
C’è un cortometraggio del 1995 intitolato Topolino e il cervello in fuga che Disney non tiene a far vedere al pubblico. Anzi, spera proprio che la gente se ne dimentichi. O almeno così sembra emergere dalle ricerche di Polygon, che ha pubblicato un articolo in cui si ripercorre la genesi e l’eredità del corto in questione, in cui Topolino finisce vittima di un esperimento di scambio di cervelli.
Topolino e il cervello in fuga fu un incidente di percorso pensato per rinfrescare l’immagine di Topolino, il marchio più prezioso di Disney, su cui i dirigenti si accorsero troppo tardi di voler fare marcia indietro. Perché un prodotto tutto sommato innocuo rimane un tabù per la Disney odierna, che si è dimostrata aperta anche a ripensamenti grafici estremi come quello di Paul Rudish?
Negli anni Quaranta, con più di cento cortometraggi da protagonista all’attivo, Topolino aveva iniziato a normalizzarsi e da campagnolo indiavolato com’era nelle prime storie (sia a cartoni che a fumetti) era diventato un bolso everyman, borghese tanto nei modi quanto nell’aspetto. Non era più una figura di rottura ma un canone che si doveva confrontare con le personalità forti, comiche e dinamiche di Pluto, Pippo e Paperino.
Nel 1953 il cortometraggio The Simple Things (da noi Topolino a pesca) diventò la sua ultima apparizione cinematografica, in quello che sarebbe sembrato a posteriori un commento sull’inadeguatezza del topo di fronte alla modernità. A Topolino non restavano che le cose semplici, diceva il cortometraggio, come un pomeriggio a prendere carpe, perché non poteva più affrontare la complessità. Più che un addio, una ritirata.
Tuttavia, Topolino restò vivo come icona, nell’oggettistica e in televisione. Nel 1979, Mickey Mouse Disco, una compilation di canzoni Disney arrangiate seguendo la moda della disco music, confermò ai dirigenti che Topolino, presenza fissa sui teleschermi grazie al Micky Mouse Club, era ancora moneta spendibile. Il personaggio tornò così nei cinema con alcuni progetti di lunghezza breve, come Il canto di Natale di Topolino e Il principe e il povero, entrambi ispirati agli omonimi classici della letteratura.
All’inizio degli anni Novanta, la dirigente Kathleen Gavin, che aveva lavorato a Nightmare Before Christmas, fu messa a supervisionare tutti quei progetti che esulavano dai lungometraggi Disney. Ralph Guggenheim, produttore di Toy Story che si interfacciava con Gavin, definì questi progetti «la frangia lunatica» di Disney. Tra i progetti che si trovò a varare Gavin c’era anche un cortometraggio con protagonista Topolino. Era una richiesta dei responsabili del merchandising, che volevano un prodotto per riportare Topolino sugli scaffali dei negozi nella «maniera più strampalata possibile».
«C’era sempre un progetto con Topolino in fase di sviluppo», ricorda il regista di Topolino e il cervello in fuga Chris Bailey a Polygon. «Solo che non arrivavano mai a produrlo. Erano sempre nel limbo. A un certo punto toccò anche a me proporre qualcosa, ma non mi aspettavo che entrasse davvero in produzione.»
Bailey, giovane animatore alla sua prima esperienza da regista (avrebbe poi lavorato a serie come Clerks, Kim Possible e Scooby-Doo and Guess Who?), propose Tourist Trap, in cui Paperino tentava di uccidere Topolino mentre i due erano in vacanza. L’idea proveniva da un cortometraggio di Roger Rabbit mai realizzato a causa della rottura tra Disney e Steven Spielberg, che aveva prodotto Chi ha incastrato Roger Rabbit e si era risentito dopo che lo studio aveva preferito distribuire il precedente cortometraggio di Roger Rabbit, Roger Rabbit sulle montagne russe, insieme al film Dick Tracy invece che al film co-prodotto insieme a Spielberg Aracnofobia.
Anche se l’idea fu approvata, i dirigenti – nelle persone di Jeffrey Katzenberg, Thomas Schumacher e Peter Schneider – non gradirono la prima versione del corto e diedero istruzioni a Bailey di rivedere la storia. «Qualsiasi correzione avrebbe eroso il nucleo della storia» spiega Bailey. «Doveva essere un corto cattivo, se il problema era Paperino che tenta di uccidere Topolino, allora la versione addolcita di quella storia non avrebbe avuto senso.» Durante una riunione, qualcuno disegnò una versione mostruosa di Topolino e la reazione della sala fu talmente buona che si pensò di creare una storia che omaggiasse il genere pulp e unisse la sensibilità scorretta dei primi corti con l’umorismo moderno.
