunicazione non solo esteticamente pregnante ma innanzitutto catartica nel suo essere significativa.

Questo racconto grafico, figlio della presa di coscienza di Gato Fernandez, è molto più profondo e universalmente emblematico dello slogan da corteo Giù le zampe, titolo scelto da Comicout per l’edizione italiana che gioca sulla relazione-identificazione del padre-scarafaggio come in una sorta di rivisitazione kafkiana all’inverso. Magari bastassero le parole d’ordine – che servono solitamente a semplificare in ottica market oriented – a fare la differenza.

Il titolo originale, riportato dall’editore nella prima pagina interna, è invece El Golpe de la Cucaracha, traduzione dell’espressione figurata francese “un coup de cafard” (ovvero “il velo nero della depressione”), che, unitamente al sottotitolo che recita Ne la Casa hay Fantasma (“nella casa ci sono i fantasmi”), descrive alla perfezione l’ambiente psicologico in cui vive e soffre una bambina inconsapevolmente infelice, che cerca suo malgrado una normalità impossibile.

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Come espresso dalla stessa autrice le difficoltà nella realizzazione dell’opera non sono state nel linguaggio grafico-illustrativo, che segue la tradizione dell’historieta argentina di derivazione iberica con la sua idea di realismo mista ad accentuazioni caricaturali umoristico-espressive dei diversi momenti emotivi. I risultati non sono esteticamente entusiasmanti ma molto coerenti ed efficaci nel descrivere l’alternanza degli stati d’animo. 

Le difficoltà sono state invece nell’enorme sforzo per cercare di controllare una scrittura che di rado cede al dramma per concentrarsi sul mondo interiore della protagonista bambina. Qui sta la vera centralità di Giù le zampe, ovvero l’epopea del continuo sforzo per coniugare realtà esteriore e realtà interiore attraverso l’ausilio dei meccanismi del fantastico e in qualche modo anche della ricerca di un’altra realtà, quella visibile solo ai puri e ai bambini, che possiamo chiamare in senso lato il bisogno umano di una dimensione del sacro.

Gato Fernandez, al suo primo graphic novel dopo anni di autoproduzioni e fanzine, sceglie la strada narrativa ben conosciuta del realismo magico sudamericano. L’aspetto “magico” è qui riservato in particolare alla costruzione del mondo onirico, alle elaborazioni fantastiche dell’inconscio – in cui animali antropomorfi dialogano e orientano in forma di offesa e difesa la relazione naturale tra il reale e l’irreale – alle proiezioni eroiche e alle visioni arcaicamente epifaniche di un Dio semplice e amico.

Si tratta in sintesi di operazioni psicologiche e comportamenti reali messi in atto da parte di una bambina che assiste impotente a una realtà vissuta in una famiglia dove violenza e abuso verbale e sessuale sono all’ordine del giorno. Quando il padre/orco – uomo violento e fragile allo stesso tempo, descritto come portatore di problemi psicologici che nascondono un pesante senso di inadeguatezza e paura per la possibile perdita dell’omeostasi del nucleo familiare – è in casa, può non bastare la presenza una madre psicologa.

Anche lei è oggetto di violenza e probabilmente abusata, ma allo stesso compartecipe attiva e colpevole in qualche modo dell’instabilità del rapporto di coppia e della trasformazione patologica della situazione attraverso la tardività nella scelta di tutelare psicologicamente e fisicamente i figli. E nemmeno possono bastare una nonna paterna dal comportamento ambiguo, giocato tra il ruolo affettivo e l’odio per la nuora unito a una religiosità moralista, e un fratello più grande, complice ma anch’esso vittima, seppur più consapevole, di questa tragica ma apparentemente quasi normalità di una lenta ma inesorabile dissoluzione di una famiglia.

La risposta a tutto questo è la trasformazione da parte della protagonista del mondo familiare in un luogo di fantasmi dell’inconscio che a volte la terrorizzano e a volte la proteggono con il sottile velo nero di un oblio precario. Esattamente come narrato nel mito di Nittimene che fugge nei boschi dal padre incestuoso per poi essere trasformata da Atena in una civetta, uccello che fugge dalla luce e dagli sguardi per mostrarsi solo di notte.

Questa volontà mimetica di invisibilità si può ritrovare anche in fiabe come Pelle d’asino di Perrault o nel Pentamerone di Giambattista Basile. O, ancora, diventa illuminante il titolo originale del film di Stephen Chbosky, The Perks of Being a Wallflower, ovvero “il vantaggio di essere tappezzeria”, cioè di essere invisibile agli altri, mimetizzandosi, e vivere così in una sorta di cono d’ombra angoscioso ma protettivo.

Purtroppo nel mondo reale difficilmente arriva il lieto fine. Le conseguenze del trauma continuano solitamente a perseguitare e influenzare la vita della vittima di un abuso. E infatti ne in Giù le zampe il finale è solo l’inizio di una lunga e comunque solitaria battaglia psicologica di una bambina poi divenuta donna, accompagnata solo dalle sue antropomorfe amichevoli proiezioni fantastiche.

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Ecco perché questa storia è qualcosa di più e di altro di una semplice denuncia sociale di una brutta storia familiare. Giù le zampe si configura invece come la messa in scena di un topos mitopoietico dove ci si nasconde e che nasconde il fantasma dell’incesto, il cui tabù è ancora talmente angosciante da essere sistematicamente rimosso a livello collettivo, come se fosse una semplice fobia per un insetto. Il tutto rielaborato attraverso una narrazione nonostante tutto molto equilibrata che non cerca il facile ritegno per gli atti di un singolo mostro ma mette sotto accusa l’intera società e il suo sistema di potere patriarcale e le sue istituzioni basilari: la Famiglia, la Chiesa, il Diritto e con esso la Giustizia.

La scommessa di Gato Fernandez è stata quella di denunciare tutto questo parlando di scarafaggi – simbolo della repellenza ma anche di indistruttibilità -, topi antropomorfi, guerriere e bidet apotropaici. Questa è un’opera che parla di un abuso minorile senza lasciare mai il controllo sulla sostanza del linguaggio grafico-narrativo.

È una brutta storia ma è una grande storia a fumetti che non deve essere letta per la scabrosità del tema, nonostante sia necessario entrare in questa narrazione con il cuore e in punta di piedi ma senza timore di sporcarsi le scarpe. Giù le zampe è in realtà un ottimo esempio di come si possa coniugare un’autobiografia dolorosa con l’impegno politico-sociale senza vendersi l’anima, per cercare di far diventare reale l’idea che non si è soli con le proprie paure. E che, per quanto sia molto difficile, bisogna trovare aiuto, uscire alla luce e reclamare la propria libera esistenza.

Giù le zampe
di Gato Fernandez
traduzione di Rocco Fischietti
Comicout, maggio 2021
brossura, 112 pp., colore
16, 90 € (acquista online)

Leggi anche: “Ragazze cattive” di Ancco, storie di violenza domestica

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