
Mefisto, l’arcinemico di Tex, è tornato, come abbiamo visto nel primo albo di queste nuove avventure incentrate sul nemico per eccellenza di Tex (qui l’articolo), e il curatore e autore degli albi del ranger texano, Mauro Boselli, ce lo racconta con una serie di storie che arriverà fino all’autunno di quest’anno, disegnata nei primi albi dai fratelli Cestaro.
Sergio Bonelli Editore ha deciso di puntare molto su questa iniziativa e, accanto agli inediti della serie regolare, ci sono in questi mesi anche varie uscite speciali, come una collana che ripropone in ordine cronologico tutte le vecchie storie in cui Tex ha incontrato Mefisto (qui i dettagli) e il quarto albo fuori serie di Tex Willer (la collana con le avventure del giovane ranger prima che incontrasse i suoi amici), che ci regala una deliziosa “storia della origini” di Mefisto.
Dove eravamo rimasti

Questo secondo capitolo della storia che racconta il ritorno di Mefisto, pubblicato su Tex 739 e intitolato I misteri di San Francisco, prende le mosse dal numero precedente, che si chiudeva con l’inizio di un inquietante pericolo. Ma non era ancora niente rispetto a quello che vedremo in questo numero: l’obiettivo di Mefisto è portare un’intera metropoli (San Francisco) sull’orlo del terrore e della follia, «nelle mani di un negromante che persegue il progetto di distruggere una volta per tutte la propria Nemesi, il ranger chiamato Tex Willer (con i suoi tre pards, naturalmente)», come scrive nella prefazione Graziano Frediani.
Boselli nel primo numero ha messo sul tavolo un primo giro di carte, e la posta è alta: dal lato dei buoni abbiamo Tex con i suoi pard più il capo della polizia di San Francisco, Tom Devlin, e l’amico Mike Tracy (proprietario dell’hotel Alameda); dall’altro c’è il nido del male, che ancora però non si è svelato ai protagonisti. È il manicomio Black Mountain che Mefisto dirige sotto falso nome e dove va a raccogliersi una serie di cattivoni della peggiore risma.
In un sotterraneo del manicomio c’è anche Yama, il figlio ucciso e impazzito (cioè ancora vivo ma decisamente folle) che Mefisto ha intenzione di liberare dai suoi demoni interiori e far tornare in vita per conquistare assieme a lui il mondo, o qualcosa del genere. E, soprattutto, Mefisto ha un piano per impadronirsi della città, ma non sappiamo ancora quale sia.
Al “Black Mountain Asylum”

Vale la pena soffermarsi un attimo sull’inizio della storia. Qui Boselli “la tocca piano”, ripartendo con passaggi corti e rasoterra, ma non senza qualche gioco di prestigio. Mentre i nostri pard si allontanano dal manicomio che avevano visitato alla fine del primo numero, con Tiger Jack molto poco convinto e Tex decisamente in bilico sull’orlo di un sospetto che potrebbe trasformarsi apertamente in dubbio, c’è una battuta fondamentale. Tex e i suoi stanno discutendo se il direttore della struttura, cioè il dottor Stephen F. Weyland, l’alias scelto da Mefisto, che non hanno potuto incontrare, sia una brava persona oppure no. E Kit Carson si chiede, all’improvviso: «Chissà per cosa sta quella F? Ferdinand? Frederic? Faust?».
Eccolo là svelato uno dei pilastri interpretativi della personalità di Mefisto, un dottor Faust che per volontà di potenza stringe il famigerato patto con il demonio. Il problema di Boselli è farlo capire (e diciamo che qui non lo nasconde tanto) senza però scivolare nel religioso, cioè senza mostrare il Diavolo cristiano, che sarebbe inappropriato e contrario alle linee guida di Bonelli oltre che alla Bibbia (in senso fumettistico) di Tex.
