
Il 17 marzo ha esordito negli Stati Uniti su HBO Max la serie tv DMZ, ispirata all’omonimo fumetto creato dallo sceneggiatore Brian Wood e dal disegnatore italiano Riccardo Burchielli e pubblicato nella linea Vertigo di DC Comics.
La storia è ambientata a New York in un futuro alternativo dov’è scoppiata una nuova guerra civile americana. Il distretto di Manhattan diventa il territorio che divide i due fronti in guerra e per questo viene dichiarata zona demilitarizzata (da qui deriva l’acronimo DMZ).
La serie tv DMZ era una produzione attesa soprattutto dal pubblico amante dei fumetti, perché l’opera di Wood e Burchielli, con i suoi 75 albi, è stata una delle più longeve e interessanti pubblicate da Vertigo a cavallo tra gli anni 2000 e 2010. La sua accoglienza da parte della critica è stata però piuttosto negativa. E anche il pubblico pare non aver apprezzato più di tanto. Almeno secondo i dati raccolti da siti come Rotten Tomatoes e MetaCritics, due noti aggregatori di recensioni, sia professionali che non.
Al momento su Rotten Tomatoes DMZ ha un voto medo di 44 su 100 su un totale di 18 recensioni professionali, mentre per quanto riguarda l’apprezzamento del pubblico il voto è di 41 su 100. Su Metacritic il voto medio della critica, basato su 11 recensioni, si attesta a 57 su 100, mentre il voto del pubblico non è ancora stato calcolato.
Tra le principali critiche mosse in particolar modo dai fan del fumetto alla serie tv ideata da Ava DuVernay (Naomi) – che ha diretto anche il pilot – c’è il fatto che la storia stravolge in gran parte quella originale. Nel fumetto infatti il protagonista era un giornalista che documentava quello che accadeva durante la guerra, mentre nella serie tv la protagonista è una dottoressa – interpretata da Rosario Dawson – che si avventura nella zona demilitarizzata per trovare e salvare il proprio figlio.
In fase di lavorazione DMZ ha inoltre sofferto di problemi legati alla pandemia. Annunciata nell’ottobre del 2019, è entrata in produzione subito dopo. L’episodio pilota è stato girato nel 2020 e avrebbe dovuto porre le basi per una serie tv composta da più stagioni, ma l’avvento del Covid ha portato a uno stop della lavorazione. Secondo quanto raccontato dallo showrunner Roberto Patino, il lungo protrarsi della pausa nei lavori ha fatto ripensare lo show, facendo diventare DMZ una miniserie di quattro episodi.
Il risultato, sottolineato nella maggior parte delle recensioni, è un racconto il cui potenziale è stato compresso, poco sviluppato e con diversi buchi di sceneggiatura. «DMZ riflette il paese che raffigura: pieno di promesse, ma lasciato nel caos», ha scritto ad esempio Polygon.
«Gli attori si impegnano al massimo nelle loro interpretazioni per cercare di coprire i molti buchi della trama che DMZ vorrebbe che ignorassimo. Se le performance commoventi e le immagini travolgenti possano essere sufficienti per trasportare gli spettatori attraverso il suo flusso incoerente è difficile da dire», ha invece scritto Salon. Mentre per The Daily Beast la serie «soffre di una narrazione frenetica, quando invece tutto ciò che c’era di buono da approfondire avrebbe potuto portare a qualcosa di epico, come peraltro meritava che accadesse».
Uno dei commenti più duri è quello di The Hollywood Reporter, che scrive: «DMZ è un episodio pilota di un’ora allungato in quattro ore mal costruite. È pieno di grandi idee che non si concretizzano mai e personaggi senza spazio per crescere. Dickerson orchestra l’unica scena d’azione memorabile della serie nel terzo episodio, per poi darle seguito con un “finale” che è un misto di conclusioni posticce e presupposti promettenti per avventure future nel caso in cui il pubblico si appassioni alla serie. È facile intuire che questi quattro episodi possano suscitare abbastanza curiosità da attirare gli spettatori, ma è più difficile immaginare invece che li tenga incollati allo schermo».
Per CNN invece lo sviluppo della trama appiattisce le potenzialità di una narrazione incentrata su un tema attuale come quello della guerra: «Una serie costruita attorno a una guerra civile statunitense è destinata ad attirare l’attenzione, specialmente in questi tempi polarizzati. Ma DMZ usa semplicemente quello sfondo come scusa per introdurre l’ennesimo dramma distopico basato su un fumetto DC Comics, in pratica una sorta di The Walking Dead incontra I guerrieri della notte. Il risultato è una miniserie poco coinvolgente che, in quattro parti, sembra troppo lunga o non abbastanza lunga».
Sul tema della lunghezza si concentra anche RogerEbert.com: «DMZ sembra troppo breve ma anche troppo lungo. È troppo breve per costruire il mondo e farlo funzionare e troppo lungo per ingranare con i suoi dialoghi goffi sulle dinamiche tra la protagonista e tutti coloro che incontra nel giro di quattro ore».
La serie tv DMZ è un «dramma senza dramma», arriva a titolare Variety, che incentra la propria recensione sul fatto che la storia si focalizza troppo sui singoli personaggi, indugiando in primi piani senza mostrare e approfondire quello che sta attorno, ovvero il tutto il contesto in cui è ambientata la vicenda, comprese le effettive situazioni tragiche e le tensioni emotive di una guerra civile.
«Anche nel suo andamento frettoloso, DMZ mette insieme una storia commovente su minoranze che combattono per il loro posto in un paese che vuole rinchiuderle e sopprimere il loro spirito» è il giudizio a metà strada di IndieWire, che riconosce alcuni buoni spunti, ma che suggerisce che forse sarebbe stato meglio ridurre ulteriormente il girato e realizzare un film che contenesse lo svolgimento principale e le scene più riuscite senza perdersi in sottotrame e situazioni che non portano a nulla.
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