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Tim Sale, esagerare l’essenziale

C’è come un rimpianto, nello scorrere la bibliografia di Tim Sale, scomparso pochi giorni fa. Del disegnatore di Batman: Il lungo Halloween, Superman: Stagioni, Billi 99 e Daredevil: Giallo restano non molte opere, alcune mirabili, altre poche note, altre ancora zavorrate da sceneggiature poco ispirate. Eppure in ognuna di esse Sale ha infuso il proprio talento, creando storie romantiche e noir, piacevolmente retrò ma con occhio sulle cose graffiante e acido.

Daltonico, Tim Sale era uno specialista del bianco e nero e poi della pittura con l’inchiostro («È come colorare senza i colori»). Complice uno spiccato senso del design, si muoveva con disinvoltura tra silhouette, giochi con lo spazio negativo o improvvisi primi piani a tutta pagina, in cui l’occhio si avvicina talmente tanto ai soggetti da creare un’intimità quasi imbarazzante nel lettore.

Gli bastava molto poco per riempire una pagina. La capacità di condensare in pochi tratti i personaggi era evidente soprattutto negli sketch e nelle commission che realizzava per i fan, dove un paio di corna, due occhi languidi o lunghe orecchie appuntite evocavano senza sforzo Daredevil, Gwen Stacy e Batman.

tim sale fumetti spider-man

Era essenziale, ma non per questo pacato. Se i primi lavori di fine anni Ottanta come Billi 99 – una sorta di V for Vendetta in salsa americana – e Gli Esploratori dell’Ignoto devono morire! erano opera di un autore che aveva interiorizzato Jaime Hernandez, le storie brevi realizzate a inizio anni Novanta nell’ambito della serie Legends of the Dark Knight rappresentarono una prima spinta verso la cifra che lo avrebbe reso famoso. In personaggi come Poison Ivy, Joker o lo Spaventapasseri c’erano idee visive nuove, mutuate dalle fonti più disparate (la sua Poison Ivy è un omaggio a quella che Dave McKean aveva disegnato in Black Orchid, Joker è un imbastardimento del Grinch del Dr. Seuss, lo Spaventapasseri è una citazione al film L’inafferrabile primula nera).

Tim Sale non era ancora così sicuro di sé da affrontare Batman con il suo stile, e infatti in quelle storie l’eroe stava sulla pagina in maniera abbastanza canonica. Poi però, quando arrivò Il lungo Halloween (1996-1997), Sale non si trattenne più. Batman diventò una figura ora bidimensionale come un’ombra, ora mastodontica in un modo sgangherato, come se non avesse il pieno controllo della sua stessa anatomia.

Anche se all’inizio i suoi personaggi dialogavano solo con il vuoto della vignetta, nel corso degli anni Novanta Sale maturò un senso della spazialità in bilico tra Will Eisner e Bernard Krigstein, per la capacità di creare tridimensionalità e utilizzare la giusta dose di dettaglio. Superman: Stagioni (1998) e Daredevil: Giallo (2001) erano piene di pagine in cui l’ambiente, urbano o campagnolo, era protagonista della scena quanto i personaggi (o forse più).

tim sale daredevil

Fu proprio nei lavori dedicati a Superman e Daredevil che avvenne un cambio di passo importante. I due fumetti rappresentarono l’occasione per Tim Sale di costruire scenari dettagliati in cui far muovere i suoi personaggi, di contro sempre più essenziali, stilizzati, esagerati nel design. Ecco che Clark Kent, nella sua interpetazione, è un monolite dai lineamenti minimali, soprannominato dai detrattori «un pollice con gli occhi» che si aggira in una Smallville uscita da un dipinto di Norman Rockwell.

Il riscontro positivo di Superman: Stagioni aprì per per Loeb e Sale una stagione all’insegna del nostalgismo, con il passaggio in Marvel Comics e il debutto di opere, successivamente conosciute come “le serie dei colori”, che rilessero i primi anni di attività dei supereroi: Daredevil: Giallo, Spider-Man: Blu, Hulk: Grigio, Capitan America: Bianco. L’idea diventò ben presto una formula stereotipata che nulla aveva da offrire ai lettori se non un giro sul viale dei ricordi.

