L’importanza di Rodolfo Cimino per i fumetti Disney

Il 31 marzo 2012, all’età di 84 anni, moriva Rodolfo Cimino, uno dei più importanti sceneggiatori italiani di fumetti umoristici. Per Topolino, la rivista con la quale collaborava da oltre mezzo secolo, aveva scritto circa 700 storie, quasi tutte ambientate nel mondo dei Paperi, ed era anche uno dei pochi autori dallo stile immediatamente riconoscibile.

Già da prima del 1988 (anno in cui sul giornale iniziavano a essere accreditati i nomi degli autori), si era imposto grazie al suo lessico raffinato, ai mezzi di locomozione bislacchi, ai saggi dalle barbe lunghissime e alle popolazioni esotiche che comparivano nella maggior parte dei fumetti che scriveva. Pur non sapendo che fossero suoi, gli appassionati associavano queste caratteristiche, anche in maniera inconscia, a un’unica mente creativa.

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Rodolfo Cimino in una caricatura di Luciano Milano

Specializzato in storie avventurose dal tono fiabesco, dove non manca quasi mai una morale esplicita, Cimino è degno di essere ricordato tra le grandi firme della narrativa popolare per ragazzi del Novecento. I suoi lavori potrebbero occupare lo stesso scaffale delle novelle di Gianni Rodari o delle prime raccolte di poesie di Roberto Piumini, tutte opere che danno la precedenza alla ricercatezza formale piuttosto che al contenuto pedagogico, e che esaltano la dimensione ludica offrendo interessanti chiavi interpretative anche ai lettori più “navigati”.

Diversamente da Rodari o da Piumini, però, Cimino non è mai stato oggetto di una riscoperta critica. Gli unici elogi che ha ricevuto, e che tuttora riceve pubblicamente, provengono dai fan di tutte le età che non si stancano di rileggere i suoi fumetti, e l’unico saggio monografico che gli sia stato dedicato risale ormai al lontano 2007. Persino la più diffusa tra le sue (rarissime) fotografie che circolano in rete è legata alla pubblicazione di quel testo. A maggior ragione, a 10 anni dalla sua scomparsa, la sua produzione meriterebbe di essere fatta conoscere anche al di fuori dell’ambiente disneyano, per via dell’influenza che ha esercitato sulla nostra società e dell’elevata qualità media che la caratterizza.

Alla corte di Romano Scarpa

Rodolfo Cimino nacque a Palmanova, in provincia di Udine, il 16 ottobre 1927. Negli anni del liceo, dopo la Seconda guerra mondiale, si trasferì a Venezia, dove nel 1947 strinse amicizia con un giovane disegnatore che andava matto per i film d’animazione americani e che provava a realizzare in autonomia i suoi primi cortometraggi: Romano Scarpa. Pur essendo nato solo pochi giorni prima di lui, l’animatore aveva già accumulato molta più esperienza.

Non a caso i due si conobbero in occasione di una mostra di tecnica cinematografica curata dalla Biennale, dove Scarpa gestiva un piccolo stand per far conoscere al “grande pubblico” i procedimenti del disegno animato. Nel 1948, quando Scarpa poté contare su un vero e proprio studio per realizzare corti pubblicitari, Cimino entrò a far parte del suo staff, facendo compagnia a Giorgio Bordini, Lino Ferraretto, Adriano Stringari e Renzo Vianello.

Ispirato all’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, ‘La piccola fiammiferaia’ (1951) è uno dei corti animati più importanti tra quelli prodotti dallo studio di Scarpa

L’avventura terminò pochi anni dopo, quando Scarpa si procurò un infortunio alla caviglia che lo immobilizzò per molti mesi. Cimino dovette quindi trovarsi un lavoro “vero”, e fu assunto da un’agenzia di vendita di macchinari, che abbandonò però dopo poco tempo per prestare servizio in una fabbrica petrolchimica di Marghera (della quale, in seguito, sarebbe diventato dirigente). Mantenne anche il rapporto con Scarpa, che nel frattempo aveva esordito su Topolino sia come disegnatore che come sceneggiatore.

