
Corto Maltese nasce a La Valletta nel 1887 da padre inglese e madre spagnola: il primo un marinaio originario della Cornovaglia, la seconda una gitana di Siviglia. Trascorre la sua infanzia a Gibilterra, poi a Cordoba e, infine, a Malta, dove – dopo una breve parentesi in Manciuria – si imbarca sulla Vanità Dorata, iniziando il suo infinito viaggio. Tra il 1904 e il 1936 vive le avventure raccontate dalla mano di Hugo Pratt: sappiamo che partecipa alla Guerra civile spagnola e, forse, proprio nella penisola iberica dopo tanto cammino termina il suo viaggio. Ma Pratt non è mai stato chiaro al riguardo.
Nel 1913 – poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale – Corto, ormai pirata, è abbandonato dalla sua ciurma a largo delle Isole Salomone, e qui ha inizio la sua storia editoriale. È l’estate del 1967 e sulle pagine di Sgt.Kirk, Pratt serializza quello che sarebbe stato il primo atto di una delle saghe più amate e apprezzate della nona arte, Una ballata del mare salato.
La leggenda di Corto Maltese continua a esercitare ancora oggi un fascino magnetico e, nonostante gli anni, le sue avventure sono uno snodo fondamentale per chiunque si approcci al fumetto di genere e di avventura. Il corpo delle opere prattiane, dopo la morte dell’autore, ha subito piccole e modeste aggiunte apocrife. Nonostante il lavoro ineccepibile operato negli ultimi anni da Juan Díaz Canales – creatore di Blacksad – e Ruben Pellejero, gli aficionados non hanno accolto con indulgenza questa riscrittura, tutto sommato canonica e ortodossa del personaggio.
Di conseguenza, il solo annuncio di una nuova avventura ambientata nel 2001 con un giovane Corto Maltese ha fatto accapponare la pelle a molti, suscitando qualche perplessità. Al di là delle sterili querelle che hanno movimentato la comunità dei lettori – contrapponendo scettici e curiosi in una faida tragicomica – alla fine Oceano nero è arrivato in libreria, e la prima stampa è risultata esaurita in poco tempo. Segno che, nonostante tutto, l’opera di Martin Quenehen e Bastien Vivès ha convinto molti ad alzare il culo e correre in libreria.

Devo ammettere di non essere un lettore oltranzista di Pratt e che la mitizzazione e un approccio ideologico e nostalgico mi indispettiscono, pertanto l’approccio alla lettura del nuovo Corto Maltese pubblicato da Cong – editore che detiene i diritti di sfruttamento dell’opera intellettuale del maestro – è stata scevra di qualsiasi pregiudizio. Oceano nero è sicuramente un buon lavoro, grazie soprattutto all’impareggiabile classe di Vivès.
L’autore non è sceso a compromessi con l’immaginario prattiano, ma ha invece declinato con personalità e una buona dose di ruffianeria – inequivocabile marchio di fabbrica – le coordinate estetiche di Corto, immergendolo di forza in una passato prossimo che in realtà appartiene più allo scorso millennio che a un’attualità liquida e edace come quella che viviamo oggi giorno.
La scelta di ambientare la storia durante il settembre del 2001 non è peregrina: così come le storie di Pratt si muovevano all’interno di un periodo di capovolgimenti e metamorfosi socio-politiche, così l’eclettico Quenehen sceglie quel settembre nero come sfondo della vicenda in cui il giovane pirata si troverà invischiato ancora una volta suo malgrado. Certo, qua le vicende storiche sono una sbiadita eco, entrano per così dire dalla finestra e non toccano l’eroe se non marginalmente. Segno di una scelta voluta, ma di certo non ponderata o sviluppata con le implicazioni necessarie.
Quenehen è un lettore attento di Pratt e condivide la dimensione aleatoria e casuale che gira intorno a Corto, che non si precipita, ma precipita all’interno dell’avventura, come un grave lasciato cadere dall’alto di una torre. Non certo per volontà sua, ma quasi per caso: un destino che sembra però farsi vocazione. Il giovane e nuovo Corto, anch’egli nato a La Valletta, arruolatosi in marina e poi diventato pirata, intreccia la sua rotta, accidentata e scomposta, con una serie di comprimari tra i quali non poteva mancare l’immarcescibile Rasputin, qui impelagato con i narcos.

