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NewsDobbiamo parlare di Substack

Dobbiamo parlare di Substack

substack fumetti
Illustrazione di Mike Huddleston dalla serie a fumetti ‘3 Worlds / 3 Moons‘ di Jonathan Hickman per Substack

Nel giro di qualche settimana, Substack – il sito di newsletter a pagamento nato come strumento di comunicazione alternativo per i giornalisti – è diventato un editore di fumetti de facto per una serie di autori di grido come Jonathan Hickman, Jeff Lemire, Mike del Mundo, Molly Knox Ostertag, Donny Cates, Ryan Stegman, Chip Zdarsky, Saladin Ahmed e James Tynion IV. Quest’ultimo, in particolare, si è votato talmente all’impresa da rifiutare di rinnovare il contratto con DC Comics che gli avrebbe permesso di continuare a scrivere Batman. Nella sua newsletter, The Empire of the Tiny Onion, Tynion ha perfino annunciato che abbandonerà i social network, affidando a Substack il compito di rappresentarlo sul web.

Negli ultimi vent’anni, dice Tynion, c’era una sola carriera che ti permetteva di vivere di fumetti: «Prima lavoravi per qualche editore indipendente al fine di attirare l’attenzione di DC e Marvel, poi passavi a scrivere per uno di loro due e tentavi la scalata alle serie più importanti, e poi utilizzavi il credito e il pubblico che ti eri costruito grazie ai supereroi per poter lavorare sui tuoi progetti indipendenti, spesso spendendo i soldi guadagnati per finanziarli. Ma anche facendo così, ci sono dei limiti in quello che puoi fare se la tua preoccupazione è finanziare il numero 6 quando stai scrivendo l’1».

Il modello Substack

D’altra parte, invece di pubblicare fumetti, Scott Snyder – oberato da molti impegni, tra cui un contratto con ComiXology – ha in programma un corso di scrittura. Snyder è lo sceneggiatore che più di tutti ha ragionato sulla strategia migliore per poter finanziare il proprio studio, Best Jackett Press, lavorare per i grandi editori e coltivare i propri progetti creator-owned.

«Avevo due opzioni» ha dichiarato lo sceneggiatore a The Beat. «Una era rilanciare l’incarico in DC e lavorare di più, così da poter pagare i co-autori, ma allo stesso tempo limitare il numero di serie che volevo realizzare. Ho anche preso in considerazione l’idea di andare alla Marvel. Oppure mi sarei dovuto assumere il rischio di provare a fare qualcosa in cui credo e mostrare che i fumetti cartacei e digitali non sono in competizione tra loro.»

L’accordo con Substack prevede infatti che gli autori possano pubblicare i loro fumetti in forma cartacea indipendentemente o con qualunque altro editore. «Nessuno di noi è qui per scappare con i soldi e danneggiare l’industria dei fumetti. Siamo qui perché siamo convinti che alcune di queste strade potranno rendere il settore più grande, migliore, più sano.»

Come riporta VICE, la maggior parte dei disegnatori che lavorano per Marvel e DC non superano i 300 dollari per ogni tavola realizzata (viene da domandarsi come faccia Mark Millar a scrivere, senza ridere, che i disegnatori più quotati in Marvel guadagnano 1.500 dollari a pagina), mentre gli sceneggiatori viaggiano sui 100 dollari a pagina. Cifre più che buone, fintanto che qualcuno continua a commissionarti i lavori. Come per molti liberi professionisti, una volta venuta meno la richiesta, agli autori non è garantita quasi nessuna forma di diritto residuo o tutela lavorativa.

Per molti, scrivere le serie di grandi editori come Marvel e DC è servito a «pagare le bollette», ma, scrive Tynion, «dopo aver visto la differenza di guadagni tra i fumetti che possedevo e quelli che condividevo con un editore, mi è passata la voglia di creare qualcosa di nuovo e importante su cui non avrei avuto il controllo. Alcune delle idee che avevo erano fuori dagli schemi e non avrei potuto finanziarle senza i soldi che facevo lavorando su Batman».

