di Paolo Sus*
I primi 17 numeri di Stray Bullets di David Lapham apparvero per la prima volta in Italia fra il dicembre del 1996 e la fine del 1999, quasi in contemporanea con gli Stati Uniti. Gli episodi della serie erano pubblicati sulle pagine della indimenticata rivista antologica Il Corvo presenta (Magic Press) che proponeva a rotazione storie di editrici “per adulti” o “indipendenti” del panorama americano, tipo Vertigo e Dark Horse. Ci si trovava roba come Hellboy di Mike Mignola o Preacher di Garth Ennis e Steve Dillon e poi, appunto, Stray Bullets.
La cifra stilistica della serie era però molto differente da quella delle altre. Tavole divise in otto vignette uguali, pochissime splash page, bianco e nero equilibrato, tratto plastico e pulito (quasi europeo). Lapham disegnava e scriveva la serie che pure pubblicava, insieme alla moglie Maria, con la loro casa editrice super indipendente creata ad hoc: la El Capitan Books.
Nel 2000 Il Corvo presenta chiuse bottega. Seguirono anni di buio, ristampe e bocca asciutta. Nel 2020, però, l’avventura è ricominciata. Editoriale Cosmo ha messo in cantiere, e realizzato velocemente, la ristampa del materiale già apparso, la pubblicazione dei rimanenti numeri della serie storica (in tutto 41, usciti dal 1995 al 2005), nonché la pubblicazione del nuovo arco narrativo di 8 numeri prodotto dai Lapham nel 2014 (dopo che El Capitan Books è confluita in Image Comics). Il tutto diviso in sei volumi, di cui ognuno contiene un arco narrativo completo e, volendo, anche godibile a sé.
Felicissimo di quanto sopra mi sono quindi apprestato con spirito immutato (dal 1999), a rileggere uno dei fumetti che più hanno segnato il mio gusto personale in materia. Invece che trovare un’opera datata però mi sono accorto che la lettura di Stray Bullets è ancora fresca e coinvolgente, esattamente come quando l’avevo lasciata.
Stray Bullets 1 – L’innocenza del nichilismo

Quale nichilismo? Cosa vuol dire questo titolo? Il primo numero di Stray Bullets uscì nel marzo del 1995. L’anno prima usciva nei cinema Pulp Fiction di Quentin Tarantino, e Kurt Cobain si sparava nel garage di casa. Quando la serie apparve in Italia, a scuola durante le occupazioni i ragazzi suonavano Smells Like Teen Spirit a ripetizione per ore e ore.
Nessuno di noi aveva più voglia di retorica e colori rassicuranti, invece piacevano quelle piccole storie in bianco e nero di personaggi marginali e sempre sull’orlo del fallimento, dalla morale incerta, vittime e carnefici del mondo, dediti solo, nel bene o nel male, a sopravvivere.
Stray Bullets offriva esattamente questo. Episodi tutti insignificanti, intrecciati fra loro ma senza ordine di importanza, che possono essere raccontati in qualunque ordine cronologico senza che il risultato cambi. Sempre un accrocchio informe restano, un pulp.

Per intenderci, la prima storia The Look of Love, ambientata nell’estate del 1997, è l’ideale punto di arrivo di tutta la trama dell’opera (che inizierebbe nel 1980), in pratica il finale. Per capire chi sono i personaggi di quella storia e come si è arrivati a quel punto, tocca imbarcarsi in un’odissea al contrario, che parte e torna nel sottobosco criminale di Baltimora, tutta composta di storie violente e laide, esplicite ma mai autocompiaciute, mai gratuite. Fottutamente fighe e piene di poesia.
Questo primo volume, Innocence of Nihilism (in originale), ha infatti fruttato l’Eisner Award nel 1997 (miglior ripubblicazione in volume) a David Lapham, che ne aveva già vinto uno l’anno prima con la stessa serie ma come migliore autore unico.
Stray Bullets 2 – Da qualche parte, a Ovest

Dopo aver messo sul tavolo un certo numero di personaggi interessanti, averne ammazzato qualcuno e appena evocato qualcun altro, Lapham estrae poche carte dal mazzo, e quindi seguiamo le vicende solo di alcuni dei personaggi visti nel primo arco narrativo. Vicende che accadono per l’appunto “da qualche parte, a Ovest”.
In questo volume si manifesta una delle tematiche costanti di tutta la serie, cioè la fuga. Fuga intesa come allontanamento fisico dal luogo in cui si era e come esigenza di nascondersi per salvarsi la vita, ma anche fuga dal passato. Fuga dall’oscurità del nichilismo visto nel primo volume.
Per illuminare un po’ le proprie vite i personaggi di Da qualche parte, a Ovest scelgono però un posto dove di sole ce n’è anche troppo. Una città nel deserto della California, fondale tipicamente americano che richiama sia gli insediamenti dei primi pionieri che le promesse di facile fortuna di una Las Vegas qualsiasi.

