L’anime di Netflix che affronta il disturbo d’ansia sociale

Komi Can’t Communicate Netflix
Un’immagine dall’anime “Komi Can’t Communicate” di Netflix

Pur essendo ascrivibile a un target preciso (lo shōnen), la serie animata di Netflix Komi Can’t Communicate è un’opera a suo modo unica, che affronta un argomento sensibile e particolare sfruttando i canoni del genere a cui appartiene. Il manga da cui è tratto è scritto e disegnato da Tomohito Oda, autore che ha esordito nel 2014 con Dezicon per poi dedicarsi proprio a Komi Can’t Communicate, serializzato sulla rivista Weekly Shōnen Sunday di Shogakukan e tuttora in corso di pubblicato. A febbraio 2021 i volumi venduti erano cinque milioni: l’interesse che ha generato il manga, in Italia pubblicato da J-Pop, ha portato la Oriental Light and Magic a produrre una serie anime composta da 12 episodi e distribuita da Netflix nel febbraio 2022.

Komi Can’t Communicate racconta di Komi Shouko, una ragazza carismatica che inizia a frequentare l’istituto privato Itan High. Lì conosce Tadano Hitohito, suo vicino di banco, che scopre come, nonostante la sua popolarità, Komi soffra di una grave forma di ansia sociale, che le impedisce di parlare con tutti. Tadano si prefigge quindi di aiutarla a raggiungere cento amici. 

Gli episodi dell’anime, ben animato e figlio di un’estetica legata al lavoro di Makoto Shinkai (almeno nell’uso del montaggio, di certe scelte registiche e persino delle musiche), si sviluppano attraverso singole vicende e situazioni quotidiane vissute da Komi e Tadano. La prima particolarità dell’anime (ma anche del manga) è il parco dei personaggi, vasto e variegato, ricco ed eccentrico, capace di fornire spunti narrativi sempre interessanti.

Si va da Najimi – elemento fondamentale per l’alchimia della serie, ragazzo che vuole essere donna, esuberante, l’esatto contrario di Komi e che, di fatto, è il cardine con cui si mettono in moto i meccanismi narrativi – a Yamai, da Akari a Nakanaka: ciò che emerge da questa folle di personaggi è che tutti hanno problemi più o meno gravi e scoprono che insieme possono affrontarli più facilmente

Quindi il percorso di Komi è, innanzitutto, funzionale anche agli altri personaggi della serie, poiché è un elemento essenziale atto a migliorarne lo status quo. Ma è indubbiamente quello più complicato: le ansie comunicative di Komi possono forse apparire esagerate qui in Italia, ma in Giappone sono un problema piuttosto diffuso.

Il pregio principale di Komi Can’t Communicate, quindi, non è solo quello di essere una storia divertente, coinvolgente e surreale come solo anime di questo tipo sanno essere, muovendosi tra la commedia pura e la vicenda romantica, passando per lo slice of life. Ma è soprattutto il suo essere occhio sullo stato sociale di un paese particolare come il Giappone

Merito della riuscita di questa operazione è sicuramente del curatore principale della serie, Ayumu Watanabe, che aveva già diretto una serie con caratteristiche non troppo diverse, Come dopo la pioggia, e soprattutto I figli del mare, film animato molto coraggioso per scelte visive e narrative. Il coraggio di affrontare questo argomento così specifico, calandolo in un contesto leggero, si è rivelato vincente. 

La volontà, probabilmente, è stata quella di raccontare questo disagio comunicativo – che prende forme e gravità diverse a seconda dei personaggi – senza appesantire la narrazione con una drammaturgia eccessiva, ma giocando invece sugli elementi comici di questa impossibilità comunicativa. E sempre rispettando i personaggi: in questa onestà si cela il successo di una serie di cui è già stata annunciata la seconda stagione.

Entra nel canale WhatsApp di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Telegram, Instagram, Facebook e Twitter.