
Castello di sabbia è uno di quei casi in cui risulta quasi impossibile affrontare criticamente un’opera grafica senza il concreto rischio di commettere l’ultimo nato dei peccati capitali: la pratica abominevole dello “spoilerare”. Con un film tratto da questo graphic novel e intitolato Old, la situazione si complica viepiù. Anche perché il regista di Old altri non è che M. Night Shyamalan, noto per la sua predilezione per le trame e i finali sorprendenti e le atmosfere fortemente ansiogene su cui basa gran parte della riuscita qualitativa dei propri film.
Non sarà, quindi, parso vero all’autore indiano naturalizzato statunitense – già a suo agio con il mondo dei fumetti esplorato in Umbreakable – di trovarsi nelle mani un plot a lui sicuramente supercongeniale, una specie di storyboard ottimamente confezionato, realizzato da un’anima affine come si è dimostrato Pierre Oscar Lévy, su cui poter intervenire a suo piacimento. Il film non l’ho ancora visto ma la regola che in linea di massima è meglio il libro, e conoscendo la propensione a una certa inutile sovrabbondanza stilistica delle sceneggiature e delle regie delle ultime opere del creatore de Il sesto senso, mi fanno propendere verso l’essenzialità illuminante del lavoro di Lévy e Peeters.
Castello di sabbia è un racconto inseribile nell’ambito di quel fantastico che Roger Caillois rintracciava esternamente in una alterità all’interno della normalità e del reale e che Freud aveva anticipatamente battezzato, riferendone gli aspetti alle paure che trapelano dall’inconscio profondo alla coscienza con il termine perturbante. Ora, sarebbe bello poter raccontare, per chi ancora non la conosce, la trama di questo libro con venature fantascientifiche, molto interessante e incentrato su tematiche davvero profondamente universali. Ma non posso.

E quindi vi parlerò del Tempo, non quello meteorologico, dello Spazio, non quello siderale e là dove nessun uomo è mai arrivato prima, e della purtroppo sempre attuale “umana condizione”. Castello di sabbia permette, come poche opere grafiche strutturalmente “aperte”, di coinvolgere il lettore attraverso più piani interpretativi: da quello più filosofico a quello più emozionale e disturbante, che richiama atmosfere fantamistery del libro (e poi film) Picnic a Hanging Rock. La qual cosa risulta assai più importante dello svolgimento della trama stessa.
Il concetto di Tempo, a cui si lega il nostro vivere, e le sue imprevedibili e spaventevoli variazioni sono infatti uno dei misteri che da sempre affascinano e al tempo stesso terrorizzano l’uomo in quanto indissolubilmente legato alla nostra finità, a partire dal mito fondante di Chrónos, che divorava i propri figli e da uno di loro a sua volta fu ucciso, passando attraverso le riflessioni di Seneca e poi Sant’Agostino per arrivare a quelle di Albert Einstein e della fisica quantistica. Non solo, Il Tempo può anche essere percepito individualmente in modalità diverse a seconda delle situazioni.
Di questo parla il novel di Lévy, utilizzando uno spazio scenico fortemente limitato, molto simile a un palcoscenico teatrale nel quale gli attori interpretano la loro vita in evoluzione e devoluzione, costringendo i lettori non solo a far parte della famosa “quarta parete” del teatro ma a “osservare” attivamente quello spazio. Non per niente lo spazio “edenico” in cui si svolge l’azione ricorda molto l’isola di Prospero della commedia “romance”, amore avventure e magia, La tempesta di Shakespeare.
Il racconto di Levy è un implacabile patchwork tra gli alieni che giocano crudelmente con gli uomini di The Dome di Stephen King, il racconto Ghiaccio e fuoco di Ray Bradbury – che ricalca il plot centrale di questo graphic novel – e, per ammissione stessa dell’autore, il film L’angelo Sterminatore di Luis Buñuel, nei quali si possono ritrovare con certezza dei riferimenti diretti che contribuiscono alla trama.

Dal punto di vista grafico invece ci troviamo di fronte a una prova difficile per il pur bravo Frederik Peeters, noto soprattutto per la sua intima opera a fumetti Pillole blu del 2001. La scelta del disegnatore in questo caso è caduta su un tratto volutamente incisivo e a tratti grottesco, che tratteggia persone e scenografie con un segno tagliente e dall’effetto fintamente poco curato.
Dal punto di vista visivo è chiaro che questo intrigante graphic novel risuona insieme all’allegoria de Le tre età dell’uomo dipinta nel tempo da artisti come Giorgione e Tiziano e, per il genere femminile, Gustav Klimt. Ma forse la più interessante e in grado di riassumere l’intera trama di Castello di sabbia risulta quella realizzata dal pittore romantico Caspar David Friedrich nel 1834. In quel quadro si può già trovare tutto quello che abbiamo creduto di trovare in questo graphic novel: le età dell’uomo, lo spazio, il tempo, il viaggio limitato, la natura, la bellezza e il vero senso del tragico e del mistero.
Riuscito il finale, anche se decisamente malinconico. Noi esseri umani rimaniamo comunque soli nel nostro viaggio sulla Terra e non siamo altro che vecchi bambini che costruiscono castelli di sabbia destinati a essere cancellati dal tempo e dalla natura.
👉 Leggi le prime pagine del fumetto
Castello di sabbia
di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters
traduzione di Emanuelle Caillat
Coconino Press, luglio 2021
brossurato, 104 pp., b/n
18,00 € (acquista online)
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