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LRNZ racconta “Geist Maschine”

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È uscito Geist Maschine, il nuovo fumetto di LRNZ (al secolo Lorenzo Ceccotti), apprezzato fumettista, illustratore e designer, già autore di Golem e Astrogamma. I protagonisti di Geist Maschine sono Sol e Len, due ragazzini in lotta per la sopravvivenza in un mondo post-apocalittico, dove la natura si è ripresa, con gli interessi, gli spazi occupati dall’uomo.

Secondo i racconti dei loro genitori, esisterebbe una misteriosa terra promessa, Otan, dove potrebbero tornare a condurre una vita “normale”. Dopo la morte dei genitori, i due faranno amicizia con Aiden, un ragazzo più grande e meno convinto dell’esistenza di Otan. L’incontro con una “geist maschine”, uno degli enormi robot in disuso inglobati dalla vegetazione, cambierà per sempre il corso delle loro vite.

LRNZ ha presentato Geist Maschine a un incontro virtuale con alcuni streamer e testate, tra cui Fumettologica, e ha risposto alle domande dei presenti in un’intervista che vi proponiamo di seguito, condensata e riassunta.

Geist Maschine è debitore di Conan, il ragazzo del futuro di Hayao Miyazaki, ce ne sono altre di meno evidenti?

Io sono un autoscontro di influenze, a fare la lista non finiremmo più. Mi faccio ispirare da tutto il mondo, ma credo che prevalgano i giapponesi. Sicuramente c’è Conan, però se poi vai a vedere nella sostanza, la mia è una risposta alternativa alla visione di Miyazaki, i punti fermi sembrano quelli ma poi c’è un rovesciamento copernicano del paradigma di Conan. C’è sicuramente un dialogo, per quanto si possa dialogare con un autore del genere.

Per Geist Maschine i due autori più importanti sono Tatsuyuki Tanaka (Cannabis Works), un autore che ha lavorato al film di Akira, ma è illustratore, animatore e concept artist. È semisconosciuto in Italia ma è pazzesco. Proprio con questa sua soluzione della grafite, dei personaggi vuoti e degli sfondi dettagliati mi ha dato una prima idea su come affrontare Geist Maschine. Io adoro Linda³, un videogioco degli anni Ottanta in cui ha fatto dei disegni pazzeschi per il manuale di istruzioni che mi sono rimasti tatuati nel cervello.

E poi sicuramente il lavoro misconosciuto di un incisore giapponese di inizio Novecento, Hiroshi Yoshida, uno dei pochi casi di un autore giapponese che si è fatto influenzare dagli occidentali. Lui è stato l’unico che ha lasciato il Giappone per andare a dipingere l’occidente con la tecnica dell’ukiyo-e. È il vero padre di Winsor McCay dal punto di vista grafico, è interessante che si somiglino tanto pur essendo nati ai poli opposti del pianeta. Aveva un approccio estremamente semplice e onesto al disegno perché ha dovuto risolvere una serie di problemi grafici che nessun altro giapponese si era mai posto prima. Come si disegna la Monument Valley con quello stile, per esempio.

Ti sei fatto influenzare anche dai videogiochi, a livello di design?

Il personaggio di Sol nasce per una mia infatuazione sfacciata per un personaggio di The Last Guardian di Fumito Ueda, che è uno che sa creare i bambini come nessuno, la cosa che mi interessava è che i personaggi si portano le loro quest addosso, sono dei puntaspilli con le tematiche della loro storia. Infatti Sol man mano che si fa carico di varie questioni cambia il character design e gli rimane impigliato addosso un pezzo di storia. Questa cosa qui è presa di peso da Fumito Ueda.

Hai disegnato Geist Maschine in diretta su Twitch. Che esperienza è stata?

Io ho sempre desiderato avere uno studio su strada (ce l’ho avuto una volta ma è stato solo fonte di seccature) e quando ho scoperto Twitch ho capito che avrei potuto fare uno studio su strada digitale. L’accordo con i miei follower è molto chiaro: non devo niente a nessuno, sono lì solo per disegnare. Non devo intrattenere. Se uno vuole chiacchierare mentre lavoro va bene, come fosse un luogo di coworking. Alla fine la cosa si è portata dietro mille aspetti positivi insperati.

Non avevi paura di “svelare” i tuoi segreti del mestiere?

Io credo che chiunque pensa di avere un segreto inconfessabile sia uno stupido. Tutto quello che so lo devo alle persone che mi hanno fatto vedere come si fa il lavoro, o l’ho rubato da internet e dalle persone. Da ragazzino trovavo i pdf di James Jean aperti in cui mostrava le fasi del suo processo. Se esistesse un modo per essere un genio che può essere rubato ditemelo che mi attrezzo.

Se c’è una cosa che si capisce dalla realizzazione di Geist Maschine su Twitch è che se anche questo libro fosse perfetto (e non lo è), io mi sono ammazzato per farlo. Quindi sapere il segreto è solo il primo passo. Poi molti autori cedono i loro file di progetto solo a chi paga, tipo Patreon, ma questo crea un rapporto di dipendenza, di dovere. Io non voglio trovarmi in quella situazione. In più, io voglio fare i libri, non vendere la mia conoscenza.

E in che modo Twitch è stato un valore aggiunto?

