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FocusOpinioniLo Spider-Man di Sam Raimi è ancora il migliore possibile

Lo Spider-Man di Sam Raimi è ancora il migliore possibile

spider-man film 2022 sam raimi

Sono passati 20 anni dall’esordio del primo film Spider-Man di Sam Raimi al cinema. Ora che il personaggio è una specie di frattale capace di riflettere qualsiasi desiderio del pubblico, perfino scomodare una produzione da centinaia di milioni di dollari per ricreare un meme, fa ancora più strano ripensare all’interpretazione che ne aveva dato il film del 2002 diretto da Sam Raimi, molto distante – temporalmente, per stile e tono – eppure ancora imbattuta.

Il film di Spider-Man di Sam Raimi arrivò dopo anni di travagli e tentativi infruttuosi che avevano coinvolto nomi di spicco come James Cameron. Il regista di Terminator aveva scritto una storia che si discostava molto dal fumetto: i lanciaragnatele erano organici, c’era un alto tasso di profanità e sesso, Electro era un uomo d’affari paragonabile a Donald Trump e, insieme alla guardia del corpo Sandman, voleva che Spider-Man si unisse a loro. Il film rimase però impigliato in contenziosi legali e la situazione si sbloccò solo alla fine degli anni Novanta.

Dopo vari registi contattati (tra cui David Fincher, che si rifiutò di girare un film sulle origini del personaggio, proponendo invece un adattamento de La notte in cui morì Gwen Stacy) e molte riscritture, Spider-Man uscì nel 2002 accolto da buone critiche e da un clamore popolare che confermò ciò che Blade e X-Men, i precedenti adattamenti Marvel, avevano dimostrato: i film di supereroi non erano più veleno al botteghino. 

spider-man film 2022 sam raimi

Nel raccontare le origini di Spider-Man, Raimi optò per la versione classica, innestando l’idea di Cameron dei lanciaragnatele organici, ma per il resto ignorando i richiami contemporanei di fumetti come Ultimate Spider-Man, che aveva aggiornato la nascita dell’eroe con una storia techno-thriller di derivazione volutamente cinematografica. Raimi invece restò fedele alle letture d’infanzia e creò un universo ingenuo, vecchio stile, con un’immaginazione futuristica per quanto riguarda la parte supereroistica e volutamente retrò in quella umana.

Se Spider-Man veste un costume con le ragnatele in rilievo e Goblin, dopo un design iniziale che cercava di aggrapparsi all’immaginario prima maniera dell’Uomo Ragno, è ripensato come un avvenieristico criminale, Peter ha un taglio di capelli vecchio stile e un armadio pieno di abiti che andavano di moda nel 1962, mentre New York è ripresa nei suoi scorci più romantici e passatisti (le casette a schiera del Queens, il Flatiron Building), così come Mary Jane, zia May e J. Jonah Jameson sono portati sullo schermo seguendo l’ispirazione originale.

A distanza di 20 anni, di quel primo Spider-Man resta la scena iconica del bacio sottosopra, un momento che da solo vale come metà della filmografia dell’MCU (per non parlare della scena del risveglio di Doc Ock nel secondo episodio, altra sequenza che oggi sarebbe impensabile, o del Peter emo di Spider-Man 3, a suo modo rimasto impresso nella memoria comune).

spider-man sam raimi film 2002

Dei film di Spider-Man arrivati dopo la trilogia di Sam Raimi, nel bene e nel male, si fa fatica a ricordare pezzi di cinema simili. C’è poco da fare: la perdita di personalità registica dei film è solo l’effetto collaterale della loro trasformazione in serie tv ad alto budget, un prezzo da pagare per aver allargato il parco giochi cinematografico.

Soprattutto, quelli di Raimi sono film che mettono al centro la sensazione di essere un eroe, grazie al principio estetico della spydercam, capace di portare in vita i volteggi tra i canyon urbani di New York e di restituire la sensazione di vertigine e potenza. Non è che gli altri film non lo facciano, ma la dimensione fisica e corporea tipica di Spider-Man è stata in parte negata per generiche esibizioni di forza, oppure affossata in un guazzabuglio di decisioni sbagliate. Penso alla sequenza in prima persona di Amazing Spider-Man, in cui lo spettatore assisteva alle acrobazie dell’Uomo Ragno dalla prospettiva dell’eroe, inclusa nel trailer e poi brutalmente ridotta a uno sfarfallio di inquadrature nel montaggio finale.