La carne al fuoco è tanta, e Quenehen non si risparmia, compiendo qualche scivolone con passaggi forzati e scene da film d’azione di serie B, nonché un inutile pendant romantico che Vivès avrà appoggiato senza remore pur di disegnare i suoi nudi barely legal. Per fortuna, però, lo sceneggiatore e documentarista francese ha potuto contare sull’impareggiabile storytelling di Vivès. Pur lontano anni luce dallo stile di Pratt, il tratto di Vivès gestisce la materia narrativa con sapienza e con solidità: la bicromia di volta in volta plumbea e incandescente intreccia i fili del discorso donando un ritmo costante e forte di inaspettate aperture poetiche.
Dietro una copertina mediocre si nasconde così l’ennesima prova del talento del fumettista francese, che sciorina – con un po’ di autoindulgenza – tutti i suoi trick a effetto. La sua lettura esotica del Giappone deve poco al manga, quanto invece a Frank Miller: nella sequenza in cui Corto assiste a una rappresentazione teatrale si avverte un forte eco tanto del giovane Miller del Wolverine con Chris Claremont quanto di quello ormai navigato e che ha fatto sua la lezione del Goseki Kojima di Lone Wolf and the Cub. Il disegnatore eccelle nelle scene urbane, pur mostrando una buona dimestichezza con le ambientazioni più liquide e acquatiche (superba la tavola iniziale).
Alla fine del gioco, il lettore non può dirsi deluso, nonostante Corto indossi un eskimo e un berretto e abbia a che fare con telefonini, auto e servizi segreti. Ci sono comunque diverse zone grigie: e se il ritmo scorre piacevolmente, resta totalmente elusa quella dimensione mistica che aleggiava nelle tavole di Pratt. Tutto ciò però a patto di sospendere ogni pregiudizio e accostarsi alla lettura come lo si farebbe con un prodotto di consumo, senza coltivare aspettative di letteratura alta, perché in questo fumetto i riferimenti sono altri e soprattutto molto più bassi. Non che il fumetto debba necessariamente coltivare aspirazioni letterarie, può benissimo intrattenere rapporti con una cultura pop(ular) senza cadere nel becero tascabile da lettura domenicale o da deiezione post-prandiale.

Al di là della bontà del fumetto in sé, persiste al margine della lettura una sensazione di fastidio. La colonizzazione dell’immaginario prattiano produce una serie di cliché e di situazioni confortevoli per i lettori più giovani o occasionali e di futili ammiccamenti che circumnavigano il cuore della poetica prattiana senza riprodurne l’incanto. Oceano nero è una storia scritta e disegnata discrettamente, che avrebbe funzionato al di là di Corto Maltese e che proprio in virtù di ciò acquista un carattere parassitario e contradditorio.
Corto Maltese, simbolo di libertà e spregiudicatezza, diventa un brand da utilizzare, commercializzare, riaggiornare a seconda dei gusti e delle necessità contingenti, creando un ibrido mal assortito che strizza l’occhio al passato in maniera guercia e sorride a un futuro in cui le sue avventure evaporano, diventando innocui divertissement. Oceano nero è un’opera al grigio: né troppo calda, né troppo fredda, e poiché tiepida rischia di non lasciare traccia, se non nella cronaca effimera.
Corto Maltese: Oceano nero
di Martin Quenehen e Bastien Vivès
traduzione di Cecilia Gasparini e Marco Steiner
Cong, settembre 2021
brossurato, 168 pp., bicromia
19,50 € (acquista online)
Leggi anche:
- Corto Maltese, l’ambiguità narrativa di Pratt e il nostro sguardo
- Corto Maltese, eroe di un colonialismo ambiguo
- Corto Maltese, lo straniero
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Instagram, Facebook e Twitter.