Fu grazie a lui che Rodolfo Cimino entrò in contatto con il mondo dei fumetti Disney. L’amico, costantemente oberato di lavoro, cercava qualcuno che inchiostrasse le sue tavole, e per un po’ si avvalse della collaborazione di Luciano Gatto, altra vecchia conoscenza dello studio di animazione. Poi, dai primi mesi del 1959, Gatto fu sostituito proprio da Cimino, che riprese a svolgere le stesse mansioni di un tempo (ripasso a china e correzione delle sbavature). Solo che stavolta, invece di intervenire sulle celluloidi, lavorava direttamente su carta. In storie come Topolino e la dimensione delta, Topolino e la collana Chirikawa o Paperino e le lenticchie di Babilonia, tra i vertici della produzione disneyana, c’era anche il suo zampino.

Scarpa non impazziva per il suo lavoroLo tenevo perché non avevo altri»), ma poter contare su una persona tanto disponibile, la cui vera occupazione, in ogni caso, era un’altra, e che lo aiutava solo nei ritagli di tempo, significava molto per lui. Del resto, già nel 1962 gli si presentò un degno sostituto, Giorgio Cavazzano, che con la sua rapidità gli permise di disegnare più storie, anche su testi altrui. Cimino lasciò l’incarico a cuor leggero, perché nel frattempo era stato incoraggiato da Scarpa a scrivere i suoi primi fumetti per Topolino.

Segnali di stile

Rodolfo Cimino esordì sulla rivista il 30 aprile 1961 con il fumetto Zio paperone in: Brividi all’equatore, per i disegni di Luciano Gatto, anche se prima di allora ne aveva già prodotto un altro, Paperino e il cane dollarosus, che sarebbe uscita solo qualche settimana dopo per via di un ritardo nella consegna. La cosa importante è che già in queste prime prove si intravedevano temi e stilemi che avrebbero accompagnato lo sceneggiatore per tutta la sua carriera. C’erano il ricorso frequente alla magia, l’impiego di un linguaggio aulico che non si prendeva troppo sul serio, le ambientazioni esotiche che facevano da sfondo alla vicenda e persino animali bizzarri, esseri dotati di strani poteri che peggioravano o risolvevano la situazione.

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La prima pagina di ‘Zio Paperone in: Brividi all’equatore’ (testi di Cimino, disegni di Gatto, 1961)

Si trattava ancora di storie acerbe, lontane anni luce dai capolavori di Scarpa. I dialoghi erano verbosi, i personaggi erano tagliati con l’accetta e le scene superflue abbondavano. I lettori di Topolino dovettero aspettare più di un anno per leggere la sua prima opera matura, Paperon de’ Paperoni visir di Papatoa, disegnata, tra l’altro, proprio da Scarpa. Per evitare di pagare le tasse, Paperone si trasferisce su un’isola fuori dalle rotte commerciali, dove la popolazione è ferma all’età della pietra e deve difendere gratuitamente il denaro del visir. Paperone rischierà di perdere tutto per colpa della propria bramosia, che lo spingerà a imporre agli autoctoni gli stessi tributi dai quali è in fuga.

Quando Cimino intensificò la collaborazione con Topolino, la sua giornata-tipo iniziò a essere suddivisa in due parti. Nelle ore mattutine e nel primo pomeriggio gli toccava la parte “seria”, in cui si dedicava all’amministrazione della fabbrica petrolchimica. La sera, dismessi i panni del dirigente, vestiva quelli del cantastorie e raccoglieva le idee per un nuovo fumetto con Zio Paperone. Partiva sempre da un’idea ben precisa, di solito molto semplice, per poi ricamarci sopra quanto voleva. «È un’impostazione che fa parte della mia formazione naturale», rivelò in un’intervista. «Deriva dal mio modo di pensare e dalle letture che facevo da ragazzo. Allora si usava giocare con i teatrini e le marionette. Quando lo facevo con i miei amici, ero sempre quello che faceva muovere i pupazzi, mi piaceva già allora intessere delle trame.»

