“Midori”, lo spettacolo agghiacciante di Suehiro Maruo

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Una tavola da ‘Midori – La ragazza delle camelie’ di Suehiro Maruo

Al suono dello hyoshigi – due pezzi di bambù o di semplice legno collegati da un cordoncino ornamentale – il gaito kamishibaiya annuncia il suo arrivo a bordo di una bicicletta nella polverosa strada del villaggio. Di lì a poco conquista un angolo al crocicchio delle strade principali e mostra il suo teatro di carta. Un nugolo di bambini sciama ai suoi piedi e aspetta che lo spettacolo abbia inizio. Se l’origine del kamishibai affonda le sue radici nel periodo Heian, quando i monaci buddisti armati di rotoli di carta attraversavano il paese del Sol Levante per raccontare miti, leggende e racconti popolari, era durante la depressione degli anni Venti che oltre 5.000 gaito cercavano di racimolare qualche soldo fornendo un’oasi di intrattenimento a basso costo. 

Il clima di quegli anni fu contraddistinto da una severa crisi economica, la prima del periodo capitalistico del Giappone imperiale: le classi più colpite furono quelle meno abbienti, che videro quasi azzerate le esportazioni del riso, con un conseguente calo dei consumi interni. La situazione già di per sé insostenibile fu aggravata dal terrificante terremoto del 1923, che colpì l’area di Tokyo, causando la morte di più di 100.000 persone, oltre a profonde perdite economiche e materiali. 

Tra le figure archetipiche del teatro kamishibai c’è la shōjo tsubaki (la ragazza delle camelie): un’orfana a cui è stata sottratta l’innocenza e che la povertà costringe a vendere fiori per le strade di un Giappone prostrato dalla crisi economica. Quello dell’orfano è un tema che attraversa la cultura nipponica, trovando il suo periodo più fertile dopo la Seconda guerra mondiale. Gli anime ci hanno abituati a confrontarci con questa continua assenza genitoriale, che da un parte riflette la situazione che molti bambini all’indomani dei conflitti mondiali dovettero affrontare e dall’altra, invece, allude agli incessanti ritmi della ripresa e della produzione del capitale, che hanno caratterizzato la società giapponese dal dopoguerra ad oggi.

Spesso le figure genitoriali sono assenti o volutamente colpite da una morte violenta, creando un clima “florido” per lunghi romanzi di formazione: senza passare al setaccio la ricca produzione di manga e anime, il successo di un prodotto come Demon Slayer la dice lunga sulla incorruttibile giovinezza del topos dell’orfano gettato nel mondo. Dal punto di vista storico, questo si riallaccia a temi di provenienza occidentale che trovano un terreno altrettanto fertile in shōjo famosissimi: un esempio su tutti Candy Candy. L’epitome e la magnificazione, soprattutto sul versante realista, resta Una tomba per le lucciole di Isao Takahata. 

Maruo e l’ero guro

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Una tavola da ‘Midori – La ragazza delle camelie‘ di Suehiro Maruo

Suehiro Maruo, indiscusso maestro dell’ero guro, intreccia questo tema classico con l’estetica marcescente e provocatoria che da sempre contraddistingue il suo lavoro. Midori – La ragazza delle camelie, pubblicato da Coconino Press nel 2003 e ormai esaurito da anni, arriva in una nuova edizione curata e tradotta da Paolo La Marca, ma priva di un apparato editoriale degno di nota. Sarebbe stato opportuno ai lettori che hanno conosciuto Maruo con opere come Tomino la dannata e il recente L’inferno nelle bottiglie introdurre un lavoro che potrebbe mostrarsi infiacchito, ma che in realtà contiene in nuce tutte le tematiche, i grafismi e le soluzioni narrative che il mangaka esplorerà nella sua lunga carriera.

