Non dimentichiamoci di Luciano Bottaro

luciano bottaro fumetti
Luciano Bottaro nel suo studio | Foto via www.lucianobottaro.it

Luciano Bottaro è stato uno dei più importanti fumettisti italiani. Spiccava sui suoi colleghi grazie allo stile di disegno molto personale e raffinato, che fondeva surrealismo a decorativismo art decò. Ebbe così una carriera ricchissima e internazionale, poiché i suoi fumetti – Pon Pon, Re di Picche, Pepito, i Postorici… – erano amati in Francia ancor più che nel nostro paese. Non solo, fu tra i primi fumettisti italiani ad avere consapevolezza della necessità di far valere i propri diritti, a interessarsi a mantenere la proprietà intellettuale dei propri personaggi, a fondare uno studio per avere più forza contrattuale. Fu anche tra i primi che cercò di far apprezzare il fumetto in quanto forma d’arte e non mero prodotto di consumo, organizzando mostre di disegni originali e invitando nella sua Rapallo autori di fama internazionale.

Questa carriera ricchissima e fondamentale per la crescita del settore in Italia, oggi non è praticamente ricordata. Luciano Bottaro non ha avuto eredi artistici: non solo il suo stile di disegno è rimasto unico e non è mai stato imitato, ma il suo nome non compare quasi mai tra le influenze di chi oggi disegna fumetto umoristico. Se si esclude il sito ufficiale gestito dai suoi eredi, in rete non c’è quasi traccia di lui, peggio ancora nella saggistica su carta. Stesso destino per i suoi personaggi, tanto che oggi è noto quasi esclusivamente per le sue storie Disney, le uniche che vengono ancora ristampate. Belle, bellissime, ma soltanto una parte della sua vita. 

Per provare a capire Luciano Bottaro e la sua importanza, si può partire dal suo studio, rimasto praticamente come l’ha lasciato quando è scomparso nel 2006. È una stanza del suo appartamento in una viuzza del centro di Rapallo, che i suoi eredi hanno conservato pressoché intatta: una libreria con i suoi libri e quelli che usava per reference e ispirazione; una cassettiera piena zeppa di disegni, da cui ogni tanto salta fuori qualche inedito; il tavolino da disegno, con matite e pennelli, su cui ha lavorato per oltre 50 anni; alle sue spalle, appese al muro, alcune tavole originali incorniciate, regali di altri fumettisti o pezzi della sua collezione.

Non è noto a tutti, infatti, che Luciano Bottaro fosse, prima che un grande disegnatore, un sincero appassionato di fumetti, e addirittura un collezionista, cosa rara tra gli autori della sua generazione. Eppure, a leggerne le opere, risulta chiarissimo come questa passione sia stata alla base della sua carriera e della sua poetica. Dalle letture giovanili ha attinto tematiche, influenze, addirittura personaggi, che ha rielaborato nel suo stile inconfondibile.

Gli esordi

pon pon luciano bottaro fumetti
Una tavola autoconclusiva di Pon Pon da Il Giornalino nº 1 del 16 gennaio 1980. I testi sono di Carlo Chendi.

Luciano Bottaro nacque a Rapallo (Genova) il 16 novembre 1931, e nella cittadina ligure passò praticamente tutta la sua vita. Lì andò a scuola – studiò da ragioniere, perché il padre, proprietario di un mobilificio, riteneva che i fumetti fossero una perdita di tempo -, lì iniziò a disegnare a 15 anni per non smettere mai, lì fondò lo studio Bierreci con Giorgio Rebuffi e Carlo Chendi, importante palestra per molti autori liguri, e lì organizzò le prime edizioni della Mostra Internazionale dei Cartoonist.

Anche il suo esordio professionale fu profondamente ligure. Dopo diversi rifiuti, le sue prime tavole furono pubblicate nel 1951 dal settimanale Lo scolaro di Genova, un giornale per ragazzi dall’impostazione molto classica. Bottaro vi creò Joe Polpetta, simpatico vagabondo le cui storielle erano raccontate in vignette accompagnate da didascalie in rima, sul modello del Corriere dei Piccoli. Quattro anni più tardi, sulle stesse pagine fece esordire Sor Funghetto, prima incarnazione del fungo antropomorfo più noto come Pon Pon, che avrebbe avuto in seguito una lunga vita editoriale sul Giornalino.