Per i propri soggetti Cimino si ispirava principalmente alla produzione di Carl Barks, creatore di Zio Paperone e di tanti altri personaggi dell’universo dei paperi. Amava a tal punto le storie del Maestro dell’Oregon che aveva persino rilegato le migliori in alcuni volumetti, a suo uso e consumo, per assimilarne più in fretta stile e meccanismi. Entrambi facevano recitare i propri interpreti con estrema naturalezza, prestando particolare attenzione alla loro psiche e al loro retroterra emotivo, ed entrambi, spesso, consegnavano ai lettori un insegnamento morale.

Rodolfo Cimino però sapeva anche distinguersi dal suo modello, ad esempio inserendo tanti elementi magici nei suoi fumetti. Carl Barks trattava incantesimi e stregonerie alla stregua di fenomeni da baraccone, buoni solo per essere smitizzati a suon di razionalità e pragmatismo (il suo era chiaramente il punto di vista di un adulto). Lo sceneggiatore friulano, invece, stava sullo stesso piano dei bambini: guardava al soprannaturale con i loro occhi, rafforzando il sottotesto fiabesco e stemperando la serietà della morale esplicita.

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Filtri magici infallibili, da ‘Zio Paperone e il petrolio proibito’ (testi di Cimino, disegni di Scarpa, chine di Cavazzano, 1963)

Era comunque una differenza marginale se paragonata all’abisso che lo divideva dai colleghi che scrivevano per Topolino in quegli stessi anni. Oltre a utilizzare un linguaggio più ricercato e a sviscerare la psicologia dei personaggi (anche sulla scia dell’esempio di Scarpa), Cimino realizzava i propri fumetti sempre sotto forma di storyboard per padroneggiare meglio la tavola e definire la recitazione e le espressioni facciali. Con pochi e semplici tratti dava l’idea di un gesto o di una scena, prendendosi persino la briga di colorare qualche dettaglio.

«Ho imparato molte cose dalle sue sceneggiature disegnate», ha dichiarato qualche anno fa Cavazzano: «Ho capito come inquadrare i personaggi e come seguire, passo passo, la sequenza e la dinamica delle pagine. È stato come andare alla scuola elementare e studiare l’ABC con Rodolfo come maestro».

Anche la vignetta quadrupla con cui Cimino faceva iniziare tutte le sue storie era un vero e proprio marchio di fabbrica: una splash panel che anticipava il contenuto della vicenda con un’unica immagine, priva di dialoghi, dove campeggiava anche il titolo. Cimino l’aveva ripresa da Scarpa, che nei primi anni Sessanta, per avvicinare i suoi fumetti al cinema, ne aveva aperti alcuni con un riquadro più o meno grande che fungeva da locandina (in Zio Paperone e l’ultimo Balabù o in Topolino imperatore della Calidornia), e che tuttavia aveva abbandonato dopo due anni. Cimino, invece, che aveva inchiostrato quelle storie, non se ne separò mai.

Non tutti i suoi frontespizi prefiguravano un momento topico del racconto. Alcuni erano vere e proprie illustrazioni concettuali, immagini allegoriche che racchiudevano il senso della storia o la lezione di vita che se ne poteva trarre, come nel caso di Paperino e l’elevato destino. Ma potevano ospitare anche l’epilogo della vicenda, per ovviare a problemi di spazio o per risparmiare riquadri nelle tavole finali, come in Zio Paperone e le scarpe integrate.

Oggi la quadrupla “alla Rodolfo Cimino” è l’equivalente di un close-up “alla Sergio Leone”: una garanzia di riconoscibilità talmente radicata nella mente degli addetti ai lavori o degli appassionati che è praticamente impossibile che un autore la replichi senza la volontà di fare un omaggio esplicito al suo creatore.

Zio Paperone e i bracciali dei Mac Paper
La splash panel di ‘Zio Paperone e i bracciali dei Mac Paper’ (testi di Cimino, disegni di Scarpa, chine di Gatto, 1968)

Storie di ordinaria follia

Dalla seconda metà degli anni Sessanta, oltre che per il suo stile peculiare, Rodolfo Cimino si distinse per la mole di fumetti che scriveva. Gliene pubblicavano circa due al mese, spesso su disegni di colonne portanti della rivista, come Giorgio Bordini o lo stesso Scarpa, o di futuri maestri del calibro di Massimo De Vita o Giorgio Cavazzano.