Lo stile di Maruo è un coacervo di influenze diverse che affondano le radici nel clima decadente dei primi decenni del secolo scorso: l’art nouveau e una tendenza al gesto decorativo si intrecciano all’estetica ero-guro – un erotismo sui generis interessato alle pieghe più recondite e oscure della sessualità – e non mancano riferimenti al cinema espressionista e a classici del cinema horror.

Nello specifico, Midori è un mash-up agghiacciante tra lo kamishibai e Freaks di Tod Browning. Infatti, la protagonista viene accolta in una compagnia itinerante di freaks, che portano in giro uno spettacolo raccapricciante e straniante. Una compagine di ultimi e abbietti, che vivono in un clima di perdizione e promiscuità.

Nelle prime pagine, ci ritroviamo al centro di un’orgia e di parafilie. Vediamo il direttore dello spettacolo Arashi Koijiro intento in un oculolinctus con Kanabun: Maruo non ha certo remore nel toccare un argomento spinoso come la pederastia. La stessa Midori, vessata dai suoi compagni di sventure, è guardata come un oggetto sessuale, vittima di abusi e provocazioni costanti. La componente sessuale è centrale: l’ingresso del deutero protagonista, il meraviglioso nano Masamitsu, è lo spunto per gettare la stessa Midori al centro di un turbinio di desiderio e di possessione confinante con il sadismo. 

Maruo è un interprete ortodosso dell’ero-guro: il torbido desiderio che esplode nel cuore della cultura giapponese, visto come una risposta al propagarsi dell’occidentosi capitalista, è un territorio che il mangaka esplora con la volontà di schioccare il lettore, ma senza la pruriginosa curiosità borghese, ma con la ferma intenzione di scoperchiare il vaso di Pandora, di mostrare il brulicante e nervoso conatus distruttivo che è a fondo dell’animo umano. 

L’ero guro come esperienza estetica

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Una tavola da ‘Midori – La ragazza delle camelie’ di Suehiro Maruo

La lettura “critica” è soltanto una superficiale patina perbenista: Midori di Maruo va affrontata de visu e letta come un’enorme variazione sul tema, una discesa senza meta nel ventre oscuro del desiderio che si incarna nella putrefazione, nei liquami e nelle aberrazioni viste con un sguardo che annienta la diversità per mostrarla, invece, come una forza inarrestabile. Non è un caso che il desiderio di “normalità” di Midori con il nano Masamitsu si concluda nel nulla e nella ripetizione senza senso: un satori al negativo.

Raccontandoci sempre la stessa storia di abbiezionie, violenza e caduta, il mangaka ha scelto di essere il cantore del nulla, del disfacimento e della corruzione, senza mezzi termini e senza voler necessariamente indorare la pillola con una morale spicciola. 

Leggere Midori – La ragazza delle Camelie di Maruo dopo quasi quarant’anni dalla sua pubblicazione sicuramente non provocherà il disagio che il manga e l’anime dei primi anni Novanta generò nella comunità dei lettori. L’esposizione massiva alla pornografia più estrema, a portata di click, ci ha resi sicuramente più smaliziati, ma la capacità di Maruo di rendere quanto di più marcio un’esperienza estetica gratificante resta una lezione senza pari. Gli epigoni – penso al primo Usamaru Furuya o a Shintaro Kago – non hanno colto a pieno la dedizione e l’abnegazione del maestro.

Le pagine migliori di Maruo non sono quelle in cui cerca di raccontare qualcosa, di darci la parvenza che la storia vada da qualche parte, che proceda verso una risoluzione appagante, ma quelle in cui lo spettacolo ipnotico del desiderio procede senza freni. Osservare le tavole di Maruo è un’esperienza estetica: pensate all’orecchio mozzato trovato dal protagonista di Velluto blu di David Lynch nel giardino di casa e capirete con più facilità la poetica del maestro dell’ero guro.

Midori – La ragazza delle camelie
di Suheiro Maruo
traduzione di Paolo La Marca
Coconino Press, giugno 2021
brossura, 160 pp., b/n e colore
20,00 € (acquista online)

Leggi anche: Intervista a Suehiro Maruo

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