A San Francisco Tex e i suoi pard, ormai pronti a partire per tornare in Arizona, scoprono che ci sono state varie rapine in città. Tutte caratterizzate da postumi che fanno pensare a Tex che qualcuno abbia drogato commessi e portieri per poter svaligiare i negozi. Qui Boselli gioca un’altra carta strategica: nell’economia narrativa di questa storia adesso c’è un forte sbilanciamento. Noi lettori già sappiamo che il direttore del Black Mountain Asylum è Mefisto, e con noi lo sanno anche tutti i cattivi e gli alleati vari. Invece, manca all’appello solo Tex con i suoi. Ma Boselli, per portare avanti la storia da qui in avanti deve far giocare Tex a carte scoperte: è il momento di una seconda, piccola svolta nella trama.
Tex, infatti, fa due più due e gli viene cinque. L’artista dell’inganno e del sotterfugio da illusionista è uno solo: Mefisto. Ancora non hanno capito che è il direttore del manicomio, ma i sospetti ci sono. Per questo motivo Tex e i suoi decidono di restare e di indagare sul manicomio, chiedendo un incontro con il giudice Matthews, cioè l’uomo che sta mandando criminali e assassini nelle celle del Black Mountain Asylum anziché sulla forca.
La strategia di Boselli
Questo secondo albo della mini-saga introdurrà come vedremo un buon numero di colpi di scena, ma all’inizio ha una sequenza di eventi decisamente lunga che serve a livellare il campo dello scontro. Adesso tutti – noi lettori e i vari personaggi – abbiamo le stesse informazioni. Ora possiamo seguire le indagini dei nostri beniamini senza troppo preoccuparci troppo dei possibili buchi di trama.
La strategia di Boselli paga subito con il primo ostacolo della storia, cioè l’incontro con il giudice. È un’atmosfera strana, cupa, una di quelle dove i fratelli Cestaro danno il meglio introducendo non solo tinte forti e neri “carichi”, ma anche inquadrature più distorte e sognanti. L’incontro è veloce e non porta a nulla di buono. La villa, commentano tra loro Tiger e Kit Willer, «ha qualcosa di sbagliato». Così, i nostri vengono invitati ben presto a uscire dal losco maggiordomo, che una volta rimasto da solo evoca Mefisto attraverso le fiamme del caminetto. In una scena horror in stile Dylan Dog anni Ottanta, Mefisto annuncia al giudice che è arrivato il momento di andare a riscuotere la ricompensa promessa dagli Angeli Neri.
La carrozza con il giudice parte guidata da un demone, e Tex con i suoi, che erano rimasti appostati, la vedono e vanno all’inseguimento. Boselli ci lancia un’esca e fa dire a Tex che è convinto che il giudice sia più vittima che colpevole, e infatti lui stesso si sta lamentando con Mefisto. Quello che segue è importante: l’inseguimento è rocambolesco lungo scogliere notturne, e alla fine i nostri sopravviveranno a stento dopo aver visto e sparato a creature demoniache. Ma lo sono veramente? Una volta in salvo, con un salto logico notevole, Tex capisce che gli avvelenamenti non sono stati solo uno strumento per cercare di far fuori i pard e il giudice, ma anche il modo in cui sono state effettuate le rapine menzionate da Devlin. Siamo più o meno a pagina 35 e Tex ha già dedotto quasi tutto quello che poteva dedurre. Il terreno di gioco adesso è praticamente alla pari.
Il mondo non è abbastanza

E come se la pausa introdotta dalla sequenza di rientro di Tex e dei suoi a San Francisco non fosse abbastanza, Boselli la “lega” a una esplosione della personalità di Mefisto, che viene redarguito duramente dai suoi Angeli Neri. Intanto, in una San Francisco notturna che ricorda sempre più la Londra di Penny Dreadful, il capo della polizia Tom Devlin è rapito dalla bellezza seduttrice di Lorna (una delle alleate di Mefisto) e drogato in piena Chinatown: scopriamo che Mefisto (travestito) in realtà prende le sue pozioni “magiche” (o per meglio dire psicotrope) dalle Tong cinesi. Siamo di nuovo in un’ottica di dominazione multirazziale, ottenuta sfruttando i talenti dei misteriosi asiatici? Qui in realtà Boselli cita la più classica e misteriosa Chinatown di San Francisco, la prima e più grande colonia in Occidente della diaspora cinese, fonte di ispirazione per molte narrazioni magiche (ricordate Grosso guaio a Chinatown?).
