Blame! è un manga visionario e indecifrabile

il protangonista di blame, il manga tsutomu nihei

Nel 1997 Tsutomu Nihei era un giovane fumettista al suo debutto come autore unico. La sua non è la tipica carriera da otaku che raggiunge il sogno della pubblicazione dopo anni di fatica e struggimento. Anzi, per dirla tutta, Nihei non aveva neppure mai coltivato una grande passione per i manga. Finite le superiori preferì studiare architettura e successivamente volare negli Stati Uniti, dove si fece assumere da una ditta specializzata nella progettazione dei suoi amati grattacieli. Purtroppo si accorse che lavorare in grossi team non faceva per lui, e decise così di tornare in patria e passare a una delle professioni più solitarie che conoscesse: il fumettista. 

Trovò un impiego come assistente part-time di Tsutomu Takahashi, l’autore di Jiraishin. Nihei non aveva il minimo bagaglio tecnico, così si prese il tempo necessario per imparare tutto quello che gli occorreva. Nel frattempo non perse del tutto i suoi contatti con il mondo del design, continuando a collaborare in maniera occasionale con diversi studi, costituendosi un background tecnico che ne avrebbe delineato la poetica fin dal suo esordio, aiutandolo a trovare una voce autoriale unica e in grado di influenzare anche il lavoro di scrittore.

Dopo l’apprendistato Tsutomu Nihei raccolse le sue idee ed esordì con un manga autoconclusivo intitolato Blame!. A dispetto di ogni aspettativa – dopotutto l’autore aveva imparato tutto quello che c’era da sapere in una manciata di anni – il successo fu immediato e travolgente. Prima della fine del 1997 il volume si trasformò in una serie che sarebbe stata serializzata sulle pagine della Monthly Afternoon fino al 2003.

tsutomu nihei

Nessuno aveva ancora idea di trovarsi di fronte a una delle storie di fantascienza più visionarie e divisive degli anni a venire, una delle poche in grado di immergere il lettore in un universo così originale da costituire ancora oggi un paradigma con cui confrontarsi. Alla sua prima pubblicazione Nihei riuscì già a imporsi come un autore dalla visione ben precisa, dotato di un tratto inconfondibile e in grado di costruire mondi giocando con gli estremi come pochi altri.

La trama di Blame! è riassumibile in un pugno di parole: il misterioso Killy vaga per la Città alla ricerca di esseri umani dotati di un gene in grado di connetterli al sistema di controllo dell’enorme megastruttura. Lungo il percorso dovrà cercare in ogni modo di non farsi uccidere da mostruosità post-organiche di ogni genere. Un canovaccio minimale e classicissimo – a conti fatti si tratta di un viaggio dell’eroe ridotto all’osso – che ben presto riesce a diventare un incubo al limite dell’astrazione, definibile senza imbarazzo come quasi del tutto incomprensibile.

Il motivo di tale deriva è semplice: Tsutomu Nihei non ha mai nascosto la sua propensione a improvvisare le sceneggiature delle sue storie, facendosi guidare unicamente da stimoli visivi. «Solitamente [le idee] arrivano da una scena o una situazione che voglio disegnare. Tante mie idee nascono dallo scarabocchiare. Comincio a pensare a un ambiente e quindi ragiono partendo da lì. I personaggi e le loro reazioni vengono dopo per me, perché le trame di tutti i miei manga sono piuttosto improvvisate» raccontava in un’intervista del 2016. Non a caso la fascetta dei volumi da libreria di Blame! riportava la dicitura «Maybe on Earth, maybe the future», forse il miglior modo possibile per farci capire la quasi totale assenza di punti di riferimento concessi dall’autore lungo la narrazione .

una visione dell'interno della città del manga blame di tsutomu nihei

A un plot così minimale e sghembo fa da contrappunto la costruzione grafica di un mondo come non se ne erano mai visti prima. Completamente artificiale e in perpetua espansione, fatto di scalinate infinite, ascensori, rovine postindustriali, stanze talmente grandi da non vederne il fondo. Un incubo che rivede le Carceri d’Invenzione di Giovanni Battista Piranesi in chiave brutalista e su scala iperbolica. Un Lebbeus Woods affogato in campiture nere e catramose. 

Sfogliare le tavole di un manga come Blame! significa passeggiare in un mondo fatto di cemento armato e metallo. Non c’è un solo accenno a qualcosa di riconoscibile come il sole o il terreno. Non sappiamo dove e quando siamo. Siamo a conoscenza del fatto che il protagonista è vecchio di 3.000 anni, che la sua ricerca va avanti da chissà quanto e che da un momento all’altro potremmo essere sorpresi da terrificanti esplosioni di violenza. 

Tsutomu Nihei dà forma a un nuovo tipo di orrore, difficilmente immaginabile prima di lui. Un parallelismo con le architetture raccontate da H.P. Lovecraft in Le montagne della follia potrebbe risultare improprio, ma l’effetto sul lettore è il medesimo. Siamo terrorizzati e spaesati da qualcosa che prima non saremmo mai riusciti a concepire. Eppure ne siamo immersi e ne percepiamo il peso e la concretezza come se potessimo toccarlo con mano.

cibo trasformata in safeguard nel manga blame di Tsutomu Nihei

In un articolo sulla defunta rivista Prismo Magazine, Oliver Broggini spiegava di quanto potesse essere complesso progettare strutture assurde e fantastiche – nella fattispecie si parlava di rovine – senza scivolare nella speculazione gratuita e priva di capacità di fascinazione del fruitore. Stimolare l’immaginazione richiede regole precise, che spingano al limite quello a cui il lettore può credere senza fare quel passo in più in grado di far crollare il castello di carte.