A salvare queste storie cromatiche dall’oblio furono i disegni di Sale, che reinventò l’universo Marvel secondo il proprio gusto. Il problema era che i disegni accompagnavano sceneggiature incuranti di ciò che stava accadendo sulla pagina, sorde a qualsiasi tipo di commistione e preoccupate soltanto di raccontare i fatti nel modo più dritto e stucchevole possibile.

tim sale fumetti

E infatti, anche se di Tim Sale resterà sempre noto Il lungo Halloween, una storia stilisticamente ancora non al massimo della forma, uno dei suoi lavori più riusciti e rappresentativi è senza dubbio Hulk: Grigio (2003), il terzo fumetto “colorato”, in questo caso dedicato alla nascita di Hulk.

Hulk: Grigio racconta le ore immediatamente successive all’esplosione che donò i poteri a Bruce Banner. Nella sua prima notte di vita, Hulk si deve confrontare con la sua natura, il suo amore per Betty Ross e le minacce esterne rappresentante dal generale Ross e da Iron Man, anche lui nel primo periodo di attività. Per disegnare il personaggio, Sale pescò un’ispirazione che fa capire cosa fosse per lui il disegno: esagerare, condensare, trovare l’elemento strano, bizzarro e ironico in ogni contesto.

Tim Sale ritrasse Hulk come Bulk, la parodia realizzata nel 1967 da Marie Severin sulla pagine della testata Not Brand Echh (una serie Marvel che prendeva in giro i suoi stessi eroi). Severin, fumettista e colorista per EC Comics e Marvel, era stata insegnante nei laboratori organizzati da John Buscema che Sale aveva frequentato. Secondo Sale, di tutti i disegnatori passati a tenere una lezione, nessuno era bravo a trasmettere nozioni come Severin. Era stata sempre lei a invitare il giovane Tim nella redazione Marvel, affidandogli i suoi primi lavori come inchiostratore.

Dentro Hulk: Grigio c’è quindi un omaggio affettuoso alla sua mentore, ma il fumetto è anche un accostamento dissonante con la storia: Sale prese una versione del personaggio che sembrava uscita dalla rivista Mad e la mise in un contesto serio e reale. Il tragico e il patetico, il grottesco e l’essenziale, il cartoon e l’empatia più genuina coesistono insieme nel mondo a mezzetinte della pittura a inchiostro. È come guardare una vecchia fotografia ma di qualcuno che fa una smorfia.

tim sale fumetti hulk

Tim Sale aveva tutta una serie di mosse in bilico tra ironia e romanticismo, tra passato e presente. La ragnatela del suo Spider-Man era un ibrido tra la tridimensionalità di Todd McFarlane e la tela piatta che disegnavano Steve Ditko e John Romita. Disegnava le labbra con una forma a becco, una parentesi graffa rovesciata in orizzontale che si prestava a distorsioni comiche. «Quando Catwoman si avvicina a Batman e lui resta interdetto il labbro superiore di Bruce copre quello inferiore» spiegava. «È una scorciatoia, è Looney Tunes

La sua ultima grande prova fu sulle pagine di Superman: Confidential (2007), su cui realizzò l’arco narrativo Kryptonite con Darwyn Cooke, autore che gli era affine sotto molti aspetti. «È un disegnatore dotato di un grande senso del design» commentò Cooke. «E credo che sia imbattibile quando si tratta di disegnare il romanticismo e il desiderio.»

Negli ultimi dieci anni le sue apparizioni si erano diradate (anche per problemi di salute) e i suoi lavori sclerotizzati. Basta vedere Capitan America: Bianco (2008-2015) o Incubi, lo speciale del 2021 dedicato al Lungo Halloween, in cui la linea è più tozza, la semplificazione cartoonesca eccessiva, la colorazione digitale troppo appariscente. Lo stesso Sale, in un’intervista del 2019, ammise di essersi in parte involuto: «Credo che sia dovuto al fatto di non svegliarmi più ogni giorno con il compito di disegnare una pagina e mezza. Anche le mie composizioni probabilmente migliorerebbero se disegnassi con più costanza, ma ci so ancora fare». Ed è vero, in alcune pagine di Incubi ci sapeva ancora fare, ma l’impressione era che i suoi lavori migliori andassero cercati nel passato.

Non ha prodotto un monte pagine granché cospicuo, Tim Sale. Ma in quella manciata di opere ha saputo creare un universo visivo e uno stile profondi come biblioteche intere.

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