Il rapimento di Devlin è anche una trappola per catturare i due ranger, Tex e Carson. Anzi, la spiegazione che Mefisto fa a Duke sul perché, anziché eliminare con un colpo diretto e ben mirato Devlin, stia mettendo su tutto questo circo, è un bel tentativo per spiegarlo anche a noi, che abbiamo davanti una trama abbastanza barocca che poteva essere risolta con qualche avvelenamento ben più mortale ed efficace. Ma si sa, in quasi tutte le storie d’avventura – da che mondo è mondo – la buona stella degli eroi, cioè la loro capacità di sopravvivere alla maggior parte degli agguati, è dovuta sostanzialmente all’incapacità strutturale dei cattivi di fare il loro lavoro: sparare un colpo a tradimento e via. Invece, si mettono a elaborare piani molto complicati che alla fine regolarmente falliscono.
Il piano di Mefisto, ad esempio, non è far fuori gli eroi, che poi secondo lui verrebbero subito sostituiti da altri tutori della legge, ma soggiogarli al suo volere, cioè corromperne l’anima onesta. Il piano vero del megalomane Mefisto non è la vendetta o la rapina ma la conquista di San Francisco: «Credi che il mio intento sia solo un meschino desiderio di arricchirmi? No! Io voglio che questa città sia mia, voglio stabilire a San Francisco il mio impero del male!». Poi uno si chiede come mai non ce la faccia.
Intanto, Tex sta per avere l’ultima illuminazione di questo albo: dopo aver capito che le rapine le fa Mefisto drogando la gente, adesso capisce anche che in realtà il criminale si è travestito da direttore del manicomio. Anzi, lo capisce Tiger Jack, ed è fondamentale, perché a questo punto lo sapevano tutti tranne Tex e i suoi. Che figura ci avrebbero fatto Tex e i suoi ad andare in giro ancora un po’ senza saperlo? Tex promette subito vendetta istantanea.
A caccia del cattivo

Per cercare di catturare Devlin, Mefisto ha anche acciuffato il ragazzino che fa da strillone a San Francisco, Willy, e che avevamo già incontrato nel primo albo. A fare il colpo è stato il Macellaio (uno scagnozzo di Mefisto che aveva già fatto capolino). Tex si unisce ad Angelo, personaggio vestito come un incrocio tra Arsenio Lupin e “un uomo in frac”, con tanto di monocolo, che gli dice come Mike Tracy e gli altri ragazzi della palestra “Hercules” (conosciuti tutti nelle vecchie avventure a San Francisco di Tex e dei suoi) stavano cercando i nostri eroi perché è stato appena consegnato un misterioso “pacco insanguinato”. Il pacco è un’esca, contiene una mano insanguinata che per fortuna non è quella del ragazzino, ma fa infuriare Tex.
Siamo nell’ultimo quarto dell’albo, stanno per piovere altre sorprese e finora Boselli è stato molto bravo a gestire una serie di svelamenti uno dopo l’altro facendo al tempo stesso andare avanti la trama. Mefisto ha infilato il buon Devlin in una stanza imbottita del Black Mountain (dove le allucinazioni si susseguono), mentre Tex e i suoi vanno da soli all’appuntamento proposto dal mittente della mano mozzata in un pezzetto nebbioso e abbandonato di San Francisco, con l’obiettivo di catturare Mefisto, salvare Devlin e lo strillone Willy.