Seaside City reca però, già nel nome, una promessa tradita. L’oceano non arriverà mai ad aumentare il valore immobiliare delle abitazioni, ma il sole del deserto intanto allungherà le ombre e annerirà ancora di più l’esistenza dei nostri antieroi.
Mentre i protagonisti si dibattono nelle vicissitudini della loro “nuova” vita, attendendo di capire che piega prenderà, noi facciamo la conoscenza di tutto un nuovo sottobosco di personaggi miseri, disperati e sporchi. Gli abbandonati, o illusi, del sogno americano, che vivono le proprie esistenze in un nulla in cui è possibile trovare di tutto e dove è possibile nascondersi da tutto, tranne che dai guai.
Stray Bullets 3 – Altri tizi

Questa volta lo scenario è la Los Angeles di fine anni Ottanta, ma potrebbe in realtà essere qualunque sobborgo americano fatto di villette familiari e posti come il bar di quartiere, dove prima o poi si incrociano le vicende di una nuova infornata di personaggi (altri tizi, appunto).
I Lapham riprovano il colpo, cercando di creare di nuovo quell’intreccio spezzettato de L’innocenza del nichilismo, senza i piccoli criminali di Baltimora, ma con una serie di coppie middle class. Invece che storie di droga e scagnozzi ai limiti del freak, abbiamo miserie matrimoniali, tradimenti, frustrazioni e qualche perversione sessuale. Un’altra faccia ancora del fallimento.

Purtroppo il risultato non è paragonabile al primo volume. Un po’ perché la tecnica di disallineamento cronologico qui produce un risultato meno intrigante, un po’, forse, perché le tematiche sono meno fresche e la narrazione si fa a tratti didascalica. Resta il perenne pulitissimo bianco e nero di Lapham che snocciola le tavole come inquadrature cinematografiche conducendo il lettore ancora avanti nella storia.
Intanto sullo sfondo si staglia con sempre maggior precisione il personaggio di Virginia “Ginny” Applejack, che da filo conduttore inconsapevole (era bambina nel primo volume e poi fuggitiva nel secondo) diventerà sempre più chiaramente la vera protagonista delle storie di Stray Bullets.
Stray Bullets 4 – Giorni bui

Creato nel volume precedente lo scenario in cui questo arco narrativo potrà snodarsi tornano finalmente le vicende lasciate in sospeso nel primo volume e la trama ricomincia a macinare una dose adeguata di colpi di scena.
Arrivano quindi i giorni bui, la resa dei conti per i fuggitivi. Da una parte ricompaiono i killer di Baltimora, dall’altra Ginny prende definitivamente la parola raccontando in prima persona (scrivendo di suo pugno le avventure di Amy Racecar, una sorta di fiction nella fiction) l’orrenda fine che farà la sua fuga da casa.
Come nella migliore tradizione della serie gli eventi poco a poco si mischieranno e tante piccole e gustose vicende si riveleranno interconnesse le une con le altre. La narrazione prosegue in un crescendo di rivelazioni, reticenze, improvvisi cambi di angolazione, illuminando dettagli inquietanti ma lasciando in un grande e necessario cono d’ombra il punto più tragico della storia.
Stray Bullets si rivela definitivamente come “storia di ragazzini”, vero romanzo nero di formazione. Sono le vicende di bambini e adolescenti il vero cuore della serie. Mentre i gangster, gli adulti, appaiono sempre più insensati e bidimensionali, i ragazzini acquistano spessore psicologico e realismo. La maestria dei Lapham si manifesta nella delicatezza con cui riescono a raccontare i personaggi più giovani anche attraverso i loro giorni più bui.
Stray Bullets 5 – Prodezze e sciocchezze

Messi alle spalle i giorni bui, Ginny torna a casa dalla poco amorevole famiglia dalla quale era fuggita tre volumi prima. Si appresta quindi a frequentare le superiori con il marchio della scappata di casa, grazie al quale sarà subito ghettizzata nel gruppo degli sfigati della scuola – bullizzati a rotazione dai membri delle due principali gang del paese: gli atleti e i fattoni.
Uno scenario che si presenta ancora una volta classicamente americano. Un teen drama a tutti gli effetti, ma più dalle parti di The Program che da quelle di Grease. Mentre gli adulti – incapaci di intervenire nelle vicende dei figli – vengono rappresentati completamente appiattiti sulle proprie frustrazioni e inefficienze, i ragazzi, motivati soprattutto dalla ricerca di sesso e droga, riescono a sviluppare un uragano di ritorsioni reciproche che culmina in un finale sotto i pontili della spiaggia degno de I guerrieri della notte.