Negli stessi anni propose a un altro editore genovese, Giovanni De Leo, dodici storielle a strisce con protagonista il bucaniere Aroldo. Il tema piratesco e le trovate surreali con cui riempì quelle poche pagine prefiguravano già due dei filoni che gli avrebbero portato fortuna in seguito. 

Ma allora i tempi non erano ancora maturi perché il giovane Bottaro si potesse esprimere appieno in quel modo: quando mostrò gli albi di Aroldo alla redazione della milanese Editoriale Alpe ricevette un sonoro rifiuto e fu costretto a cambiare rotta, normalizzando i contenuti delle sue storie. «Il fatto è che mi sono dovuto rendere conto che con i fumetti di Aroldo, con le sue stranezze e le sue stramberie narrative, non avrei cavato niente da nessuna parte», racconta in un’intervista raccolta nella bella monografia Luciano Bottaro – un sorriso lungo una vita, pubblicata nel 2007 da ANAFI.

Il pirata della Riviera

Giuseppe Caregaro, fondatore dell’Editoriale Alpe, aveva però intuito il talento di Bottaro e volle commissionargli delle tavole, sempre a tema piratesco. Il nostro inventò quindi il personaggio di Tim, che comparve su qualche numero di Gaie fantasie. L’amico Giorgio Rebuffi, creatore di Tiramolla e del lupo Pugaciòff, stava intanto lavorando per il medesimo editore al lancio di Cucciolo in formato libretto, lo stesso adottato da un paio d’anni da Topolino con grandissimo successo. Propose a Bottaro di disegnare per uno dei primi numeri una storia di Tim su testi di Roberto Renzi (co-creatore di Tiramolla). Luciano però non ritenne la sceneggiatura adatta al suo personaggio e ne creò un altro apposta: lo chiamò Pepito, il corsaro blu

Una tavola da Pepito in edizione francese. La colorazione economica a due colori era tipica delle edizioni dell’epoca.

Con questo terzo piratino Bottaro trovò davvero l’equilibrio tra le sue “stranezze” e lo stile rassicurante che voleva l’editore. Le storie erano puntinate di assurdità, situazioni surreali e non-sense, ma la trama complessiva era tutto sommato lineare, classiche avventure umoristiche di una ciurma di pirati pasticcioni. Intanto, il segno del disegnatore si faceva sempre più raffinato e pulito, libero dalle incertezze delle prime opere. Erano i primi passi di un processo che andò avanti per tutta la carriera, la ricerca della forma pura, del segno netto, della geometria regolare. 

Pepito in Italia ebbe un discreto successo, ma fu in Francia che sbancò. Pubblicato da Sagédition in una testata autonoma già dal 1954, invase le edicole d’oltralpe per oltre un decennio. Quando finirono le storie di Bottaro e dei suoi collaboratori – lo affiancavano Carlo Chendi ai testi, Guido Scala e Franco Aloisi ai disegni – e anche quelle “apocrife” disegnate da Carlo Cossio, gli autori liguri iniziarono a realizzarne direttamente per il mercato francese. 

Se serve una prova di quanto “Pepitò” sia ancora noto in Francia basti citare il fatto che in Italia attualmente non ne esistano ristampe, mentre Cornélius – editore francese di Yoshiharu Tsuge, Robert Crumb e Charles Burns, tra gli altri – ne ha pubblicato due volumi ricavati dalla scansione degli albi d’epoca.

Western, orsi, topi, elefanti, trogloditi… e paperi

Mentre esplodeva il fenomeno Pepito, Bottaro creava per la Alpe la giubba rossa Baldo e il gattino Maramao, e, nel 1961, la coppia comica orso-umano Whisky & Gogo. Non contento, continuava a guardarsi intorno alla ricerca di altre possibilità di collaborazione. «Dicevo di sì a tutti, sempre per il piacere di creare nuovi personaggi e prendevo impegni da tutte le parti: era una follia pura. Se vedete la mia raccolta di lettere scoprirete che è un continuo bombardamento di solleciti, di rimproveri…» racconta sempre nel libro Anafi.