Per mantenere questo ritmo senza calare di qualità, e senza rubare troppo tempo alle sue mansioni dirigenziali, lo sceneggiatore fu costretto a diversificare la produzione: fece in modo di poter contare su un nutrito serbatoio di idee, soggetti, archetipi, conflitti tra personaggi e situazioni paradigmatiche da riciclare ogni volta che voleva. A differenza di altri autori, pur continuando a scrivere storie scollegate, elaborò un corpus sorprendentemente coeso, al cui interno si possono distinguere alcuni filoni ben precisi.

Molto famose, per esempio, sono le storie in cui Paperone entra in possesso di una mappa o di un artefatto che lo dovrebbe condurre verso un tesoro nascosto in uno dei luoghi più remoti del pianeta. Il più delle volte le cose non vanno come dovrebbero: Paperone, che per la sua smania di guadagno si affida sempre ciecamente al materiale che ha reperito, senza indagare ulteriormente, scopre di aver commesso un errore, e che in realtà non esisteva alcun bene prezioso da incamerare (Zio Paperone e l’aurum nigrum). O magari c’era davvero, ma il suo valore era tutt’altro che economico (Zio Paperone e la tiritera della salvezza).

Comunque vada, è quasi certo che Paperone e nipoti si rechino sul posto a bordo di veicoli pittoreschi, assurdi, impossibili. A ciascuno di essi corrisponde una caratteristica peculiare che può c’entrare con il tema della missione (la rana-mobile di Zio Paperone e il piffero variabile, ottima per un sopralluogo in una palude), ma anche vivere di vita propria, per il semplice gusto di stupire il lettore (l’auto-aeroplano di Zio Paperone e la sabbia pesante). Le vignette quadruple che segnano la loro entrata in scena restano i momenti più memorabili della produzione dello sceneggiatore friulano, proprio in virtù del loro impatto spiazzante.

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Un… boh? Da ‘Zio Paperone e la tiritera della salvezza’ (testi di Cimino, disegni di De Vita, 1975)

Ma Rodolfo Cimino sapeva confezionare ottime storie anche senza allontanare i paperi dalla loro zona di comfort, come quando Paperone difendeva il Deposito dalle macchinazioni dei Bassotti. In linea con la tradizione barksiana, i criminali erano pieni di risorse, disposti a tutto pur di ottenere ciò che volevano, magari con un po’ di goffaggine, ma senza architettare piani banali già destinati al fallimento, come spesso fanno oggi. Potevano coltivare semi che facevano esplodere pareti corazzate, allevare api che trafugavano polvere d’oro, assemblare robottoni che si ubriacavano di gasolio. L’originalità dei loro intrighi non conosceva limiti, proprio come quella dell’autore.

In alcuni casi era il Deposito stesso a ricoprire un ruolo di primo piano. Poco importava che si trattasse di un edificio volante, invisibile, subacqueo o munito di speciali braccia meccaniche. Cimino lo personificava, trattandolo come un’emanazione diretta del suo proprietario e muovendolo con estrema facilità (malgrado le dimensioni) sul palcoscenico del fumetto. Le storie disneyane che appartengono a questo sottogenere sono tra le più folli che si possano leggere e su tutte spicca Zio Paperone e la battaglia dei colossi, un profluvio di idee, gag, situazioni inverosimili e geniali nella loro semplicità e soluzioni visive ardite (prese di peso dallo storyboard) che culminano in un “corpo a corpo” tra Depositi risolto dallo judò (sic).

Non solo Paperone

Paperino e la pentola genuina e Paperino e il casco respingente, invece, sono due ottime storie con protagonista il papero più sfortunato del mondo. La prima appartiene al filone in cui Paperino e nipoti concludono un affare vantaggioso contro ogni pronostico, beffando il loro ricco Zio. Messa da parte la sua proverbiale accidia (ma senza per forza trovarsi un lavoro come in molti fumetti di Barks), l’uomo-medio Paperino decide di dimostrare a tutti quanto vale, e per farlo ricorre a qualsiasi mezzo. Naturalmente, trovandoci in una storia di Rodolfo Cimino, l’esito delle sue tribolazioni sarà positivo se e solo se avrà agito con le buone. Al contrario (ed è, solo in parte, il caso della seconda storia), tutto ciò che lo aspetta è una buona dose di sofferenza fisica, oltre che morale.

