
Nel meritorio recupero da parte di Allagalla Editore dei lavori di un autore italiano tanto importante quanto forse poco rinomato quale è Claudio Nizzi – grande “artigiano” delle sceneggiature, noto ai più per la sua esperienza bonelliana come successore di Gianluigi Bonelli su Tex e come creatore del primo “giallo” bonelliano Nick Raider – riaffiorano in superficie piccoli gioielli pubblicati negli anni Settanta sul settimanale delle Edizioni Paoline Il Giornalino. Titoli avventurosi e rivolti a un pubblico di ragazzi, ma tutti segnati da una sottile vena di anticonformismo in grado di distinguerli dalla massa: dallo “spaghetti western” alla Sergio Leone di Larry Yuma (coi disegni, tra gli altri, di Carlo Boscarato e Nadir Quinto) al marinaresco avventuroso di Capitan Erik (realizzato prima con Ruggero Giovannini e poi con Attilio Micheluzzi).
In quello strano laboratorio che fu Il Giornalino negli anni Settanta – in cui il “mondo cattolico” provava a dialogare con le istanze di un pubblico giovanile scosso dalle tendenze sessantottine e contestatarie – si coglieva, più che altrove, l’esigenza di ribadire, anche solo per metterlo in discussione, un orizzonte di valori che stava radicalmente modificandosi. Se il fumetto cosiddetto d’autore affrontava la realtà di petto, con un approccio critico e libertario, o la sfuggiva polemicamente in cerca di nuovi linguaggi e nuovi immaginari, Il Giornalino scelse di aprire le sue storie alla realtà, di confrontarsi con il mondo di fuori esplorando nuovi generi e tematiche, pur rivendicando la propria funzione educativa e pedagogica.

Insomma, non si ambiva certo alla rivoluzione, tra le pagine de Il Giornalino: si provava però a fare, col fumetto, un po’ di cultura. Così anche la realtà urbana, con le sue contraddizioni e le sue drammatiche prospettive, entrò prepotentemente nel settimanale paolino: prima tramite Il Commissario Spada (1970), di Gianluigi Gonano e Gianni De Luca, dove in una Milano mai così oscura si nascondevano classiche insidie come delitti, rapine, rapimenti e si affacciavano nuovi fenomeni, tra cui (addirittura!) gli hippie, le sette sataniche, la droga, i terroristi. Qualche anno più tardi, ma in contemporanea con le storie più mature di Gonano e De Luca, dal 1977 al 1980, fece capolino un’altra serie poliziesca, che nulla aveva a che vedere con quanto uscito finora sulla rivista.
Certo, Tenente Marlo, a prima vista, sembra una versione edulcorata del fumetto nero: il disegnatore non a caso è quel Sergio Zaniboni che firmava da qualche anno le matite di Diabolik. Lo scenario apparentemente era lo stesso: il protagonista, Mike Marlo, ha una faccia che ricorda fin troppo l’ispettore Ginko, con la sigaretta sempre in bocca al posto della pipa; e la città statunitense in cui sono ambientate le sue avventure, un “formicaio” con milioni di case, auto, uomini e storie da raccontare, non è poi così diversa dalla Clerville in cui si muove lo spietato ladro in nero. Ciò che cambia, in realtà, è tutto il resto.
Nizzi prese spunto dal genere procedural più canonico, Ed McBain e i suoi romanzi dedicati all’“87° distretto”, per costruire una serie corale, dove l’indagine viene condotta da un team di professionisti, agenti, tecnici della scientifica, informatori più o meno affidabili. Lo stesso tenente Marlo, poliziotto integerrimo, molto efficiente e dotato di una buona dose di empatia, spicca come una figura certo positiva, ma non così monolitica. I brevi momenti dedicati alla sua vita privata lo mostrano in una relazione, piuttosto serena ma non tanto convenzionale se pensiamo al contesto in cui veniva mostrata, con la vedova di un ex-collega. Anche il suo approccio al lavoro è quanto di più distante dall’ossessione di un Ginko: in una storia, dal titolo Il pipistrello, Marlo ha a che fare con una sorta di Batman misto a Diabolik, un tizio in mantello nero che commette furti e si prende gioco della Polizia. Ma, al contrario di quello che farebbe il rigido ispettore di Clerville, Marlo mostra una certa simpatia nei confronti del criminale, tanto da lasciarlo fuggire.

Il realismo della serie è soprattutto in questo sguardo che, pur rientrando pienamente nei canoni di un poliziesco drammatico e realistico, si focalizza sulla dimensione umana delle vicende. Nei limiti di una narrazione breve e dinamica, la serie propone una moltitudine di piccoli personaggi, destinati a minime comparsate, o a fugaci ritorni nel corso degli episodi, che impongono al disegnatore un notevole lavoro di caratterizzazione. Rispetto alle veloci e decisamente più redditizie matite realizzate in quegli anni per il tascabile Diabolik, le tavole prodotte per Tenente Marlo non si limitavano a due o tre vignette dagli sfondi essenziali, ma richiedevano a Zaniboni un processo più lento e un’attenzione certosina.
Ogni tavola contiene dalle otto alle dieci vignette, e fu prodotta da Zaniboni unendo insieme due fogli A3, per rendere al meglio l’ambientazione, i cambi di scena e le interazioni necessarie a storie che devono svilupparsi e concludersi in circa dieci pagine. Il segno raffinato di Zaniboni – che qui padroneggia, oltre alle matite, anche pennini e pennelli – si fa quindi particolarmente curato, molto equilibrato nella gestione dei bianchi e dei neri e attento nella scelta delle inquadrature e nel ritmo delle vignette. Il risultato è senza dubbio una delle prove migliori di Zaniboni, tanto nella regia e nello storytelling, quanto nel tratto elegante e dinamico, supportato da un Nizzi ispirato nelle trame e nelle soluzioni adottate.

Tenente Marlo è un buon fumetto poliziesco, dritto, solido, costruito con cura e ancora in grado di giocarsela con serie più blasonate e contemporanee, ma dalle fondamenta più fragili. Una bella occasione per scoprire, o riscoprire, cosa erano in grado di fare due maestri del fumetto popolare italiano quando venivano lasciati liberi di esprimersi al massimo delle loro possibilità.
Nonostante la serie si sia interrotta presto, a causa dei continui impegni dei due (dopo soli tre anni e una ventina di storie pubblicate: Zaniboni sarebbe tornato a tempo pieno al suo Diabolik, Nizzi si sarebbe buttato su un poliziesco più leggero e scanzonato come Rosco & Sonny con Alessandrini e Torti), la sensazione è che entrambi si siano divertiti molto a realizzare questo “spaghetti procedural”, tanto realistico quanto sorprendentemente “adulto”, per i canoni di una testata cattolica per ragazzi: ma le regole del fumetto popolare imponevano, già in quegli anni, percorsi più rassicuranti. I due si sarebbero ritrovati una decina di anni dopo, con meno affiatamento, per dare forma ad altri cliché: quelli del western italiano di Tex Willer, sul quarto Texone, Piombo Rovente.
Tenente Marlo
di Claudio Nizzi e Sergio Zaniboni
Allagalla, novembre 2020
cartonato, 256 pp., b/n
30,00 € (acquista online)
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