Per circa 20 anni Luciano Bottaro fu presente, spesso in contemporanea, sulle testate di tutti gli editori umoristici più importanti: oltre a Alpe e Lo scolaro, per cui lavorò a fasi alterne fino al 1974 e al 1967, disegnò per Bianconi (dal 1952), Fasani (1960-1964), Cenisio (dal 1961 al 1975), Corriere dei Piccoli e Corriere dei Ragazzi (1972-1977). Nel 1971 inaugurò la trentennale collaborazione con Il Giornalino delle Edizioni San Paolo.

Forse ancora più importante, però, per la sua carriera fu il lavoro su Topolino, del quale divenne in poco tempo uno degli autori più apprezzati; tra gli appassionati viene sempre citato tra i “big” del settimanale, insieme a autori come Romano Scarpa, Giorgio Cavazzano o Giovan Battista Carpi, nonostante rispetto a loro abbia disegnato un numero relativamente esiguo di storie (circa 150 contro le quasi 300 di Carpi e le 600 di Scarpa e Cavazzano).

luciano bottaro personaggi fumetti
Immagine di gruppo dei personaggi di Luciano Bottaro per la copertina del libro ANAFI. Da sinistra, in senso orario: l’orso Whisky; il nostromo Ventinpoppa, il governatore di Las Ananas, lo scienziato Scartoff e Pepito; la bambina Lola e lo sceriffo Maiopi, creati per Fasani; il ranger Baldo; Jolly e Lionello di Il castello dei sogni, su Il Giornalino; Re di Picche e Re di Cuori; Pitagora dei Postorici; Pon Pon e, alle sue spalle, una creatura da una sua storia; i topini Pik e Pok per Bianconi; l’elefante Oscar Nasolungo (Fasani).

Il suo esordio disneyano fu Paperino e le onorificenze, sull’Almanacco del luglio 1952. Non era scritta da lui stesso ma da Alberto Testa, mentre la maggior parte delle seguenti furono di Guido Martina o dei fratelli Barosso, ma già nel 1954 Bottaro iniziò a sceneggiarsi da solo le storie, con Paperino e l’arte moderna. Ben presto gli si affiancò Carlo Chendi, un altro giovane di Rapallo, appassionato di fumetti e con cui era nata una grande amicizia. Insieme i due firmarono in coppia alcune delle storie più amate con protagonisti Paperino e Pippo.

Carlo e Luciano

La collaborazione tra Bottaro e Chendi ebbe un ruolo fondamentale nelle carriere di entrambi, benché dagli anni Ottanta, in seguito a forti attriti, ognuno dei due abbia cercato di sminuire l’apporto dell’altro. Visti da fuori, appaiono proprio come la classica coppia artistica che ha creato un’alchimia irripetibile

Chendi, durante e soprattutto dopo il sodalizio con Bottaro, scrisse ottime storie per altri autori (Giorgio Cavazzano, Giovan Battista Carpi, Romano Scarpa…), ma generalmente meno buone di quelle fatte insieme a lui; d’altro canto, quando si trovò a sceneggiare completamente da solo i suoi fumetti, a Bottaro mancò quella naturalezza, quella freschezza nei dialoghi che Chendi sapeva dare.

Il loro metodo di lavoro, infatti, era fortemente interconnesso. Le idee iniziali per le storie venivano generalmente da Bottaro, che condivideva il soggetto con Chendi. Questi lo sceneggiava, dandogli ritmo e verve, quindi la palla tornava al disegnatore. In questo modo sono nati Il dottor Paperus, le storie con Pippo e la strega Nocciola, Paperino il paladino, ma anche moltissimi fumetti di Pepito e quelli di Pon Pon.

paperino il paladino
Tavola da Paperino il paladino. La trovata di Chendi e Bottaro di far parlare i personaggi in un finto italiano medievale precede di 6 anni “L’armata Brancaleone”.

