
Il 24 ottobre 1971 veniva trasmesso in Giappone dall’emittente Yumiuri TV il primo episodio di Rupan Sansei, in Italia poi conosciuta come Le avventure di Lupin III. Una serie animata che, nonostante i 50 anni sulle spalle e i numerosi difetti e le incongruenze dovute alla difficoltosa produzione, regge ancora oggi alla prova del tempo. Ma non è per la qualità in sé e per sé che Lupin è considerata una serie anime di grande importanza nella storia dell’animazione giapponese, bensì per la creazione di una vera e propria mitografia che ha influenzato la cultura pop e l’immaginario di almeno un paio di generazioni.
Tratto dal manga del 1967 di Monkey Punch (nome d’arte di Kazuhiko Katō), il quale si era ispirato a sua volta al famoso personaggio Arsenio Lupin inventato dallo scrittore Maurice Leblanc, Le avventure di Lupin III è una serie cruciale anche e soprattutto per le vicissitudini produttive che hanno coinvolto alcuni dei nomi più importanti dell’animazione nipponica.
Verso la fine degli anni Sessanta, la Toei Animation era tra gli studi di produzione più importanti del Giappone, ma le condizioni di lavoro erano estenuanti, i diritti dei lavoratori non erano rispettati e non sempre c’era la libertà creativa che gli autori avrebbero voluto. Per questo motivo, molti animatori, sceneggiatori e registi decisero di abbandonare la Toei e confluire nello studio A Production.
Tra questi autori, figuravano Gisaburō Sugii, che aveva iniziato la carriera con quel film seminale che è La leggenda del serpente bianco, e Yasuo Ōtsuka, brillante animatore considerato un esempio da schiere di suoi colleghi. Uno dei primi progetti messi in cantiere dal nuovo studio fu proprio una serie animata tratta dal manga di Monkey Punch, passando per un film pilota necessario per convincere eventuali studi di produzione.
A commissionare e finanziare la serie animata fu Yumiuri TV, ma fin da subito ci furono svariati problemi produttivi (ritmi di lavoro incessanti, scadenze troppo imminenti) e creativi (non era ancora chiaro che direzione far prendere alla serie e che taglio dare ai singoli personaggi). La pressione da parte del committente verso gli autori e gli animatori continuò anche durante la messa in onda della serie e si fece sempre più insostenibile, considerando anche che i risultati, in termini di interesse e audience, non erano ritenuti soddisfacenti.
Per evitare una chiusura prematura della serie, la produzione optò per un cambio di rotta, licenziando l’allora supervisore e regista Masaaki Ōsumi. Serviva un nuovo regista e, in generale, qualcuno che potesse dare a Le avventure di Lupin III una direzione creativa diversa a quella intrapresa fino a quel momento.
Ōtsuka, che curava le animazioni, propose due nomi che conosceva bene, poiché li aveva messi sotto la sua ala protettiva ai tempi della Toei, facendoli crescere, coccolandoli, alimentandone il fuoco creativo: Isao Takahata e Hayao Miyazaki, entrambi fuggiti dalla Toei Animation dopo il clamoroso flop di un film a cui avevano lavorato insieme sotto la supervisione dello stesso Ōtsuka – La grande avventura del piccolo principe Valiant – e, proprio per questo, messi ai margini delle nuove produzioni. Takahata e Miyazaki accettarono di buon grado e si ritrovarono in un ambiente in cui fu data loro la libertà di esprimersi come meglio credevano.
Il loro apporto a Le avventure di Lupin III fu drastico e si notò immediatamente, tanto che la prima serie, composta da 23 episodi, vive oggi di contraddizioni e incoerenze piuttosto evidenti. Se all’inizio Lupin è un uomo che di rado ruba (nei primi episodi non lo si vede mai in azione) e che spesso uccide, da un certo punto in poi il personaggio muta, passa dall’essere un uomo privo di etica a eroe romantico con un rigido codice morale.
Furono proprio Takahata e Miyazaki i primi a intuire le potenzialità di Lupin, così come dei suoi comprimari – da Goemon a Gigen, da Zenigata a Fujiko – e fu grazie al loro intervento che il protagonista trovò un inaspettato interesse nel pubblico fino a diventare vero e proprio cult che, ancora oggi, vive e si rivoluziona in forme e narrazioni sempre diverse.
Se è vero che il Lupin entrato nel mito è quello della seconda serie – quella della “giacca rossa”, ben più corposa e complessa (ben 155 episodi realizzati tra il 1977 e il 1980) – è nella prima, quella della “giacca verde”, che assistiamo alla genesi dell’universo Lupin, così variegato, così specifico, così straordinario da influenzare molta animazione a seguire, anche molto distante da quel 1971.
Basti pensare a quanto Spike Spiegel e in generale il gruppo principale protagonista della serie Cowboy Bebop (1998) si ispiri a quello di Lupin, o al fatto che numerose situazioni, gag, approcci narrativi e personaggi di Lupin sono stati ripresi, citati, rielaborati in altrettante produzioni animate e non. Le fughe rocambolesche, i colpi di scena, i cambi di prospettiva: tutti elementi narrativi che sono diventati topoi nel tempo.
Ma anche gli stessi personaggi avevano caratteristiche così peculiari da renderli iconici: Goemon – ispirato al cinema dei samurai di Akira Kurosawa – porta avanti una rigidità morale che non riesce a rispettare a causa degli eventi e di chi lo circonda, e questo amplifica i momenti comici che stridono con la figura del samurai per come la conosciamo; Gigen è un pistolero che si ispira ai gangster e, in parte, ai cowboy dei western; Fujiko è la femme fatale ereditata da molta letteratura e cinema noir/poliziesco, con però una grinta, un’indipendenza e una consapevolezza inusuali per l’epoca.
Infine Lupin, il ladro gentiluomo (mai definizione fu più calzante), che è l’oggetto catartico di tutta la serie, che tutti cercano e nessuno comprende davvero a fondo, l’uomo moderno per eccellenza che, non a caso, cambia maschera spesso e volentieri, assumendo le fattezze di altri e frammentando la propria personalità, senza però perdere la propria coerenza. Non è un azzardo affermare che le modalità di racconto e i profili dei personaggi, le loro interazioni, il modo in cui gli episodi sono sviluppati, sono alla base di molta narrazione contemporanea.
La forza di Le avventure di Lupin III è proprio nei personaggi, ciascuno con caratteristiche differenti che lo rendono unico all’interno del suo universo narrativo. Ciascuno ha le proprie esigenze, i propri obiettivi, un proprio passato con cui fare i conti. Ma anche specifiche passioni, talenti, sogni e incubi. Tutti, però, si incastonano alla perfezione nel contesto della storia, tutti hanno un ruolo fondamentale nel comporre uno spettro di caratteristiche che fotografano la varietà delle emozioni umane.
Perché, pur parlando di un ladro, della sua gang, dei loro desideri di arricchimento, Le avventure di Lupin III è una serie che mette in scena un profondo senso di umanità. Ciò che emerge, nel corso della visione, è una tendenza da parte di tutti a riconoscere il valore empatico verso chi soffre, chi è in difficoltà, verso le ingiustizie del mondo. E così Lupin diventa simbolo di perfettibilità, pur essendo lui stesso un coacervo di difetti umani. Ma, forse, Le avventure di Lupin III è eterna proprio per questo.
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