di Simone Rastelli*

Nel gennaio 2017, per promuovere l’edizione a colori di Tintin nel Paese dei Soviet, l’editore organizza la messa in scena dell’arrivo di Tintin in treno a Bruxelles. È la rievocazione dell’evento del 1930 – quando, al termine della pubblicazione della sua prima avventura su Le Petit Vingtieme, il reporter tornò in città anche nella realtà, interpretato da un attore e accolto da una folla di fan – che quindi mescola rivisitazione nostalgica e richiamo del mito fondante attraverso il rito, cioè la ripetizione formalizzata di un momento, di un evento basilare del culto di Tintin.
“Ripetizione” è un concetto cardine per il fumetto seriale in generale, sia dal punto di vista produttivo sia da quello narrativo. È ripetizione l’appuntamento periodico con le nuove tavole, pubblicate su rivista, e quello con il nuovo albo. È ripetizione – nel suo valore profondo di forma retorica, l’anafora – quella che sedimenta gag, tormentoni, modalità di costruzione e scioglimento degli intrecci, tipologia e caratterizzazione dei personaggi e delle loro relazioni in una stratificazione di racconti che cresce nel tempo e definisce l’universo narrativo della serie. È attraverso la ripetizione che emergono i luoghi narrativi ricorrenti, le convenzioni e le specificità – estetiche, stilistiche e di linguaggio, anzi, più correttamente, gergo o dialetto – che individuano una serie e che guidano le aspettative del lettore.

Soprattutto, è la continuità attraverso la frequentazione cadenzata, regolata e protratta nel tempo che costruisce il rapporto particolare fra lettore e racconto seriale. Nei casi felici, il risultato è un rapporto di vera e propria condivisione dell’immaginario costruito pezzo dopo pezzo dal racconto, cresciuto incontro dopo incontro, come avviene per le persone con le quali condividiamo i nostri giorni.
Questa, in definitiva, è la magia del seriale: accompagnando il lettore lungo la sua vita – mese dopo mese, anno dopo anno – può diventare un vero e proprio compagno di strada: possiamo quasi immaginare che le Avventure e i suoi lettori siano cresciuti insieme, maturando via via complessità di intrecci e competenza di lettura. Non sorprende quindi che i lettori delle Avventure nati nel dopoguerra – e, in particolare, quelli che poi ne sono diventati studiosi e ne hanno scritto al riguardo – le abbiano incontrate da bambini.
Se non la prima lettura fumettistica in assoluto, le Avventure sono state spesso la prima ad averli affascinati, riuscendo a trasportarli nel loro mondo liminale fra realtà e fantasia: hanno aperto loro le porte alla meraviglia e al senso di avventura e da allora – grazie alla loro costante reperibilità – sono riuscite a rinnovare nel tempo il proprio fascino nei loro confronti. Questo, in fondo è il significato profondo di frasi come «Sono cresciuto con Tintin (Blake e Mortimer, Lucky Luke, eccetera)». Per tutti, basti citare Renaud Nattiez, dall’introduzione del suo saggio Le Mystère Tintin: Les raisons d’un succès universel:
Ho due famiglie: la mia e quella di Tintin. Nessuna opera di letteratura o arte mi ha accompagnato come Tintin dall’età più giovane fino al presente. Nessuna lettura ha avuto così tanta influenza sui miei gusti, i miei centri di interesse, le mie scelte professionali.
Leggere a piccoli morsi
I racconti serializzati a dominante componente narrativa, come le Avventure, sono costruiti per essere letti in episodi, secondo il loro particolare ritmo di pubblicazione. Le avventure di Tintin furono pubblicate a cadenza settimanale, una o due tavole alla volta, su Le Petit Vingtieme, Le Soir “volée” e la rivista Tintin, e quotidiana allorché durante la guerra si ridusse a striscia di quattro vignette, a causa della ridotta foliazione di Le Soir causata dalla scarsità di carta.
Oggi il lettore incontra le Avventure in forma di volume, ma merita sempre ricordare che furono pensate per un lettore che le avrebbe seguite una tavola o una striscia alla volta, che non si supponeva le avrebbe collezionate e che quindi non avrebbe potuto verificare la coerenza degli eventi controllando i vecchi episodi. L’edizione in volume offre l’occasione per una seconda lettura – un’esperienza ben diversa da quella frammentaria della prima – e comunque, dato il suo alto costo, riguardava una minoranza dei lettori.
La scelta di Hergé per rafforzare il legame fra le Avventure e il lettore fu quella di offrire una lettura gratificante per ogni episodio, fosse composto di una o due tavole o di una striscia. Il singolo episodio conteneva quindi un elemento, tipicamente la gag, che iniziava, si svolgeva e si concludeva in esso.