I due non condividevano solo le storie ma anche la passione per il fumetto e un’idea precisa di cosa volesse dire fare il fumettista (o “cartoonist”, come amavano dire). Tra i primi in Italia si interessarono alla gestione dei diritti delle proprie opere, rappresentandosi spesso da soli presso gli editori esteri, tanto da arrivare a pubblicare la rivista di Re di Picche prima per la Francia e poi in proprio in Italia. 

La fondazione dello studio Bierreci con Rebuffi fu il culmine di questo metodo di lavoro. Intorno a loro si riunì un gruppo che comprendeva anche autori come Giancarlo Berardi, Ivo Milazzo, Enzo Marciante, Maria Luisa Uggetti e altri, con l’idea – giustissima – che un marchio collettivo avesse più potere contrattuale di quello dei singoli autori messi insieme.

Anche la creazione nel 1972, firmata sempre Bottaro e Chendi, della Mostra internazionale dei cartoonist di Rapallo (oggi Rapalloonia) rientrava nello stesso percorso: la valorizzazione del fumetto come forma d’arte, con alcune delle prime mostre di tavole originali in Italia, e al tempo stesso la creazione di una rete di relazioni internazionali. I Bierreci divennero corrispondenti, e in alcuni casi amici, di Carl Barks, Mort Walker e Charles Schulz.

Mort Walker, Giancarlo Berardi, Ivo Milazzo e Luciano Bottaro a Rapallo
Mort Walker, Giancarlo Berardi, Ivo Milazzo e Luciano Bottaro a Rapallo

Disney vista da Rapallo

Luciano Bottaro era cresciuto leggendo Topolino, perciò quando riuscì a lavorarci gli venne naturale basare le sue storie su quello che aveva amato maggiormente del giornale, ovvero Carl Barks e Federico Pedrocchi. Quasi tutti i suoi fumetti più riusciti vedono la ripresa di personaggi preesistenti, che Bottaro (con Chendi) reinterpreta profondamente, sposta di ambientazione, utilizza in modo umoristico o spiazzante.

Il caso più emblematico è Paperino e il razzo interplanetario. Una storia fantascientifica ispirata, nella prima parte, dallo stile del più importante sceneggiatore del giornale all’epoca, Guido Martina, che basava gran parte del suo humor sui conflitti violenti tra i personaggi. Paperino viene schiavizzato e maltrattato da Zio Paperone – e addirittura abbandonato su un asteroide -, ma nella seconda parte il racconto prende una rotta imprevedibile e assurda con la comparsa in scena di Rebo, dittatore di Saturno

Come sapevano tutti i bambini italiani degli anni Trenta, Rebo era l’indimenticabile antagonista di Saturno contro la Terra, serie pubblicata su I tre porcellini, Topolino e Paperino tra il 1936 e il 1946, nata da un’idea nientemeno che di Cesare Zavattini, sceneggiata da Pedrocchi e disegnata da Giovanni Scolari (ne ha scritto tempo fa il nostro Antonio Dini e ne esiste una riedizione in volume di lusso). Il loro Rebo è un personaggio immenso, titanico, spietato, un dittatore crudele e geniale. Impossibile per l’adolescente Bottaro non innamorarsene.

Venti anni più tardi, l’autore decise di recuperarlo per la sua storia, rileggendone la figura con l’ironia dell’età matura e l’umorismo del fumetto disneyano. Ispirandosi ai suoi tentativi di invadere la Terra letti da ragazzo, Bottaro raccontò che il tiranno aveva impegnato per decenni il suo popolo in una sanguinosa guerra contro i Gioviali e che ormai gli rimanevano solo due soldati anonimi. Le caratteristiche che rendevano così affascinanti i saturniani di Pedrocchi venivano così ribaltate: la massa di guerrieri alieni trasformata in due soli sgherri senza nome, ciecamente fedeli quanto totalmente inutili, e il loro carismatico duce in un capetto accecato dalle sue ossessioni

Quando, negli anni Novanta, Bottaro tornò su Topolino dopo una lunga pausa, decise tra le prime cose di dare tre seguiti al Razzo interplanetario, calcando sempre più la mano sulla tronfia inettitudine di Rebo. Del maestoso dittatore planetario ormai restò solo una buffa macchietta umoristica.