Substack funziona così: la piattaforma offre una sovvenzione una tantum agli autori di fumetti (che la utilizzano per sé, per gli eventuali collaboratori o per altre spese) e detrae, il primo anno, l’85% di tutti gli introiti prodotti dagli abbonamenti, per poi scendere al 10% dal secondo anno. In un tweet poi cancellato, Rob Liefeld ha detto che Substack potrebbe aver pagato ogni sceneggiatore di fumetti fino a 600.000 dollari di “anticipo”, una cifra non confermata ma che giustificherebbe la scelta di autori come Tynion di non rinnovare il remunerativo contratto con DC Comics. Secondo quanto rivelato da Kelly Sue DeConnick (Captain Marvel, Bitch Planet), Substack ha messo sotto contratto i fumettisti affinché realizzino almeno 100 post all’anno. Lo scopo pare chiaro: attirare quanto più pubblico possibile proveniente da quel mondo. Non a caso, il sito ha aggiunto una sezione dedicata al fumetto in cui si invita chiunque avesse velleità autoriali a pubblicare le proprie opere sulla piattaforma.

«Ho letto che li chiamano “anticipi”» ha scritto DeConnick nella sua newsletter di Substack, «ma gli anticipi te li devi guadagnare, queste sono sovvenzioni o sponsorizzazioni, come fa Nike con gli atleti. Sono cifre molto sostanziose in grado di cambiare il nostro settore.» DeConnick, insieme al marito Matt Fraction (Occhio di Falco, Sex Criminals), ha ricevuto l’offerta di passare alla versione a pagamento ma ha dichiarato di non aver ancora deciso se accettare, a causa dei loro innumerevoli impegni, e che riconsidereranno l’offerta in futuro, se sarà ancora valida.

Senza controllo

Tuttavia, Substack si è fatta la nomea di una piattaforma senza filtri che non opera alcun controllo editoriale, dando voce a messaggi d’odio, ad esempio contro donne e persone transessuali. Non è l’unica ad avere problemi di condotta: come ha scritto il New York, «tutti i media sono una truffa» e non esistono piattaforme o reti sociali che non siano compromesse.

Se nella versione gratuita delle newsletter Substack può essere incolpato soltanto di un eccesso di imparzialità, nella versione Pro – quella a pagamento – si innesca una precisa malafede, perché è il sito che va alla ricerca degli autori da ospitare e offre loro degli anticipi. TechCrunch spiega che i fondatori di Substack non hanno voluto divulgare la lista degli scrittori e giornalisti inseriti nel programma Pro, cioè quelli che hanno ricevuto denaro per creare una newsletter a pagamento, di fatto rendendo impossibile capire grazie a quali nomi la piattaforma abbia allargato il proprio bacino di utenti.

Si sono limitati a dire che sono «più di 30 autori, con retroterra diversi; più della metà sono donne e più di terzo sono persone di colore, e nessuno di loro può essere ragionevolmente considerato anti-trans». Può sembrare una questione di lana caprina, ma c’è differenza tra l’assenza di moderazione e il coinvolgimento attivo di una personalità controversa. Ed è proprio questa differenza che ha portato il fumettista Kieron Gillen (Young Avengers, The Wicked + The Divine, Die), da tempo attivo su Substack, a migrare sui server della rivale Buttondown. «È un problema di trasparenza» scrive Gillen. «Non ho idea di chi venga pagato da Substack e quindi non so cosa sto appoggiando implicitamente se utilizzo i loro spazi.»

Saladin Ahmed ha parlato delle contraddizioni nello scrivere su una piattaforma che ha dato visibilità a messaggi d’odio, definendolo un compromesso come molti altri: «Sono stato pagato per leggere poesie contro il razzismo in università fondate sulla schiavitù e ho cercato di raccontare storie contro il capitalismo dentro università di proprietà di aziende miliardarie. […] C’è sempre l’altro lato della medaglia». La risposta che si è dato Snyder è ancor meno convincente: «Sì, ci sono dei problemi e ne abbiamo discusso. E ci sono sicuramente delle questioni che spero affronteranno. Ma alla fine, dove possiamo andare a realizzare un progetto del genere? Su Twitter?».

Per questo, Molly Knox Ostertag, Chip Zdarsky e Jeff Lemire hanno fatto sapere che doneranno una parte o tutta la loro quota degli abbonamenti a organizzazioni di beneficenza (Zdarsky e Lemire hanno scelto Rainbow Road, che si occupa di aiutare persone della comunità LGBTQ in difficoltà, Ostertag donerà a rotazione a vari enti).

