“Jujutsu Kaisen” racconta le nostre paure, tra un combattimento e l’altro

Jujutsu Kaisen manga

La domanda è sempre la solita e le risposte potrebbero deludere. Perché un certo prodotto ha successo? Ce lo si domanda spesso, magari per opere che non sembrano avere chissà quale profondità o fattura eccellente. Se lo domandava anche Marco Andreoletti a proposito di Demon Slayer, il Dragon Ball degli anni Dieci che ha chiuso il decennio infilando un record di vendite dopo l’altro, e la domanda torna in mente durante la lettura di Jujutsu Kaisen, manga di Gege Akutami che in Giappone è passato dall’essere il quinto più venduto del 2020 (con 6 milioni e rotti di copie) a quello più venduto in assoluto del 2021 (con quasi 31 milioni di copie), e anche in Italia sta incontrando il gusto dei lettori.

Nuova promessa del fumetto giapponese, Jujutsu Kaisen è ambientato nel nostro presente, con una differenza cruciale. Tutti gli esseri umani che provano sentimenti ed emozioni negative trasudano quella che viene definita “energia malefica”. Questa energia si ammassa creando Maledizioni, demoni che dilagano in tutto il mondo e sono portatori di morte. Alcuni essere umani però, detti “stregoni”, riescono a controllare il flusso dell’energia malefica dei loro corpi, utilizzandola per creare Maledizioni personali con cui distruggere altre Maledizioni. Esistono scuole e istituti per addestrare le persone a diventare stregoni.

Yuji Itadori è un ragazzo particolarmente dotato per lo sport che frequenta il club dell’occulto della sua scuola. Un giorno, Megumi Fushiguro, uno stregone dell’istituto di Arti Occulte di Tokyo, si reca alla scuola di Yuji per cercare un oggetto contenente lo spirito del più potente demone a quattro braccia mai esistito, lo “spettro bifronte” Ryomen Sukuna. Gli amici di Yuji aprono per sbaglio il sigillo dell’oggetto, che si rivela essere una delle dita di Sukuna (contenente un frammento della sua anima), attirando Maledizioni che vogliono assorbirne il potere. Per evitare il peggio, Yuji ingoia il dito e ne ottiene il potere.

Sukuna prende così possesso del corpo di Yuji, ma questi è forte abbastanza imporsi sul demone. Tuttavia, Sukuna è troppo pericoloso per essere lasciato vivo. Viene così deciso che Yuji diventi studente di Satoru Gojo, il più potente stregone in attività e insegnante presso l’istituto di Arti Occulte, al fine di recuperare le altre 19 dita di Sukuna, mangiarle, e poi morire di “una buona morte”, la stessa che gli aveva augurato il nonno poco prima di spirare all’inizio della storia.

Nella premessa si nasconde una dinamica su cui molti autori hanno costruito le proprie storie di recente: le nostre paure, i nostri sentimenti negativi, se lasciati sobbollire e crescere, diventano nemici da sconfiggere, in un senso letterale, perché da fenomeni interiori prendono concretezza diventando creature fisiche. E questo da una parte è una sorta di rassicurazione per il lettore, perché si dà un confine fisico e limitato a un sentimento che a volte può apparire come ingovernabile e immenso. Lo fa Tatsuki Fujimoto in Chainsaw Man, ma lo fanno anche, in ambito supereroistico, Nick Spencer nella sua gestione di Amazing Spider-Man e Al Ewing in Immortal Hulk.

Gege Akutami è praticamente un esordiente, non si è mai visto in faccia ed è comparso in pubblico solo con il costume di Mechamaru, uno dei personaggi di Jujutsu Kaisen. Quella della riservatezza è una pratica comune tra i mangaka. Tanto per dirne una, l’autrice di Beastars, Paru Itagaki, va in giro con una maschera gigante da pollo. Di questo mangaka sappiamo pochissimo: luogo e data di nascita (prefettura di Iwate, 1992) e anno di debutto, il 2014, con la storia breve Kamishiro Sosa, apparsa sulla costola di Shonen Jump, Shonen Jump Next!.