Il canovaccio è ultraclassico: per finanziare una vacanza promessa (per sbaglio) a Minni, Topolino accetta un lavoro come custode presso il laboratorio del Dottor Frankenollie – una citazione a due storici animatori Disney, Frank Thomas e Ollie Johnston – ma diventa la cavia in un esperimento di scambio di cervelli con Julius, il mostro gigantesco creato dallo scienziato. Un Topolino mutato nell’aspetto (capelli arruffati, occhi gialli, ghigno mostruoso, mani nodose) e nel carattere parte all’inseguimento di Minni, mentre il vero Topolino, nel corpo di Julius, cerca di salvare la sua fidanzata e tornare nelle proprie membra.
Come rimando alla tradizione, Frankenollie si inseriva nel filone dei dottori pazzi (e con tratti scimmieschi) che Topolino aveva già incontrato nel fumetto del 1932 Topolino e Orazio nel castello incantato, scritto e disegnato da Floyd Gottfredson, e nel corto del 1933 Topolino e lo scienziato pazzo diretto da David Hand. L’intenzione originale era quella di chiamare lo scienziato Dottor X, proprio come uno dei tre cattivi inventati da Gottfredson.
A supervisionare il design e le animazioni fu chiamato Andres Deja, la cui matita aveva portato in vita personaggi come Jafar, Scar, Hercules e Lilo e che aveva già animato Topolino nel film Chi ha incastrato Roger Rabbit e Il principe e il povero. «È difficile capire la vera personalità di Topolino» disse Deja a Repubblica nel 1996. «Il fatto che sia un’icona della Disney potrebbe limitarne molto le possibilità espressive, tanto che lo sforzo creativo più stimolante è quello di sceglierne il giusto aspetto grafico. […] La possibilità veramente unica offerta da questo cortometraggio è stata comunque quella di deformarne l’aspetto, distruggerne lineamenti consolidati da più sessant’anni era esilarante.»
Katzenberg voleva un prodotto che parlasse al pubblico degli anni Novanta, che fosse veloce e con quella punta di spavalderia necessaria, secondo il dirigente, a rinfrescare il personaggio. Era una direttiva che stava dando a tutti i progetti in lavorazione (le sue note alla prima versione di Toy Story erano tutte tese a rendere Woody, il co-protagonista del film, un tipo cinico e smargiasso) ma che andava in direzione opposta a quella, tradizionalista, di Schumacher e Schneider.
All’inizio del cortometraggio, Topolino gioca a un picchiaduro con la strega di Biancaneve e Cucciolo in cui vediamo le tombe degli altri sei nani. La gag, al tempo stesso una citazione al canone Disney e una dimostrazione che Topolino era calato nella contemporaneità, sarebbe dovuta essere molto più irriverente. Bailey racconta che Katzenberg aveva avuto l’idea di mostrare Topolino alle prese con un gioco in realtà virtuale in cui vestiva i panni del cacciatore di Bambi, con l’obiettivo di sterminare la fauna silvestre. Quando il regista girò la proposta a Schneider, questi gli rispose «neanche per sogno».
A salvare Topolino e il cervello in fuga dal limbo fu una coincidenza fortuita. Il distaccamento francese degli studi d’animazione, che aveva lavorato a Zio Paperone alla ricerca della lampada perduta e In viaggio con Pippo, stava aspettando l’inizio della produzione de Il gobbo di Notre Dame ed era momentaneamente senza incarichi. «Se non fosse stato per quel buco nella programmazione» racconta Bailey «gli storyboard del corto sarebbero finiti negli archivi insieme a tutti gli altri progetti. Ma c’era bisogno di farli lavorare, e io avevo un lavoro per loro».
Nel bel mezzo della lavorazione, Katzenberg lasciò Disney per andare a fondare lo studio DreamWorks insieme a Steven Spielberg e al discografico David Geffen. Il gruppo di lavoro inserì una citazione al fatto nella scena in cui Topolino cade nella botola all’entrata del laboratorio e si vede, per una frazione di secondo, un foglio rosa con le iniziali “J.K.” (in inglese il “pink slip”, letteralmente “ricevuta rosa”, è la notifica del cessato impiego). Per il resto, gli autori pensarono che il cambio al vertice non avrebbe stravolto le sorti del progetto.
In realtà, Schneider e Schumacher fecero prevalere la linea tradizionalista. Ordinarono a un montatore di tagliare i momenti più violenti (tagli a cui Bailey si oppose con fermezza) e fecero ridisegnare le scene col mostro per rimuovere la bava dalla bocca, un dettaglio giudicato troppo respingente. Anche il finale, in cui Julius traina la barca di Topolino e Minni spronato da un manichino di Minni appeso davanti a lui, fu ammorbidito sostituendo il manichino con delle fotografie.