Un po’ troppi cliché forse rendono questo il capitolo più stanco della serie. L’evoluzione stessa del personaggio di Virginia evidenzia la ricerca di un protagonista “super” di cui Stray Bullets non ha mai avuto bisogno. Ora Ginny, reduce da molte brutte esperienze, è un’adolescente disillusa e fredda, ma con un forte (e personale) senso della giustizia che la porta a scontrarsi con chiunque senza risparmio di colpi.
Un po’ soldato in tempo di pace, un po’ vigilantes, Ginny è diventata una ragazza violenta, letale e stronza. Servirà l’intervento della malavita da Baltimora (ancora una volta) per salvarla da se stessa.
Stray Bullets 6 – Killers (2014)

Stabiliti ormai gli elementi cardine della serie, i Lapham tornano quasi dieci anni dopo nell’universo da loro creato. Sfruttando le molteplici ellissi narrative e i vari buchi lasciati nella trama, ormai possono saltare avanti e indietro nel tempo, ricamando e intrecciando. Si ritorna, ad esempio, al profondo 1982 per raccontare la storia di un altro bambino segnato dall’incontro con Scott lo Spagnolo, lo scagnozzo, il più iconico di tutti, che nello stesso anno Ginny aveva visto far fuori un tizio in un vicolo.
I Lapham riprendono in mano Stray Bullets, tornando alle origini della serie e mostrando consapevolezza degli elementi che hanno meglio funzionato. Ritroviamo quindi un moderato, ma sufficiente, disordine cronologico – quel tanto che basta a lambiccarti il cervello su cause ed effetti, premesse e conseguenze. Ritroviamo Virginia Applejack (nel frattempo riscappata di casa un’altra volta), l’intreccio di vicende di adulti in crisi, ragazzi scalmanati e criminali da strapazzo.

A livello autoriale torna soprattutto una cura per il dettaglio, sia scritto che disegnato, e il gusto per la reticenza narrativa che negli ultimi volumi si era un po’ perso. L’azione è molto spesso lasciata fuori dall’inquadratura, a favore della rappresentazione della tensione (prima) e della difficoltà (dopo) dei personaggi. Torna tutto e si creano ancora nuovi spazi da riempire (forse) nei futuri sviluppi della serie. Questo è il bello dei proiettili impazziti, non sai mai quando hanno fatto l’ultimo rimbalzo.
Stray Bullets – Sunshine & Roses

Il titolo della nuova serie – Sunshine & Roses – forse vuole indurre a credere che arrivi per tutti un periodo di positività e cose piacevoli, ma quella & secondo me segnala con ironia amara che ancora una volta saremo condotti da David Lapham a guardare sotto la superficie. Leggere i reali ingredienti del prodotto, sotto un’etichetta accattivante.
La speranza è che David e Maria continuino così, portando avanti la storia di Ginny mentre arricchiscono di particolari l’intero arco temporale delle vicende, utilizzando e approfondendo tutti i personaggi a loro disposizione. Forse un giorno riusciremo persino a capire esattamente come Joey – il ragazzo protagonista del numero 1 di Stray Bullets – sia arrivato a fare il casino che ha combinato in quell’episodio. Oppure a vedere in faccia il famigerato Harry. O ad assistere agli eventi che hanno portato Beth, Orson e Nina a Seaside City.
Leggerlo oggi
Stray Bullets è ancora oggi un ottimo prodotto di intrattenimento, una macchina narrativa perfettamente funzionante, pensata profondamente e scritta bene. È anche un fumetto di genere, se vogliamo, un genere che oggi si chiamerebbe noir o crime, ma che contiene anche quell’elemento di umana sofferenza, quel gusto per non distogliere lo sguardo dalla deficienza e dall’insensatezza e per farci empatizzare con i peggiori, che lo ricondurranno sempre sotto l’etichetta pulp.
Forse è proprio per questa sua cifra stilistica, che non rinuncia al sesso e alla droga anche quando si racconta di ragazzini, che non si astiene dal mostrare i tradimenti nei matrimoni e le persone che annegano nella quotidianità, pur mantenendo sempre un ritmo veloce e mai moraleggiante, che il mercato italiano ha fatto fatica a collocarlo. Troppa realtà nella fiction e troppo poca finzione nella realtà.

Forse, quindi, il tempo ha fatto bene a Stray Bullets nel senso di allontanarla dagli anni in cui è nata, e con i quali aveva troppi debiti, regalandoci la prospettiva necessaria per contemplarla tutta intera quale è: una monumentale opera al nero. Prendetela dall’inizio, o da qualunque altra parte, e comincerete a sviluppare una tendenza irresistibile a inseguire tutti i personaggi nelle loro varie apparizioni nei punti più diversi della saga.
Entrerete presto in modalità binge, ma attenzione perché Stray Bullets non è affatto un prodotto di questo secolo e quindi qua e là non si fa problemi a disorientarti, rallentarti e tirarti qualche cazzotto di troppo. Ogni tanto dovrete fare una pausa, sarete troppo emozionati, non potrete spararvene subito un’altra puntata. Questo effetto “morso alla gola” d’altra parte era proprio quello che noi ragazzi degli anni Novanta cercavamo, l’essenza dell’estetica che coltivavamo.
*Paolo Sus (Milano, 1979). Cresciuto a pane e Spider-Man (ma all’epoca si diceva Uomo Ragno), è uscito a un certo punto della continuity alla quale adesso pensa spesso con nostalgia. Come autore ha pubblicato il romanzo breve “Pacifico Antico” (Sartoria Utopia, 2021) e il libro-zine “Filosofia Barbara” realizzato nel 2019 insieme all’artista Thomas Raimondi.
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