L’automa costruito da Paperino e le mazzate a Rebo

Andò meglio a Mefistofele, preso di peso dal Faust di Pedrocchi e Rino Albertarelli, un altro “kolossal” del Topolino anteguerra, e piazzato come antagonista del Dottor Paperus, parodia del dramma di Goethe. Anche all’interno di un fumetto umoristico, il diavolo mantiene una sua dignità: sono i paperi e i Bassotti gli attori comici, lui pare quasi uscito dalla vera tragedia.

Ma il recupero più influente sugli autori successivi operato da Bottaro, sempre con Chendi, fu quello della strega Nocciola. Nata in animazione e portata nei fumetti da Barks nel 1952 in Paperino e le forze occulte, avrebbe dovuto essere uno dei molti personaggi “usa e getta” dell’Uomo dei paperi. Il disegnatore di Rapallo, invece, se ne innamorò e decise di utilizzarla prima contro Paperino, poi come comprimario nel Dottor Paperus e infine di affiancarle un personaggio esterno al mondo dei paperi: Pippo. In Pippo e la fattucchiera la strega piomba in casa dell’amico di Topolino e fa di tutto per convincerlo di essere – appunto – una strega. Lui, imperterrito, continua a non crederle, sminuendo ogni incantesimo e prendendo le magie per trucchetti da prestigiatore.

pippo nocciola luciano bottaro
Impagabile l’espressione di Pippo in questa scena clou del suo primo incontro con Nocciola.

Perfino questo atteggiamento di Pippo nasce dalle letture fumettistiche di Bottaro. L’ispirazione è chiara, viene dal primo incontro di Topolino e Pippo con Eta Beta nelle strisce quotidiane disneyane di Bill Walsh e Floyd Gottfredson, in cui lo spilungone si rifiuta di credere all’esistenza di un essere così strano, a prescindere da qualsiasi cosa lui faccia. Nega la realtà, nega i suoi sensi, e lo stesso fa per tutta la serie di storie con Nocciola che seguiranno a questo primo incontro.

Rubino e le “stramberie”

Nelle sue storie Disney, Bottaro poteva inserire quelle “stramberie” che così poco piacevano a Caregaro. Non poteva esagerare a livello di soggetto, ovviamente, anche se all’epoca gli autori di Topolino avevano meno paletti di quelli attuali, ma si sbizzarriva nei disegni. Sembrava cercare ad ogni occasione il pretesto per deformare i personaggi, schiacciarli, allungarli, oppure per riempire le vignette di mostriciattoli.

Non erano però esagerazioni “anarchiche” le sue. Il segno del cartoonist di Rapallo era estremamente controllato e pulito e lo divenne sempre più con l’avanzare dell’età. I suoi personaggi erano disegnati con morbidi tratti di pennello, linee regolari nella follia che spesso li alterava. Con il tempo, li costruì sempre più a partire da forme geometriche elementari, quadrati cerchi rettangoli triangoli assemblati insieme. Nelle sue tavole, la regolarità euclidea conviveva con lo sconquassamento più totale.

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La prima tavola dei Postorici, dal Corriere dei Ragazzi nº 7 del 17 febbraio 1974

Diversi critici e lettori hanno avvicinato Bottaro a Picasso, un paragone invero non azzeccatissimo. Se volessimo trovare ispirazioni per il suo modo di disegnare dovremmo piuttosto tornare, ancora una volta, ai “giornaletti” che leggeva da ragazzo: oltre agli autori statunitensi di strip di inizio Novecento (su tutti, direi Dirks e McManus, i creatori di Bibì e Bibò l’uno, Arcibaldo e Petronilla l’altro) saltano subito agli occhi somiglianze, nella stilizzazione dei personaggi e nel surrealismo delle storie, con Sergio Tofano e Carlo Bisi, autori rispettivamente del Signor Bonaventura e di Sor Pampurio, e soprattutto con Antonio Rubino, illustratore e fumettista tra i più noti della sua generazione, creatore, tra gli altri, di Quadratino per il Corriere dei Piccoli

Quello di Rubino su Bottaro fu un imprinting vero e proprio. Lo racconta lui stesso: «Il mio primo incontro [con il fumetto] è stato con un almanacco di Rubino che si chiamava Coccolino che i miei mi avevano comprato quando ero proprio un bambinetto, non andavo neanche a scuola, all’Upim di Genova. E queste immagini a colori di Rubino mi hanno – si vede – proprio contagiato, perché da allora ho continuato a leggere fumetti».