Il cortometraggio debuttò nell’agosto 1995, proiettato prima di Un ragazzo alla corte di re Artù (almeno nel Nord America, mentre in altri paesi fu associato ad altri film: da noi uscì con Il viaggio con Pippo). Aprì persino il Festival di Cannes del 1996 e ricevette una candidatura all’Oscar per il miglior cortometraggio animato (vinse Una tosatura perfetta, il terzo episodio della serie di Wallace e Gromit).
Rispetto ai tentativi precedenti, improntati al classicismo e al rigore di contenuti e messa in scena, Topolino e il cervello in fuga era una storia che recuperava lo spirito beffardo del passato ma che si muoveva al ritmo di un blockbuster anni Novanta. Le animazioni sono curate, la trama procede spedita e la regia impiega perfino sfondi al computer – comuni ma neanche troppo per l’epoca – al fine di divincolare la cinepresa dalla bidimensionalità del disegno. Ci sono gag in bilico tra il comico e il macabro (a un certo punto Julius sbraita e dalla sua bocca viene sputata fuori la carcassa di Zazu de Il re leone), l’umorismo è autoironico, citazionista (L’esorcista, Aliens, Frankenstein) e metanarrativo, sulla scia di ciò che aveva fatto Aladdin: nel portafogli Topolino conserva una “vecchia foto” risalente ai tempi del suo esordio, Steamboat Willie. Il risultato finale è piacevole, seppur innocuo e tutt’altro che di rottura.
Eppure, nonostante il corto nascesse come volàno per il merchandising, Disney produsse pochissima oggettistica a tema, ritenendo che il progetto si fosse spinto troppo in là e non valesse la pena investirci. Un dirigente della Disney che lavorava nel reparto consumatori disse al Los Angeles Times che «molti spettatori trovarono molto disturbante il fatto che Topolino venisse posseduto». Erano tutti molto poco a loro agio con il fatto che il cervello di un mostro se ne andasse in giro nel corpo della mascotte aziendale.
Fonti interne a Disney hanno confermato a Polygon che lo studio fece – e fa ancora oggi – di tutto per tenere il cortometraggio lontano dai riflettori. Nonostante non presenti particolari aspetti problematici o datati, il corto è utilizzato spesso come esempio di «cosa non fare» con il personaggio. Tuttavia, a ben guardare, la sua esistenza non è così osteggiata come scrive Polygon. Nel 1996 uscì perfino un adattamento fumettistico sulla serie francese Le Journal de Mickey (tradotta in diversi paesi) e Julius tornò nel 2012 come cattivo in un livello segreto del videogioco Kingdom Hearts 3D: Dream Drop Distance.
È vero, Topolino e il cervello in fuga è assente dal catalogo di Disney+, ma lo stesso si può dire di molti altri cortometraggi Disney. Ne esistono 130 con protagonista Topolino, ma la piattaforma ne offre meno della metà (sulla versione italiana di Disney+ fino a pochi mesi fa mancava perfino l’innocuo Canto di Natale di Topolino, assente per questioni di diritti televisivi).
Il corto fu inserito nella videocassetta I capolavori di Topolino, distribuita sul mercato italiano nel 1997 e poi nel 2002, allegata a TV Sorrisi e Canzoni, e nel DVD del 2004 Topolino star a colori (vol. 2) della serie Walt Disney Treasures, che si proponeva di fare un lavoro filologico sulle apparizioni di Topolino al cinema, seppur incompleto (nell’edizione italiana del DVD, tuttavia, il corto non è presente). Tutto sommato, è molta più visibilità di quanta ne abbiano ricevuta tanti altri corti, dato che non esistono raccolte complete della filmografia Disney. In linea di massima, l’azienda è restia a rendere reperibile tutta la propria Storia audiovisiva, e il formato corto – per quanto riguarda il passato almeno – è difficile da maneggiare. Warner Bros. sta vivendo la stessa situazione per quanto riguarda i Looney Tunes, presenti solo parzialmente su HBO Max.
Inoltre, quando si tratta di commercializzare una variante del personaggio, si preferisce farlo con prodotti di cui non si debba specificare il contesto narrativo – Topolino vestito da apprendista stregone o direttore d’orchestra non ha bisogno di spiegazioni, Topolino in versione mannara forse sì. È comprensibile quindi che Topolino e il cervello in fuga non abbia avuto grande eco. Insomma, esperimenti del genere saranno anche malvisti dalla dirigenza, ma al pari di tante altre avventure fuori dai canoni del personaggio.
A prescindere dalla sua reperibilità, Topolino e il cervello in fuga ha lasciato il segno su coloro che l’hanno visto. Pochi anni dopo l’uscita, Bailey fu ingaggiato dal regista Kevin Smith per dirigere la serie animata del 2000 tratta dal suo film Clerks. Bailey ricorda che Smith lo assunse dicendo: «Chiunque abbia realizzato un cortometraggio con un Topolino maniaco furente che sbava per Minni è la persona giusta per Clerks».
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