Gareth Jones una volta disse che la differenza tra musica analogica e digitale non sta nella qualità del suono. Diceva che lui usava ancora il nastro per registrare perché, quando faceva cantare una cantante sul nastro, quella deve tirare fuori la migliore performance della sua vita, perché si registra una volta sola. Io quando lavoro su Twitch è come se facessi un concerto dal vivo, non posso scappare dalle mie responsabilità, devo tirare fuori il meglio.

Disegnare su Twitch mi obbliga ad affrontare la realtà dei fatti, non posso scappare o riciclare. Stare su Twitch ha conferito una qualità più alta al libro, tant’è che le persone che conosco che hanno letto il libro mi hanno detto che è disegnato tanto meglio rispetto agli altri miei lavori. In più, stare con gli occhi addosso ti azzera i vizi e ti aumenta la produttività.

Non ci sono stati effetti collaterali?

Sì, certo, a volte mi domando che senso abbia aver perso un’ora del mio tempo a rispondere a domande stupide di certi utenti, ma è meno grave di spezzettare la giornata come facevo prima. E comunque disegno, mentre gli rispondo.

Gli utenti di Twitch hanno influenzato la storia?

No. Non credo nell’opera d’arte partecipativa in cui la community aiuta a plasmare un’opera, anche perché si ricade in dinamiche dove si asseconda un pubblico che invece, secondo me, va sorpreso. Inoltre, la scrittura avveniva fuori da Twitch, tranne in alcuni rarissimi casi in cui ho cambiato le cose in corso d’opera, e ragionavo a voce alta, ma non mi mettevo a discutere le soluzioni narrative con la chat.

Il mecha design di Geist Maschine è inusuale: i robot dentro sono vuoti. 

Dopo l’uscita di Golem, Bao mi aveva messo in contatto con l’istituto italiano di tecnologia di Genova, dove fanno robot umanoidi. Io insegno design dei sistemi all’ISIA di Roma e ho potuto far collaborare il mio istituto con quello di Genova. Abbiamo creato dei workshop di progettazione robotica e ho avuto i loro progettisti a scuola per poter discutere di come si costruisce un robot.

Al contrario di quello che pensiamo noi, i robot non sono scocche che se le spacchi in due sono piene di circuiti e di ingranaggi. In realtà sono vuoti, sono barattoli che uniscono motori, uniti da un filo di alimentazione e un cavo dati per dire quanto devono muoversi. L’idea di creare un robot abitabile mi ha entusiasmato parecchio. All’inizio avevo un’ambientazione e un robot, e ho potuto unire le due cose, facendo diventare il robot una scenografia. 

Come Golem, anche questo fumetto è ambientato in Italia. Dove nasce il desiderio di parlare di luoghi vicini a noi lettori?

Mi va di raccontare le cose che so solo io. Racconto Roma perché ci vivo. Non saprei raccontare New York come la raccontano i fumetti di supereroi, sarei per forza di cose un superficiale. invece di Roma posso raccontare dettagli unici, perché mettermi in difficoltà da solo? Il primo volume di Geist Maschine è ambientato in uno spazio che io ho vissuto per vent’anni. 

In Time Out of Joint utilizzavi per la prima volta il lettering a mano, presente anche in quest’opera. Come mai hai optato per la tua grafia invece del testo al computer?

Time Out of Joint era una prova generale per Geist Maschine. È successo che ho fatto amicizia con Gipi e un giorno lui mi ha detto che i fumetti letterati al computer gli sembravano come i film doppiati con Loquendo. Ora, io sono abituato a leggere manga e i manga hanno imposto uno standard di testo meccanico, industrializzato. Pensavo che se mi fossi messo a fare il testo a mano, paradossalmente dandogli più umanità, avrei perso quella caratteristica.

Sarebbe diventato più artigianale, ma a me piaceva l’esoticità del distacco prodotto dal testo a macchina. Mi intrigava perché potrebbe venire da qualsiasi paese, invece già leggere la grafia significa avere un’informazione in più, si vede di più l’uomo dietro. Però ovviamente c’è più espressività. Alla fine ho dovuto dare ragione a Gipi.

Questo che è uscito è solo il primo di tre volumi. Quando hai capito che sarebbe stata una storia così lunga?

Io ho letto un sacco di fumetti brevi e lunghi, ci sono storie che nascono lunghe e altre no. Mi interessava da morire sviluppare i personaggi, e per farlo in una storia corale ci vuole spazio. Poi, non mi piace disegnare le vignette piccole – la gabbia del formato francese, per intenderci – e quindi se fai il calcolo ti escono 700 pagine di fumetto.

Le tue tavole sono piene di disegno, non ci sono spazi bianchi, e la tavola spesso è tutta disegnata con una grande immagine su cui sono montate altre vignette. A cosa si deve questa scelta?

Ci sono due motivi. Il primo si chiama Osamu Tezuka, che creava le pagine con una vignetta centrale e altre satellite. Nei fumetti di Tezuka in ogni pagina succede una sola azione, che poi viene contestualizzata nella vignetta grande e declinata nel tempo nelle vignette attorno. L’altro motivo è che creare quei fondali mi risparmia la vignetta in cui mostro l’ambiente, e tengo immerso il lettore nella storia senza spezzarla.

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