Paperino e il casco respingente
In ‘Paperino e il casco respingente’ (testi di Cimino, disegni di Cavazzano, 1975) il papero abusa del proprio talento come giocatore di football, venendo “sparato via” dal suo casco magico

Cimino dimostrò di aver capito anche i personaggi secondari del cast paperopolese, a partire da Amelia. La strega creata da Barks non godeva di una scrittura particolarmente ispirata da quando era comparsa in Italia, e lui pensò bene di affiancarle una collega, Roberta, molto più all’avanguardia e smaliziata nel modo di fare e di vestire. Zio Paperone e le streghe in azione è il fumetto che segna il suo debutto ed è anche uno dei più riusciti dell’autore: mischiando il fantasy alla psicoanalisi, è ambientato – tanto per cambiare – in un luogo esotico e dà corpo a un discorso semiserio sul disturbo della personalità e sugli istinti repressi.

Brigitta è un’altra figura femminile su cui Cimino lavorò di fino, spesso proprio in tandem con Scarpa, che l’aveva inventata nel 1960. Nelle loro storie l’irriducibile spasimante di Paperone tenta di estorcergli il fatidico “sì” facendogli concorrenza negli affari. Arriva perfino ad allearsi con Filo Sganga, altra creatura scarpiana che proprio al suo esordio aveva rapito Brigitta per interesse. L’autore friulano ignorò questo precedente, ma in compenso trasformò Sganga in un affarista imbranato al completo servizio della papera.

Due parole andrebbero spese anche su Gastone, coprotagonista assieme a Paperino di una manciata di storie brevi che ricordano le ten-page di Barks dedicate all’eterno scontro tra fortuna e malasorte. Gastone era da sempre un personaggio monodimensionale, buono solo per mettere alla prova la morale e la forza di volontà dello scalognato cugino, ma Cimino riuscì a mantenere il sottotesto cupo e sottilmente perfido della sua caratterizzazione originale e gli mise in bocca parole e insulti sempre più taglienti di quelli del parente.

Il lessico, non per niente, era il grande punto di forza dello sceneggiatore friulano.
Ma che cosa aveva davvero di tanto speciale?

rodolfo cimino Paperino e l’aurite acuta
Questo prestito non s’ha da fare. Da ‘Paperino e l’aurite acuta’ (testi di Cimino, disegni di Scarpa, chine di Cavazzano, 1965)

Fare dello stile sostanza

Innanzitutto era diverso da quello di qualsiasi altro sceneggiatore. Scrivendo su una rivista per bambini, che doveva prestare la massima attenzione alla qualità del linguaggio, gli autori di Topolino dell’epoca rischiavano di sviluppare uno stile inverosimile e artificioso, impostato e illeggibile. Rodolfo Cimino non utilizzava soltanto termini ricercati o insulti ad hoc, come facevano in molti: ne inventava lui stesso di nuovi, più orecchiabili e al tempo stesso difficili da pronunciare, tanto insulsi a priori quanto sensati a posteriori: lacrimevole baracca; bucefalo; marrano, nipote e collaterale di marrani; acquarrampicaplano; tapiri; tritumbani fritti; nullità equine, solo per citare alcuni dei vocaboli più bizzarri che si incontrano nei suoi fumetti.

I suoi personaggi parlavano per metafore, assonanze, perifrasi, iperboli. Non rischiavano mai la prigione, bensì “il sole a scacchi”. E se prendevano una botta in testa o udivano un rumore assordante sbalordivano usando sempre il passato remoto (il famoso “che fu?”). Ovviamente, pur facendo esprimere tutti allo stesso modo, Cimino non ignorava le loro differenze culturali. Qui, Quo, Qua, da brave Giovani Marmotte, tradivano lo stesso automatico incedere del loro manuale, mentre per un avvocato o un dottore era fin troppo facile ricorrere alla terminologia specifica del proprio settore.