Jujutsu Kaisen gira dalle parti di Naruto, Hunter x Hunter e Chainsaw Man in diversi aspetti della trama, nell’approccio al world builiding e nell’equilibrio tra cruenza e umorismo. Questa equazione di influenze, Akutami la chiude con delle parentesi graffe di stile evidenti: da una parte Yoshihiro Togashi e dall’altra Tite Kubo. A ispirare Akutami a diventare un fumettista fu proprio Bleach di Kubo, letto sulle copie di Shonen Jump del fratello maggiore (quando questi non era in casa, perché a quanto pare era molto geloso dei propri fumetti).

Ci sono gli elementi classici degli shonen da combattimento – la gara tra club scolastici, l’arco narrativo con il torneo – archetipi ed elementi che nel genere fantastico sono piante sempreverdi su cui costruire le proprie case sull’albero: l’umorismo, la violenza, l’azione, e il fascino per il sistema interno dei poteri e dei livelli di abilità, tra power up, potenziamenti e tecniche speciali. I battle shonen vivono di queste dinamiche, che tengono occupati i lettori nel discutere chi sia più forte o quale mossa abbia gli effetti più devastanti. Funzionava con Dragon Ball, One Piece, Naruto e funziona anche qui. In realtà, Dragon Ball queste regole interne non le rispettava con particolare diligenza. Jujutsu Kaisen, per ora, non ha sgarrato e, anzi, è riuscito a utilizzare un elemento molto canonico per scene visivamente fresche e bizzarre.

Nel manga di Akutami, le differenze tra poteri si manifestano con la tecnica detta “espansione del dominio”, tramite la quale l’utilizzatore può usare la sua energia malefica per costruire una dimensione tascabile che copre l’area circostante, in cui è libero di creare (ma anche obbligato a seguire) le proprie regole. Un personaggio, Hiromi Higuruma, è in grado di evocare un tribunale vivente in cui ogni forma di violenza è proibita. Se il difensore è colpevole, non potrà utilizzare i propri poteri. Bisogna ammettere che questo scenario (così come vari altri “domini”), nel mezzo di un manga di combattimenti, è una bella svolta e ravviva la lettura.

Quindi, se l’esperienza di lettura è discreta (a volte anche altalenante: gli ultimi volumi in ordine di tempo sono disegnati con una incuria abbacinante e un segno sempre più buttato via) ma non vi spaccherà la testa in due, com’è che Jujutsu Kaisen ha tutti gli occhi puntati su di sé?

Forse perché i termini “discreta” e “spacca la testa in due” per me significano una cosa, per voi un’altra, e per il tredicenne al suo primo manga un’altra ancora. L’evoluzione naturale di un fruitore passa dal consumo vorace di qualsiasi produzione, a una ricerca via via sempre più raffinata ed esigente. Ma ci sarà sempre bisogno di un’opera che replica, ripropone, eventualmente innova (ma con grande misura, senza sconvolgere il gusto, al massimo speziando la ricetta di base con qualche ingrediente pazzo), i canovacci che hanno funzionato in passato.

Si può tracciare una linea che collega manga come Dragon Ball, Hunter x Hunter, One Piece, Naruto, Dragon Slayer e Jujutsu Kaisen e vedere come ogni opera abbia fatto un passetto avanti, o di lato, nel raccontare la stessa storia, con dettagli narrativi o stilistici diversi. A volte una nuova versione di una storia sostituisce la precedente e il pubblico non sente il bisogno di (ri)scoprire quello che c’era stato prima. E poi ci sono cose come Star Wars o Dragon Ball, che restano ancora lì, insostituibili.

Jujutsu Kaisen non sostituisce nulla, ma è arrivato nel momento giusto, in un periodo di rinnovo molto forte e dopo la chiusura di alcuni manga di richiamo. Non ho idea se il pubblico orfano di Demon Slayer abbia bussato alla porta di Akutami chiedendo asilo, o se gli spettatori dell’anime tratto da Jujutsu Kaisen, fedele e forse più popolare del manga stesso ma incapace di stare dietro alle vicende su carta, si siano riversati nel fumetto per sapere come continuano le avventure di Yuji e compagni.

Potrebbero essere queste le ragioni – insieme a una mano autoriale nel suo complesso funzionale al racconto – ad aver contribuito al successo di Jujutsu Kaisen. O almeno questa è la risposta che mi sono dato io.

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