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Mondi POPAnimazioneTra parkour e apocalisse nel nuovo anime di Netflix

Tra parkour e apocalisse nel nuovo anime di Netflix

bubble anime netflix recensione

In un futuro non meglio precisato, un fenomeno inspiegabile e assurdo sconvolge la vita di molti giapponesi: l’apparizione di misteriose bolle provoca infatti la morte di molte persone e genera instabilità gravitazionali a Tokyo, rendendo la città invivibile. Ma questo non ferma un gruppo di ragazze e ragazzi che si divertono a esplorare quel mondo assurdo, sfidandosi con sprezzo del pericolo in una sorta di parkour. Fra questi c’è Hibiki, che soffre di un disturbo all’udito e il cui incontro con la misteriosa Uta cambierà non solo il suo destino ma anche quello di tutti i giapponesi.

Disponibile su Netflix, Bubble è un anime che vive di suggestioni altre, mescolandole, sintetizzandole e generando una visione a tratti derivativa ma che per altri versi risulta interessante. Le personalità coinvolte in questo progetto sono del resto di spicco: alla regia c’è Tetsurō Araki, già regista de L’attacco dei giganti, alla sceneggiatura troviamo Gen Urobuchi, noto per il suo lavoro per Puella Magi Madoka Magica e Psycho-Pass, e al character design quel Takeshi Obata che aveva contribuito non poco, con il suo tratto, a definire l’estetica di opere come Death Note e Bakuman. Infine le musiche, che qui hanno un ruolo importante, sono state scritte da Hiroyuki Sawano, compositore della colonna sonora di Promare.

Bubble è un anime a suo modo postmoderno, nel suo vivere di derivazioni “altre”, a partire da La sirenetta di Hans Christians Andersen, citata più volte e in modo esplicito. È evidente per esempio la connessione fra la protagonista della fiaba e Uta, che proviene dal mare e che aspira a essere, vivere e amare come gli esseri umani, ma che è richiamata prepotentemente dalla sua natura originaria. Non è la prima volta che l’animazione giapponese si ispira ai classici occidentali, stravolgendone i canoni e rielaborandone i riferimenti estetici. È successo per esempio di recente anche con Belle di Mamoru Hosoda, che ha ripensato, a modo suo, La bella e la bestia di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. 

Ma Bubble è strettamente legato anche al mondo dell’animazione giapponese. La sensazione di un’apocalisse imminente e la dimensione di distruzione e di fine che ne caratterizzano l’ambientazione richiamano infatti buona parte della fantascienza animata più nota, a partire da Akira di Katsuhiro Otomo, citato persino nella bolla distruttiva che sembra proprio quella con cui si apriva il film del 1988. La città stessa – che vive di regole sue e in cui è l’anarchia a farla da padrona – ricorda invece la rappresentazione che ne fece Michael Arias nella trasposizione animata di Tekkonkinkreet, tratta dal manga di Taiyo Matsumoto. L’uso dei colori e di certe atmosfere sospese, immerse in un’ambientazione marina o comunque dominate dall’elemento dell’acqua, ricordano infine a tratti certo cinema di Makoto Shinkai. 

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Nonostante tutte queste suggestioni, Bubble riesce a vivere di vita propria, proponendo un cinema che alterna sapientemente sequenze adrenaliniche – in cui spiccano quelle del parkour – con altre più trascendenti, poetiche. Dove il film non funziona è nel delineare personaggi che faticano a emergere, vittime di certe banalità di cui ormai molta animazione nipponica soffre, proponendo frizioni drammaturgiche già viste e meglio elaborate altrove. I personaggi e le loro storie, insomma, sono poco incisivi e questo si riflette sulla componente drammatica del film, che non ha alcuna profondità emotiva.

Bubble però è un anime che eccelle sul piano del coinvolgimento estetico e visivo. Il lavoro fatto da WIT Studio è in linea con quello, per esempio, di L’attacco dei giganti, strabiliante e frenetico, in grado di fornire una prospettiva tridimensionale ad alcune sequenze lavorando con un’animazione classica in 2D. In più c’è equilibrio – fragile ma costante – tra l’immagine e il sonoro, che funge da elemento narrativo a sé e che crea empatia e coinvolgimento.

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