Le figure retoriche e i giochi di parole si prendevano in giro da soli per il fatto stesso di essere quasi sempre innecessari. Paperino non aveva certo bisogno di una perifrasi per chiedere un prestito, così come non ne aveva bisogno suo zio quando implorava un saggio di mostrargli il sentiero migliore per trovare un tesoro. Ma il loro fallimento era già racchiuso in quello strano modo di esprimersi, in quelle parole forbite messe insieme con così tanta dovizia da meritare una destinazione e un epilogo migliori. Cimino faceva del suo stile sostanza: il lessico era la chiave d’accesso per cogliere la sua critica (tutt’altro che velata) alle situazioni che metteva in scena. E che, molto spesso, scimmiottavano la realtà di tutti i giorni.

Temi primitivi

Uno dei bersagli preferiti dell’ironia ciminiana era proprio la retorica, riconosciuta e presa di mira grazie a vocaboli aulici e ricercati. L’incipit di Paperino agricoltore tapino è emblematico: il Nostro, dando credito al discorso di un truffatore, decide di abbandonare la città e i suoi «veleni» per rifarsi una vita in aperta campagna, ma resta vittima di un raggiro. 

Paperino agricoltore tapino
La denuncia della retorica, da ‘Paperino agricoltore tapino’ (testi di Cimino, disegni di Scarpa, chine di Cavazzano, 1965)

In altre storie, invece, la retorica pervade il battage pubblicitario che accompagna il lancio di un prodotto messo in vendita da Paperone, come gli insostituibili affetta-uova-crude o i fazzoletti “asciugator” di Zio Paperone e la micropubblicità perniciosa, o le memorabili “patate autosbuccianti” del fumetto omonimo. Era un’impietosa rappresentazione della società di massa: una fotografia che teneva conto sia dei ritmi frenetici e delle mode volatili, sia dei nuovi strumenti di propaganda che permettevano ai magnati di trarne profitto.

Anche la psicanalisi è un tema piuttosto ricorrente nella produzione di Rodolfo Cimino, specie se ha a che vedere con le condizioni di stress a cui si sottopone costantemente Paperone. Se Barks si era misurato con il tema della vertigine del possesso, esplorando i guai che possono capitare a un povero vecchio ricco sfondato, nelle storie del suo “discepolo” lo shock è principalmente dovuto a fenomeni sociali: concorrenza sul lavoro, piccoli screzi in famiglia, tasse da pagare.

È per sottrarsi alle tasse che il personaggio, in Zio Paperone e la triplicità progressiva, decide di assumere tre distinte personalità, abitando addirittura in posti diversi e indossando abiti e cilindri differenti per essere convincente. Ci riesce talmente bene che rischia di smarrire il suo vero io. E, naturalmente, dove non arrivano i grandi psichiatri consultati da Qui, Quo e Qua per farlo rinsavire, arrivano le mazzate persuasive di Paperino.

Forse, però, l’argomento che accomuna le storie più famose di Cimino è quello ecologico. La Natura è sempre vista come preziosa fonte di vita, tutt’altro che “matrigna”. Come nella migliore tradizione disneyana, arreca danno all’uomo solo quando questi la maltratta. È il caso di Paperino e il pifferosauro uranifago, dove la solita creatura fantastica (un po’ animale preistorico, un po’ alieno) rischia di divorare i giacimenti di uranio dello Zione, che farà di tutto per abbatterla. Il risultato? Nasceranno nuovi cuccioli di pifferosauro, pronti a dare manforte alla madre per mantenere la supremazia territoriale e papparsi il minerale.

Ma il capolavoro di questo filone è probabilmente Zio Paperone e l’invasione dei Ki-Kongi. Un fumetto che, come spesso capita con Cimino, racchiude in sé molti generi e li subordina tutti a una struttura chiusa da fiaba. Qui il fantasy incontra la fantascienza: un popolo avanzatissimo crea dei bestioni di “materia base”, nati per costruire ma votati alla distruzione per mancanza di… sale in zucca. Tocca a Zio e Nipoti farsi carico dei loro effetti collaterali, dato che all’Organizzazione delle Nazioni Sparpagliate (parodia dell’ONU) non sanno più che pesci pigliare.