Banalmente è il motivo per cui all’inizio di ogni libro fantasy troviamo l’irrinunciabile mappa, oppure per cui gli autori compilavano schede tecniche piene di particolari e box informativi tra un capitolo e l’altro di manga sci-fi come Ghost in the Shell o Alita. Sono tutti escamotage per dare solidità a un mondo che non esiste. Non sempre funziona e spesso si cade nel pedante, ma nel caso di Tsutomu Nihei il gioco regge così bene da costruirci un’intera poetica

«Quando il meccanismo funziona – come in quel piccolo capolavoro che è Monument Valley o, più indietro nel tempo, in Shadow of the Colossus – il disorientamento moltiplica l’impatto emotivo della progettazione architettonica. Mentre nei paesaggi verosimili (e familiari) di GTA tendiamo spesso ad appoggiarci sulla memoria e a sorvolare su dettagli e finezze del disegno ambientale, la nostra attenzione è invece acuita dall’esperienza di un contesto completamente estraneo, con il risultato di aumentare la profondità della nostra immersione» sottolineava Broggini.

un'architettura del manga blame di tsutomu nihei

Il mangaka riusciva a mettere su pagina una narrazione che era pura astrazione, dandole il peso e la concretezza di un blocco di calcestruzzo armato con barre d’acciaio. Non avevamo indizi per capire come sarebbe proceduta la storia o del perché gli eventi avessero preso quella piega, ma tutto il resto godeva di una quantificazione che aveva dell’ingegneristico. Dentro Blame! i viaggi in ascensore attraversano spazi di undicimila piani, gli stacchi temporali si misurano in millenni e le macchine automatizzate portano avanti il loro lavoro di costruzione da talmente tanto tempo da aver dato forma a una sfera di Dyson capace di contenere l’orbita di Giove. 

In uno dei suoi manga successivi – Biomega, molto simile per stile e tematiche a Blame! – il mondo ha una forma cilindrica lunga quattro miliardi e ottocento milioni di chilometri. Tutto è iperbolico, eppure il passato da progettista di Tsutomu Nihei si palesa attraverso la plausibilità con cui vengono rese su carta queste megastrutture. Ci sono cavi, passerelle, rivetti, i segni delle gettate, strutture di servizio e rinforzi strutturali. 

O, alla stessa maniera, nella cura con cui stilla misure e si inventa nomi e acronimi – Industrie pesanti dell’estremo oriente, DRF (Data Recovery Foundation), CEU (Compulsory Execution Unit) – che potrebbero essere presi da registri di aziende realmente esistenti. Anche quando esagera in maniera folle Nihei non pare mai lavorare per sparate campate in aria. La percezione è sempre solida e a noi sembra di sentire il rimbombo dei passi di Killy in quegli ambienti vuoti e sconfinati.

un essere mostruoso del manga blame di tsutomu-nihei

Nel corso degli anni sono state tentate due trasposizioni animate del manga. La prima attraverso una serie di cortometraggi per il web, dove si spingeva più sulla sperimentazione, la seconda in un film in CGI distribuito da Netflix nel 2017. Soprattutto la seconda versione si è rivelata deludente su più fronti, specialmente nella capacità di rendere in video il lavoro di worldbuilding di Nihei. Non si tratta certo di una sorpresa, visto quanto Blame! dipenda dall’essere un manga e quindi dalla sua forma stampata

Se si sfogliano i volumi è impossibile non notare come il tratto continui a mutare con il passare del tempo. Se nei primi episodi l’autore cerca di far collidere una visione tradizionale del manga con una sua poetica personale, con il passare delle pagine il tratto si fa sempre più sporco e pesante, arrivando spesso al limite dell’inintelligibile. Anche l’aspetto del protagonista continua a cambiare, diventando sempre più esile e nervoso. 

Un manga come Blame! prende gran parte del suo fascino proprio dall’incapacità di ingabbiarlo, nel progressivo bisogno di abbandonarcisi senza farsi troppe domande. Non possiamo capire del tutto la storia, dobbiamo limitarci ad attraversarla. Esattamente come fa Killy camminando per secoli attraverso ambienti impossibili. Nihei non è un narratore ma un demiurgo, e come i Costruttori del suo fumetto si limita a espandere il suo mondo senza sosta. La storia semplicemente accade, a nessuno importa se non riusciamo a capirla.

A dispetto dell’importanza di Blame! vale la pena riflettere sul fatto che il più grosso successo commerciale di Nihei sia Knights of Sidonia, forse il punto più lontano da quanto fatto in precedenza dall’autore con altri suoi manga (compreso il graficamente strabiliante Abara). Pesantemente adagiato sui cliché della fantascienza a base di robot da combattimento antropomorfi, ha il suo unico guizzo nella brutalità delle linee dei mecha, una specie di ibrido tra ED209 e le linee stealth di qualche cacciabombardiere. 

Ancora una volta il passato di designer dell’autore gli ha permesso di fare un passo in più rispetto ai suoi emuli, ma qualcosa è andato perso rispetto al debutto. Tutto è troppo comprensibile e definito, manca quella dimensione di straniamento totale che prima caratterizzava ogni suo lavoro. Nonostante il successo di cassetta dei suoi Difensori – così sono chiamati gli enormi esoscheletri con cui gli umani combattono i Gauna – e della loro narrazione così confortevole, a 25 anni dal suo debutto stiamo ancora celebrando il dedalo senza fine di Blame!

La sua narrazione fumosa e contorta e la sua assenza di ogni possibile punto di riferimento dotato di un minimo di solidità sono aspetti che probabilmente avrebbero affossato il lavoro di molti altri autori. Sicuramente non di Nihei, architetto mancato in grado di costruire mondi di fantasia in cui vale la pena perdersi ancora oggi.

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