
Guardando le foto in cui viene ritratto Gregory Gallant, meglio conosciuto come Seth, noterete sempre un tono compassato e distante. Il gusto old fashioned per abiti maschili dal taglio sartoriale, lunghi cappotti color cammello o ninnoli del passato – collezionati e catalogati in maniera compulsiva – ne fanno un artista fuori dal tempo. L’ossessione per il passato non si traduce in Seth in un semplice sentimento di nostalgia, parola che tra l’altro odia, ma in una forma di consapevolezza della struttura del tempo.
Il passato è una presenza fantasmatica: Seth osserva nel presente i segni inequivocabili di un tempo che l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno cancellato per sempre. Segue le tracce di quel passato e cerca di dargli forma. La sua passione potrebbe essere facilmente rubricata come un’elegante forma di escapismo – e in fin dei conti forse lo è – ma è solo l’esplicito e disperato tentativo di arginare l’impassibile incedere del tempo.

Con Clyde Fans, Seth ha cercato di scrivere e disegnare la sua versione del grande romanzo americano: il risultato è una lunga seduta di psicanalisi. Le vicende di Abe e Simon Matchcard tracciano un perimetro mentale, una gabbia in cui è cristallizzato un mondo che ormai non esiste più (o sarebbe meglio dire, non è mai esistito). Così come Abe Matchcard anche Gregory Gallant ha corso il serio rischio di restare intrappolato in quei luoghi. La memoria – un po’ alla maniera del Funes di Borges – è una prigione, e ogni attimo sembra essere eterno e incancellabile.
Il tempo, la memoria, l’identità, il passato sono temi che avvicinano l’opera di Seth a quella di Chris Ware: entrambi riflettono sui meccanismi utilizzando il medium fumettistico ed entrambi sono ossessionati dal collezionismo e dagli oggetti, vere e proprie macchine del tempo, che si squadernano davanti ai loro occhi rivelando mondi infiniti. Questa attenzione maniacale si traduce in Seth nella costruzione di una città ideale, Dominion, in cui si svolgono le vicende dei protagonisti dei suoi “picture novel” (termine canzonatorio che Seth preferisce al più blasonato e comune graphic novel).
George Sprott rientra nella serie di biografie immaginarie realizzate da Seth: se in La vita è meravigliosa, malgrado tutto si era dedicato alla ricostruzione della vita di Kalo, un oscuro fumettista canadese, e in Wimbledon Green a quella del più grande collezionista di fumetti del mondo, in George Sprott, l’autore si occupa della biografia di un conduttore televisivo di una piccola emittente locale, all’indomani della sua dipartita.

«Vedere la propria vita con assoluta chiarezza potrebbe essere l’inferno», è una delle massime sulla morte e sulla vita di George Sprott, un omone che ha ormai superato la soglia degli ottanta e che continua a condurre con storica perseveranza un programma di curiosità e cronache sulle regioni artiche. Sprott vive in un mondo che è ormai scomparso, spesso si addormenta durante le dirette, tanto che c’è un addetto preposto a svegliarlo, manda in onda vecchi filmati di spedizioni tra i ghiacci, fa una vita metodica e regolare, mangiando sempre lo stesso piatto nello stesso ristorante da anni, tiene conferenze settimanali presso un teatro che sopravvive a stento, ma soprattutto non ha mai fatto i conti con se stesso e con il suo passato.
George Sprott è un narratore infedele: le sue memorie sono un’eloquente prova della sua malafede. È un ritratto impietoso di una mascolinità egoriferita in cui si addensano i timori e le nevrosi dello stesso autore. È palese che in Sprott ci siano tracce del vissuto di Seth. Nonostante George Sprott sia un’opera prodotta su commissione, Seth conduce con puntuale lucidità la sua peculiare indagine sul sé e sul tempo. I punti di contatto con Clyde Fans sono diversi, in primis l’assenza di una figura paterna, che sembra quasi giustificare il carattere meschino del presentatore. Infatti Sprott non è un personaggio con cui il lettore empatizza, ne segue la biografia attraverso le testimonianze e l’andamento rapsodico della narrazione, ne assimila le massime, la filosofia di vita, le ossessioni, comprendendo sin dalle prime battute che Seth sta raccontando una storia di fantasmi.
Se in Clyde Fans Seth mette a dura prova il lettore con una prolissità sfiancante, in George Sprott cerca un’inedita immediatezza attraverso l’uso di narrazioni che si concludono nell’arco di una pagina. Lo stile si fa più grafico, e la parola a volte prende il sopravvento: il fumettista tiene a bada la complessità di questo mondo attraverso il rigore di una narrazione quasi documentaristica. Nell’affastallerarsi delle memorie e dei racconti degli interlocutori si fa spazio prepotentemente un’idea: nessuno conosce realmente George Sprott, tutto quello che possiamo ricostruire attraverso le parole degli altri è un fantasma, la cui presenza di affievolisce man mano che procediamo nel tentativo di capire chi fosse l’uomo.

George Sprott è una storia di solitudine, di infedeltà e di egoismo: nel baloccarsi testardo di Sprott con i rimasugli di un’epoca passata, screziata da un esotismo in bianco e nero, si rifletteno la nostra epoca sospesa: nell’assenza di ogni idea di futuro il passato diventa un’ottima via di fuga, in cui nascondere la nostra solitudine e la nostra ignavia.
Se non avete mai letto nulla di Seth, George Sprott è il libro giusto. Liberato dalla prolissità e dalla nevrosi personali, il picture novel del 2009 è un saggio della grandezza di un autore unico e imprescindibile per il fumetto contemporaneo.
George Sprott 1894-1975. Un racconto per immagini
di Seth
traduzione di Leonardo Rizzi
Coconino Press, marzo 2022
brossurato, 96 pp, b/n
28 euro (acquista online)
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