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Trrr, bowoo, ki-kong! Da ‘Zio Paperone e l’invasione dei Ki-Kongi’ (testi di Cimino, disegni di Cavazzano, 1973)

Molti lettori ricordano ancora alcuni fumetti di Cimino per via del loro esibito sottotesto politico. Paperino e la cometa atomica, per esempio, è parzialmente ambientato in un pianeta lontano dove la popolazione, ridotta in schiavitù, ha il divieto di cibarsi di un’erba particolare che dona l’intelligenza e che potrebbe indurla a rovesciare la tirannia dei due capi di stato. È proprio ciò che succede quando Paperino ne ruba un po’ di nascosto: gli autoctoni sviluppano una “coscienza di classe” e portano a termine senza intoppi la loro “rivoluzione proletaria”.

In Zio Paperone e l’elmo del comando, che Rodolfo Cimino scrisse nel 1973 volendo prendere di mira un suo superiore «che era un enorme cretino», il potere dà letteralmente alla testa: Paperone è così preso dagli affari che non riesce più a reggere il peso delle responsabilità e per guarire deve darsi alla politica, ricoprendo un ruolo di governo. Dato che «non c’è un solo posto sulla Terra dove le ruote non cigolino se non sono unte», decide di trasferirsi sull’ennesimo pianeta sperduto (aka deserto, aka isoletta) dove, una volta eletto “capo”, si fa cingere il “capo” con un elmo corazzato che lo prenderà a schiaffi quando promulgherà qualche legge ingiusta.

Lo stesso Cimino intraprese per molti anni una carriera politica nelle file del Partito Socialista. Dal 1975 al 1986 fece persino parte della Giunta Comunale di Venezia come assessore ai lavori pubblici, ma negli articoli di cronaca il suo nome resta legato a uno scandalo che lo vide coinvolto negli anni Ottanta, quando fu accusato di aver favorito un’impresa edile dietro il pagamento di una tangente. Nel 1990 il Tribunale di Venezia dichiarò prescritta l’accusa.

rodolfo cimino e l'autore disney sergio asteriti
Cimino a colloquio con il disegnatore Sergio Asteriti | © Cartoonist Globale

Nel frattempo, per dedicarsi solamente alla politica, Cimino aveva smesso di collaborare con Topolino. Tornò in squadra solo nel 1987, con una storia che fu reclamizzata come un vero e proprio evento, perché a distanza di oltre 10 anni riproponeva un suo personaggio che era rimasto nel cuore dei lettori: Reginella.

Il lato romantico del cantastorie

Dal 1972 la bella regina del pianeta Pacificus era la segreta spina nel fianco di Paperino. Una papera aliena di cui si era perdutamente innamorato nel corso di un’avventura sottomarina e che aveva rivisto poco tempo dopo, sulla Terra, prima di perderla un’altra volta. Reginella è la sintesi perfetta della poetica del suo creatore: un personaggio caparbio, fallibile, abile nell’uso delle parole, proveniente da un popolo lontano, e soprattutto molto emotivo. Insieme all’ecologia, l’amore è l’altro grande tema che ha reso i fumetti di Rodolfo Cimino tanto popolari in tutte le fasce d’età, ed è quasi sempre un amore impossibile.

Reginella e Paperino, oltre che aliena e terrestre, sono sovrana e suddito, single “in carriera” e fidanzato spiantato, personaggio secondario e icona. Le loro vite sono destinate a restare separate.

Le (poche) storie in cui Cimino li ha fatti incontrare sono anomale rispetto alla sua solita produzione, un po’ perché si pongono in diretta continuità l’una con l’altra e un po’ perché, dal tono ironico e disincantato degli altri fumetti, si passa a un registro totalmente lirico e intriso di romanticismo, che, specie all’inizio, tende a escludere l’azione. Paperino resta ai margini delle vicende, intervenendo quando è il momento solo per cause di forza maggiore.