Nella sua trilogia di Spider-Man, Sam Raimi mortifica Peter Parker con vestiti stropicciati o di due taglie più larghi, un andamento impacciato, imperfezioni, l’imbarazzo, quello vero, di un ragazzo che per fare un complimento a una ragazza dice «la cosa grandiosa di MJ è che quando guardi nei suoi occhi e lei sta guardando indietro nei tuoi, tutto sembra… Non del tutto normale». Per non parlare delle amicizie che ne sottolineano i difetti e lo mettono in una posizione socialmente reietta (l’Harry Osborn di James Franco è un figlio di papà popolare e ben voluto, con dei complessi nei confronti del padre, che gli preferibbe Peter, ma quella sfera emotiva esula dalla vita scolastica o adolescenziale).

Peter Parker è alla fine della catena alimentare scolastica, talmente in fondo che, nella scena che apre il film, nemmeno i secchioni più impresentabili vogliono che lui si sieda accanto a loro sul bus. È il vero freak della storia, molto di più di Norman. La faccia di Tobey Maguire è bloccata in una perenne espressione bambaciona che anche quando si arrabbia non lo fa comunque sembrare il personaggio più temibile della scena. Quello di Maguire è l’unico Spider-Man ad aver rappresentato l’essenza estremamente sfigata del personaggio. Sia Garfield che Holland hanno affrontato la parte sapendo che la nota di fondo caratteriale di Peter restava il fascino – ombroso in Garfield, pacioso in Holland.

È come se nel 2002, pur essendoci film costosi e giocoforza larghi, si accettasse la natura alternativa e sotterranea dei fumetti di supereroi. Era nel codice genetico dei personaggi essere un po’ strambi, non del tutto centrati, perché l’industria cinematografica considerava i fumetti un po’ strambi, non del tutto centrati. Quando però il genere è diventato un filone generalista, ora sì al centro dei discorsi di tutti, i film si sono allineati sulla ricerca di protagonisti che sapessero stare al mondo anche nella loro componente civile. Da Tony Stark in poi, gli eroi Marvel sono fascinosi, carismatici e imperturbabili ancora prima di indossare il costume, e ogni aspetto bizzarro è stato smussato alla velocità con cui Wolverine ha perso i suoi capelli a punta.

C’è anche questo fattore da considerare: se Peter è un nerd, allora si deve adattare al nuovo status di nerd, un animale umano che dagli anni Duemiladieci non è più visto come una figura da ghettizzare. Quindi Garfield, per essere un emarginato, deve imboccare la strada dello studente dotato ma scontroso che usa sarcasmo e cinismo per rapportarsi con gli altri. Peccato che questi aspetti, uniti a un’immagine esteriore tutt’altro che mortificante, lo rendano a suo modo interessante. Garfield, anche quando è Peter Parker, è già Spider-Man. E Holland, pur cercando di comunicare inadeguatezza nel ruolo di Spider-Man, aiutato comunque da un contesto in cui è sempre il più giovane e quello con meno esperienza della stanza, è un ragazzo con una vita sociale realizzata, sul modello di Miles Morales.

A riguardarlo ora, lo Spider-Man di Sam Raimi sembra molto distante, forse anche perché l’umorismo Marvel ha preso piede facendo diventare tutti i personaggi dei loro film dei battutari maestri del ping pong verbale. E infatti quando Maguire appare in Spider-Man: No Way Home è chiarissimo quanto fuori posto sia quella versione del personaggio nel nuovo contesto, dove chiunque parla con la brillantezza di uno schiocco di dita, mentre lui incespica nelle parole.

Il primo Spider-Man di Sam Raimi è un film ammantato da un’ingenuità solo in parte volontaria che lascia spazio a diversi momenti invecchiati male – di cui gli autori faranno tesoro per il sequel, uno dei film di supereroi più riusciti. Al netto dei difetti, lo Spider-Man del 2002 è un film che ha saputo azzeccare tutti gli elementi che non si dovevano sbagliare.

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