Quello di Substack è il proverbiale accordo che non si può rifiutare. Su The Beat, Heidi MacDonald l’ha definita la strategia del «lanciare soldi provenienti da investimenti venture capital addosso ai fumettisti». Dal punto di vista degli autori, è un sogno che nessuno si sarebbe mai aspettato: appoggio finanziario incondizionato e libertà totale sui contenuti, un lancio nel vuoto ma con la rete di sicurezza sotto. Dal punto di vista di Substack, una scommessa rischiosa in cui si punta su una nuova forma di fumetto senza alcuna struttura editoriale attorno alle persone che lo realizzano. Un autore potrebbe rivelarsi poca cosa senza la spinta del supereroe protagonista delle storie che realizzava, o potrebbe non essere in grado di costruirsi, mantenere o allargare il proprio pubblico.

Snyder assicura che l’entrata in gioco di Substack nell’industria dei fumetti rappresenta una «scossa sismica. […] Substack fornisce questa iniezione di capitali per farci fare le cose che ci stanno a cuore. Possiamo produrre di più e prendere il controllo delle nostre carriere per non dover essere sempre ostaggio dei grandi editori». «Voglio realizzare tutte le cose fighe che ho in testa che so dovrebbero esistere senza dover chiedere il permesso a nessuno» gli fa eco Tynion. «Se giochiamo bene le nostre carte, questo sarà l’inizio di un nuovo paradigma.»

Il rovescio della medaglia

Nonostante gli annunci altisonanti, la bontà dell’applicazione del modello newsletter al fumetto resta tutta da vedere: gli abbonamenti sono molto costosi per quella che è l’offerta base (un fumetto che potrà essere letto online, sulla piattaforma o sull’app parzialmente a pagamento Panels) e i nomi di richiamo potrebbero non bastare per spingere gli appassionati a smaterializzare un’esperienza, quella della lettura dei fumetti, che resta profondamente fisica. Specialmente se gli autori realizzeranno le loro opere con quella mentalità e senza sfruttare le potenzialità dell’infinite canvas – il massimo che hanno azzardato è stato promettere capitoli di lunghezza variabile, ma nulla più, perché la destinazione ultima a cui tutti pensano resta lo scaffale di una libreria. Gran parte degli autori lo ha già confermato, ma per avere la certezza di vedere la copia fisica bisognerà vedere come risponderà il pubblico ai vari titoli.

D’altro canto, è la prima volta che così tanti autori, così tanto famosi, si sono affidati a una piattaforma del genere (Patreon è l’esempio più illustre, ma non ricordo di fumettisti che hanno mollato Batman per dedicarsi solo a quello). Oltre al contenuto, ci sarà da ragionare sulle modalità di fruizione e distribuzione. Per ora l’unico che si è proposto di affrontare la sfida da questa prospettiva è Jonathan Hickman. Durante il lockdown della primavera 2020, l’autore – che supervisionava tutte le serie degli X-Men – aveva proposto alla Marvel un piano per convertire tutte le nuove uscite in digitale.

L’idea era rimasta nel cassetto in seguito alla ripresa delle attività dei distributori, ma Hickman ha continuato a essere intrigato dalle possibilità del nuovo modello commerciale. Secondo lui, la filiera dell’editoria fisica crea due grossi problemi: elimina qualsiasi sorpresa a causa del sistema delle anteprime e degli ordini che impongono agli editori di svelare eventuali colpi di scena affinché le fumetterie ordinino quante più copie del fumetto; e blocca il fumetto in un formato di racconto statico basato interamente su un modello economico. «Voglio che i fumetti siano come sono ora», scrive Hickman, «ma voglio che l’esperienza di lettura torni a essere quella di un tempo, quando andavi in fumetteria e non avevi idea di cosa avresti trovato».

Sarà interessante seguire le strade di questi autori su Substack, i fumetti che realizzeranno e le soluzioni che proporranno. Nessun personaggio noto ad animare le storie, nessun editor pronto a suggerire un’alternativa, nessun tipo di paletto dall’alto, limite entro cui rimanere né obbligo commerciale a cui sottostare. A ben pensarci, si tratta di una prova da far tremare i polsi: è stato detto loro soltanto di fare del proprio meglio. Se falliranno, non ci sarà nessuno da incolpare, a parte loro stessi.

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