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Cuori nel traffico. Da ‘Paperino e il ritorno di Reginella’ (testi di Cimino, disegni di Cavazzano, 1974)

Un discorso simile vale per l’altro importante ciclo di storie concepito da Cimino: Nonna Papera e i racconti attorno al fuoco. Come suggerisce il titolo, gli episodi coincidono con le antiche fiabe di frontiera narrate da Elvira Coot ai suoi parenti, che compaiono sempre nella cornice prima di fare spazio a personaggi nuovi, usa e getta, ma capaci di lasciare un segno più nel cuore che nella mente dei lettori. Anche perché le loro vicende coprono archi di tempo piuttosto lunghi, e hanno modo di crescere e invecchiare proprio davanti ai nostri occhi. Il primo racconto, Il bel cavaliere e la regina del lago perduto, è, tanto per cambiare, la storia sfortunata di un amore profondo reso (quasi) impossibile dal destino.

Cosa resta di Rodolfo Cimino?

Dalla seconda metà degli anni Ottanta fino alla sua morte, Cimino continuò realizzare fumetti per Topolino senza abbandonare il proprio stile. Scrisse poco meno di 400 sceneggiature, perlopiù valide e in linea con la qualità media della rivista, ma con il tempo il suo interesse per le trasformazioni sociali si affievolì. La sua Paperopoli rimase la stessa cittadina densamente popolata degli anni Sessanta, dove Paperone trae beneficio dall’ingenuità degli abitanti massificati e dove tutto ciò che i nipotini possono desiderare è «un battellino radiocomandato», dato che non c’è traccia delle nuove tecnologie o di fenomeni legati alla globalizzazione.

La produzione di Cimino si fece sempre più chiusa su se stessa, trasformando i riferimenti su cui poggiava (i popoli bislacchi, i vecchi saggi, i deserti lontani) nelle coordinate di un mondo che si ripeteva sempre uguale, storia dopo storia. Lingua e stile divennero due certezze, a tratti anche rassicuranti, e persero ben presto la loro carica eversiva. Proprio grazie alla costante riproposizione di questi stilemi, tuttavia, l’autore friulano ha saputo penetrare nell’infanzia e nell’adolescenza di tre diverse generazioni.

I cliché ciminiani sono talmente ben rodati che si adattano anche alle sue (rare) storie con i Topi. Da ‘Topolino e la sorpresa delle noci giganti’ (testi di Cimino, disegni di Casty, chine di Mazzon, 2011)

L’influenza di Cimino, impossibile da quantificare, si estende a chiunque abbia scritto fumetti per Topolino dopo di lui, e in particolare a Francesco Artibani (che lo ha omaggiato, insieme al disegnatore Alessandro Perina, ritraendolo nella vignetta finale di una delle loro storie più note), ma anche a Casty (che ha attinto al suo filone ecologico più di chiunque altro, e che ha creato un prozio di Pippo chiamato “Romino Cidolfo”) o a Bruno Enna (autore di un fumetto che ha rilanciato il personaggio di Reginella).

Un’ulteriore conferma dell’influenza di Cimino ha a che vedere con Battista, il maggiordomo-factotum di Paperone, che proprio lui caratterizzò in modo stabile e definitivo, raffigurandolo fin dai primi storyboard con il muso allungato e i capelli ricci, come siamo abituati a vederlo oggi. In seguito, anche grazie alla matita di Cavazzano, è diventato il modello di riferimento per tutti i disegnatori contemporanei.

A 10 anni dalla sua scomparsa, Rodolfo Cimino resta dunque un punto di riferimento imprescindibile per chiunque desideri scrivere fumetti per Topolino. Un autore che ha mantenuto in vita la figura di Zio Paperone, evidenziandone i capricci, le ossessioni e le debolezze in un periodo in cui la sua ricchezza caratteriale rischiava di essere fraintesa da tanti sceneggiatori. Un artigiano che è rimasto fedele al proprio stile; che è entrato in punta di piedi nelle case di migliaia di italiani lasciando il segno. E che oggi vale la pena riscoprire, andandosi a rileggere tutte le sue storie migliori.

Rodolfo Cimino ritratto da Cavazzano nel fumetto “Topolino 2000”, scritto da Bruno Sarda, 1994

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