Dal disegnatore, il ragazzo di Rapallo imparò il gusto per la decorazione quasi liberty. Ogni spazio della vignetta era da riempire – o meglio, intarsiare – con figurine, oggetti, personaggi rigorosamente bidimensionali. E, se possibile, simmetrici. Nessuna sbavatura era permessa, solo geometrie nette e campiture di colori piatti. «Ho cercato continuamente di ripulire il disegno. – si legge nella monografia ANAFI – Più che altro ho tentato di andare sempre verso una maggiore leggibilità. […] Dal Re di Picche in avanti ho cercato di animare un mondo autosufficiente dove tutto – personaggi, sfondi, ecc. – fosse ben legato graficamente»

Proprio le storie del Re di Picche sono l’apoteosi di questa ricerca. Nel mondo delle carte, in cui il sovrano del regno di Picche vuole costantemente fare guerra a quello di Cuori, grazie al “legame grafico” tra gli elementi che lo compongono tutto sembra fatto della stessa sostanza. Ovviamente, la carta. 

I personaggi, nemmeno a dirlo, sono carte da gioco che camminano. Gli edifici sono casette da ritagliare e montare. I mostri – tantissimi, Bottaro si sbizzarriva continuamente – sono papertoy. Anche la vegetazione è composta da sagome di cespugli, quinte bidimensionali così come le colline e le costruzioni in lontananza. L’effetto d’insieme è quello di un mondo fintissimo, irreale, in cui le leggi della natura non valgono. Eppure profondamente regolato.

re di picche
Illustrazione ispirata alle storie del Re di Picche

Quando poteva, Luciano Bottaro tornava a rifugiarsi in quell’universo. Nel 1974 il direttore del Corriere dei Piccoli commissionò a lui e a Chendi una serie per bambini, e loro proposero Il paese dell’alfabeto, storielle in cui le lettere antropomorfe si combinavano a costruire parole.

Con quello stesso stile “rubiniano” nacque un’altra delle opere migliori del maestro di Rapallo, ovvero la sua versione di Pinocchio. Uscita nel 1981, per il centenario del romanzo, era fedele al testo di Collodi ma si distaccava nettamente dalla sua iconografia classica

«Il direttore del Giornalino mi chiese di fare una versione di Pinocchio puntando sulla parte più illustrativa, perché la storia la conoscono tutti. Quindi sottolineare le parti che si prestavano più all’illustrazione». Gli ingredienti furono sempre gli stessi: inquadrature allucinanti, bidimensionalità spinta, figure geometriche e colori pastello a tinte piatte. 

Diciassette anni dopo fu la volta del Castello dei sogni, l’ultima storia lunga firmata da Bottaro fuori da Topolino, e purtroppo mai raccolta in volume. La trama – due menestrelli pasticcioni vengono spediti in mondi fantastici da due scienziati pazzi – era una scusa per mostrare scenari assurdi, in una specie di rivisitazione di Alice nel Paese delle meraviglie. C’è il mondo degli ortaggi, quello dei conigli, quello dei Nibelunghi e dei Nibecorti… I protagonisti vengono sballottati da una parte all’altra senza sosta, mentre il lettore si immerge in tavole in cui le “stramberie” viaggiano a braccetto con il segno più armonioso mai espresso da Bottaro.

castello dei sogni
Le piante in questa tavola del Castello dei sogni sono un chiaro omaggio allo stile di Rubino.

Ma l’influenza di Antonio Rubino si nasconde anche in opere meno sfacciatamente “rubiniane” nel segno. È il caso delle battaglie disegnate in Paperino il Paladino o nel Dottor Paperus, e soprattutto nelle Mattaglie, una serie di illustrazioni che mettono in scena battaglie matte – da cui il nome – tra decine di soldatini. Pagine fittissime, piene di gag, paragonabili in qualche modo ai celebri paginoni di Benito Jacovitti (altra lettura giovanile sul Vittorioso).