Siamo a tavola 70 circa, l’ambientazione è cupa e marcata da un carboncino magistrale che si alterna a bianchi sovraesposti. Con una serie di inquadrature molto spinte, arriviamo finalmente al confronto con il cattivo di turno, il Macellaio, che ha preso in ostaggio il piccolo strillone e lo tiene sospeso assieme a lui dentro una specie di torre-silos.

Per salvare il ragazzino Kit e Tiger si salvano per un pelo da un incendio spettacolare in cui il Macellaio muore e Tex e Carson finiscono prigionieri di Mefisto. Questi ultimi, drogati, vivono incubi nei quali pensano di vedere la morte l’uno dell’altro.
A questo punto, proprio quando Mefisto sembra averla vinta, i suoi alleati si stanno cominciando ad agitare e pianificano di rivoltarglisi contro, spaventati dall’idea di essere sacrificati come il Macellaio per l’ambizione del loro demoniaco capo. Siamo a tavola 100, manca poco alla fine della storia ma c’è ancora tempo per un altro rovesciamento di fronte: gli energumeni palestrati della Hercules vanno all’assalto del ristorante cinese di Madame Li per scoprire dove è tenuto prigioniero Devlin.
Ne scaturisce uno scontro fra irlandesi e cinesi in stile Bud Spencer e Terence Hill, che serve per dare sapore alla storia e per fare godere le pupille. Non muore nessuno, solo qualche osso rotto e dente sputato per terra, nella migliore tradizione di Tex. Il tutto mentre nel frattempo al manicomio Tex e Carson sono nelle mani di Mefisto che vuole farli impazzire a suon di visioni demoniache. «I miei peggiori nemici sono alla mia mercé, sulla strada della follia! Ho adempiuto alla promessa di mio figlio! Perciò vi chiedo: liberatelo dal suo tormento! Che Yama torni al fianco di Mefisto!», urla il cattivo invocando il proprio figlio, mentre l’albo giunge a conclusione.
Due cose da notare

La prima è che Boselli sta davvero creando un affresco di un certo spessore. Siamo dentro alla storia solo da due numeri e ne sono già successe di tutti i colori. L’autore ha preso un passo lungo ma ben deciso, da film in cinemascope, e va avanti in maniera gagliarda. Ci sta piacendo, insomma. Il passo sontuoso di Boselli si manifesta anche con lunghe sequenze di raccordo e di approfondimento che potrebbero risultare pesanti ma, soprattutto in questo secondo numero, vengono raccontante ottimamente dai fratelli Cestaro.
I misteri di San Francisco è un racconto cupo, dalle tinte forti, con un uso del carboncino molto gradevole, dei bianchi grattati dalla pagina molto espressivi e un tratto dinamico al punto giusto. C’è soprattutto l’atmosfera che guarda un po’ ai Tex classici (dopotutto con Mefisto torniamo in un balzo agli anni Quaranta) e quindi a un modo di intendere i western in cui la cupezza degli interni era amplificata dagli scarsi mezzi tecnici di settant’anni fa. Ma c’è anche il gusto di inquadrature più moderne, allucinate, che fanno molto Dylan Dog classico e si sposano bene con lo svolgimento della trama. Interessante elaborazione di Boselli ben interpretata da Cestaro, quindi.
Invece, tra le debolezze, ci sono le caratterizzazione dei personaggi secondari, soprattutto nel campo di Mefisto ma anche fra gli amici di Tex a San Francisco: sono piuttosto statiche, ma anche qui il passo lungo di Boselli accumula, e i personaggio pian piano crescono (se uno riesce a ricordarsi chi sono, perché cominciano a essere tantini). Infine, va notato che i mostri e i cattivi – ma anche le allucinazioni che impersonificano sia i demoni che i “buoni” tramutati in demoni – sono proprio ben fatti. Le fiamme infernali, soprattutto, vengono molto bene ai Cestaro. E, in una storia come questa, direi che è un considerevole vantaggio.
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.
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