di Valeria Righele

Dentro a Da sola, il nuovo libro di Percy Bertolini uscito per Diabolo Edizioni, c’è moltissima danza. Una danza solitaria, lontana da palchi, teatri o compagnie, performata in strada, liberatoria. Una danza che celebra la verità e la vita, vissuta come uno spazio sicuro in cui esistere. Forse l’unico.
Ambientata in un universo distopico che punisce e nasconde chi non si conforma alla norma, la trama di Da sola segue la dolorosa vicenda di un corpo scomodo, ospedalizzato perché considerato pericoloso e poco collaborativo con le autorità sanitarie e politiche. Un corpo che non ha nome né cognome. Troppo bambina per essere considerata adulta. Ricoperta da una strana peluria, dunque troppo animale per essere considerata umana. È quantomeno riconosciuta come femmina, una femmina adolescente. Difficile pensare a qualcosa di più spaventoso per una società patriarcale.
Fuggita dall’ospedale, la vediamo passeggiare da sola in una città spettrale, ricoperta di cemento (si chiama, non a caso, Betonstadt). Indosso ha la sua tuta in acetato – ispirata a un capo che Bertolini possiede per davvero – con la zip chiusa fino in cima e il viso che vi si nasconde dentro. Lungo la sua promenade passa per un decadente Circolo del Bridge, un florido negozio di giocattoli, scaloni, terrazzi, gallerie, una sala giochi, un cimitero. Le poche figure che incontra sul suo cammino paiono non notarla, lasciandola indisturbata nella sua fuga.
La tensione emotiva tra il desiderio e la paura di “essere vista” culmina nel momento in cui, infilati gli auricolari, fa partire la musica dal suo lettore portatile e inizia la sua coreografia, in bilico tra danza classica, danza gabber e danza scomposta. Irriverente e potente, sola contro il mondo. La protagonista in quel momento offre il suo corpo all’arena politica, in un certo senso rovesciando la famosa citazione attribuita a William W. Purkey, e ballando come se tutto il mondo la stesse guardando.

Percy Bertolini sembra essere ben consapevole che la danza può ed è stata utilizzata per mettere in scena varie rappresentazioni dell’identità. Come ha scritto Anne Cooper Albright, ballerina e direttrice del dipartimento di danza all’Oberlin College, nel suo Choreographing Difference del 1997: «A differenza della maggior parte delle altre produzioni culturali, la danza si affida al corpo fisico per mettere in atto la propria rappresentazione. Ma proprio nel momento in cui il corpo danzante sta creando una rappresentazione, è anche in procinto di formare effettivamente quel corpo. In parole più semplici, i corpi danzanti producono e sono prodotti simultaneamente dalla loro stessa danza».
Nel ballo, insomma, e nei vari modi in cui chi danza riesce a visualizzare, pensare e comprendere il proprio corpo, proprio lì è possibile dichiarare la propria resistenza alla norma, affermare la propria queerness e mettere in scena una critica al sistema.
In tal senso non è un dettaglio trascurabile il fatto che le tavole di Percy Bertolini in Da sola siano accompagnate da testi liberamente tratti dai Diari del ballerino e coreografo Vaslav Nijinsky, nella traduzione di Maurizia Calusio per Adelphi Edizioni. Come ha raccontato Bertolini in un’intervista radiofonica, anche se il suo libro inizialmente non prevedeva la presenza di testi, «Nijinsky è arrivato dopo, quando io il libro lo avevo già finito».
Per chi non lo conoscesse, Nijinsky (1890-1950) è considerato uno dei ballerini di maggior talento della storia, un vero e proprio “dio della danza”. Interprete maestoso, omosessuale, ebbe una carriera relativamente breve poiché abbandonò le scene prima dei trent’anni, a causa anche dei suoi disturbi di natura schizofrenica. Fu in cura da diversi specialisti della sua epoca ma non riuscì più a trovare pace.

I suoi quaderni risalgono a questo periodo e sono considerati il testamento visionario di un genio tormentato: sono pagine febbrili, piene di annotazioni intense, di disarmante tenerezza ma anche scandalose e talvolta prive di senso. Negli anni sono poi diventate oggetto di culto nella comunità letteraria e lettura irrinunciabile per comprendere il Nijinski artista e il Nijinski uomo.
«Io non sono la trance. Io sono un sentimento in trance. Io sono la trance amorosa. Io sono la carne. Io sono il sentimento. Io sono il sentimento incarnato. Non l’intelligenza incarnata» leggiamo nella sequenza in cui la protagonista di Da sola si tuffa – non metaforicamente – nella piscina fuxia del mondo, per emergerne placida e risoluta, attaccata alla vita come mai prima.
Quella di Vaslav Nijinski è una storia affascinante ed è indubbio che a Da sola verrà nel tempo riconosciuto il merito di averla riportata alla memoria e alla conoscenza di molte persone. Rimanendo in sovraimpressione all’interno di una fascia nera, le parole del danzatore accompagnano i disegni senza interferire con la loro fruizione, al punto che potrebbero anche non essere letti (o letti separatamente, in seguito). La corrispondenza dei Diari con i visual è sbalorditiva.
Certo Bertolini ha corso un bel rischio andando a includere nel fumetto una figura larger-than-life come Nijinski: la possibilità che l’attenzione slittasse dalla creatura protagonista al ballerino russo, facendo sembrare il fumetto una derivazione dei diari e non l’omaggio che sono realmente, era dietro l’angolo. Fortunatamente la narrazione per immagini è così potente, matura e consapevole del medium in uso da risultare ineccepibile.

Le tavole, originalmente di grande formato (esposte di recente durante BilBOlbul e prima ancora al Treviso Comic Book Festival), sperimentano tecniche diverse, pittura, china, matite colorate per proporre una sinfonia visiva, che parla alle orecchie prima che agli occhi di chi legge. Il colore è ben presente e utilizzato come chiave di violino del libro, accuratamente dosato per comporre suoni e silenzi. Ogni tocco di nero, di bianco, di rosa e di arancio (palette ispirata proprio a quella originaria della tuta sopracitata) corrisponde a un suono, creando un ritmo e una combinazione musicale funzionale alla fruizione.
Con Da sola Percy Bertolini condivide con il suo pubblico le sue domande sulla solitudine e sull’ingiustizia di un sistema di potere storicamente sbilanciato a favore degli uomini. E abbracciando la danza queer, disordinata, eterogenea, fors’anche contraddittoria, riesce a dispensare un’irresistibile energia utile a lottare contro ogni sofferenza accumulata. Il verso conclusivo «Sarà meglio uscire» suona insomma come un invito ad abbandonare il proprio guscio e scendere finalmente in piazza, al fianco della propria comunità. Meglio se con una deflagrazione radicale.
Da sola
di Percy Bertolini
Diabolo Edizioni, novembre 2021
cartonato, 192 pp., colori
23,00 € (acquista online)
Leggi anche: Le prime pagine di “Da sola” di Percy Bertolini
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