L’idea a Bottaro era venuta scoprendo le paginate umoristiche che Rubino aveva realizzato per La tradotta, giornale destinato ai soldati in trincea durante la Grande guerra. Lui al solito la reinterpretò, inserendoci le sue ossessioni, come l’ambientazione medievale, e un solo balloon in ogni tavola, a fare da contrappunto comico a quanto mostrato.

luciano bottaro mattaglie
Una classica Mattaglia

Un’eredità sparpagliata

Come si scriveva all’inizio, oggi Luciano Bottaro è ricordato principalmente per la sua produzione disneyana, punta dell’iceberg di una carriera ricchissima, piena di personaggi e invenzioni. È un destino piuttosto comune a molti protagonisti del fumetto umoristico italiano. Si pensi a Rebuffi, a Carlo Peroni, a Lino Landolfi, che sono stati fondamentali nelle letture dei ragazzini tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta e poi sono scomparsi dalla memoria dell’industria fumettistica.

Come loro, ma ancora di più, non fosse altro che per l’altissima qualità grafica dei suoi fumetti, Bottaro meriterebbe un posto tra i grandi fumettisti italiani. Eppure, a parte qualche nostalgico e qualche cultore, il suo nome è ignoto ai più. Servirebbe un lavoro di recupero e valorizzazione della sua opera, simile a quello fatto qualche anno fa per Jacovitti prima da Stampa Alternativa e poi da Hachette, oppure addirittura come quelli che faceva Linus nei suoi primi anni di vita nei riguardi delle strip classiche americane.

Insomma, a 90 anni dalla nascita e 15 dalla morte, forse è il momento che lettori, editori e critici italiani ricomincino a parlare di uno dei più grandi disegnatori che il nostro Paese abbia avuto, e del suo ininterrotto canto d’amore al fumetto durato un’intera carriera.

pinocchio luciano bottaro
Tavola da Pinocchio emblematica del suo stile “geometrico”.

Dove si possono leggere oggi le storie di Luciano Bottaro? Domanda abbastanza complicata, perché al momento praticamente non esistono suoi libri a catalogo.

Le sue opere più facili da trovare sono quelle per Disney, che vengono ristampate ciclicamente in Classici, Grandi Classici e affini. Quest’anno, poi, Panini ha pubblicato anche una bella edizione in volume di Paperino e il razzo interplanetario nella collana Topolino Gold. Consiglio di consultare il database I.N.D.U.C.K.S., segnarsi i volumi più interessanti – ad esempio ci sono state parecchie uscite di Maestri Disney e due, introvabili, di Tesori Disney – e frugare nei mercatini.

Più complesso il discorso per gli altri personaggi. Qualche anno fa, ad esempio, Comma 22 ha pubblicato un’antologia curata da Luca Boschi; è fuori catalogo, ma con un po’ di fortuna una copia può saltare fuori. 

Allagalla sta lavorando a una ristampa dei personaggi western – Whisky & Gogo, sceriffo Maiopi, Baldo… – che dovrebbe uscire all’inizio del 2022. Lo stesso editore ha pubblicato una storiella di Pop e Fuzzy nell’antologico La conquista del West.

Per Pepito le strade sono due: o gli albetti usati sulle bancarelle (se avete fortuna potete trovare anche qualche ristampa in volume), oppure la già citata edizione in francese di Cornélius.

Pinocchio e Re di Picche al momento non esistono in libreria, né in italiano né in francese. Entrambi però sono usciti in volume, il primo come supplemento a Il Giornalino nel 1995, il secondo per Vittorio Pavesio nel 1996. Nell’usato o nei reminder solitamente si trovano.

Va peggio con Il castello dei sogni, che si trova solo su Il Giornalino 25-33 del 1998 o ristampato sulla stessa testata nel 2010, dal numero 28 al 36 (in bocca al lupo).

Luciano Bottaro nel suo studio