Si tratta della stessa scelta che vediamo in tante opere dell’epoca, anche indirizzate agli adulti. In molti casi, si pensi a Flash Gordon, la serializzazione quotidiana era a sua volta articolata in strisce nei giorni feriali e tavole domenicali. Il problema comune a Flash Gordon e Tintin, che gli autori affrontano dando a ogni singolo episodio una struttura chiusa, è quello di una lettura a breve raggio di concentrazione. Per l’adulto che leggeva Flash Gordon, le strisce o la tavola erano un momento di distensione nel corso della lettura di notizie e commenti: se non una distrazione, almeno un tirare il fiato fra una notizia e l’altra.
Il lettore tipico delle Avventure, almeno prima della guerra, era invece un bambino che si stava impadronendo tanto della lettura quanto della capacità di seguire un intreccio articolato. Offrirgli una chiusura per ogni episodio significava offrirgli una gratificazione e confortarlo rispetto alle sue competenze di lettore: leggere le Avventure diventava così una sfida alla sua portata e, divertendosi nel farlo, una spinta a rispettare l’appuntamento periodico. Leggere le Avventure settimana dopo settimana era un po’ come mangiare una torta golosa una fetta alla volta, e anche il piccolo lettore che non fosse pienamente in grado di collegare gli episodi poteva godere della sequenza di gag. Non per niente, la prima avventura, Tintin nel paese dei Soviet, è veramente poco più che una lista concatenata (e scatenata) di scenette.
Altro fattore determinante della leggibilità delle Avventure, è la comprensibilità del primo livello di lettura, quello degli eventi. Fra i vari elementi della vicenda esiste sempre una connessione diretta e semplice e ogni episodio delle Avventure offre un intreccio lineare, che Hergé dipana davanti ai nostri occhi. In altre parole, una spiegazione del tipo “il personaggio A compie l’azione B per il motivo C”, dove “C” è un elemento del racconto o della saga (quindi rigorosamente intradiegetico, che il lettore può recuperare semplicemente scorrendo le pagine), riesce sempre a sostenere efficacemente la lettura e a orientarne le aspettative.
Le deviazioni da questa regola sono rare, due particolarmente clamorose: L’orecchio spezzato, nel quale a un certo punto si rende necessario uno spiegone per tentar di mettere ordine nella sequenza di eventi, e I gioielli della Castafiore, che d’altra parte stravolge molte delle convenzioni delle Avventure. In altre parole, non è necessario considerare relazioni complesse fra i personaggi o loro lati oscuri o motivazioni tenute nascoste, né considerare messaggi esoterici, consci o inconsci, da parte di Hergé.

Così, ipotizzare – come ha brillantemente fatto Serge Tisseron – che l’autore abbia inteso inserire in una trama allusioni alle vicende e ai racconti di famiglia, in particolare su una propria ascendenza aristocratica (topos fiabesco se mai ce n’è stato uno) non modifica in alcun modo il godimento del racconto. Sicuramente interessante per la ricostruzione della biografia e della personalità del suo creatore, questo approccio non offre invece alcuno spunto né prospettiva particolare sull’opera.
In generale, tutte queste caratteristiche fanno sì che ciascuna avventura sia largamente autonoma rispetto alle altre, nel senso che può essere letta senza conoscere le precedenti. L’architettura della saga è quindi sostanzialmente verticale e le strutture orizzontali si limitano alla ricorrenza di alcuni personaggi, il cui comportamento non è mai determinato da quanto accaduto in precedenza.
Anche nei casi in cui emergano trame di vendetta o desiderio di rivincita di qualche villain nei confronti di Tintin – si pensi a Rastapopolus o al colonnello Sponsz, che vedono i propri traffici e intrighi ripetutamente danneggiati dall’eroe – la conoscenza dei precedenti aumenta sicuramente l’effetto di profondità dello scenario generale, ma non influenza la lettura, né dal punto di vista del godimento dell’intreccio né in quello dell’interpretazione.
Questo articolo è un estratto del libro “I mondi di Tintin”, di Simone Rastelli, pubblicato da Resh Vision, acquistabile a questo link.
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