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Il valore storico e artistico del murale ritrovato di Andrea Pazienza

È fresca la notizia del ritrovamento nella casa vacanza appartenuta alla famiglia di Andrea Pazienza di un murale che l’autore di Pentothal avrebbe disegnato in giovane età.

ESCLUSIVA | Dal muro emerge un Paz inedito, ritrovato murale di Andrea Pazienza di 50 anni fa nascosto dall’intonaco in…

Posted by ANSA.it on Saturday, July 16, 2022

La casa, a San Menaio, è stata di proprietà della famiglia dell’artista sino al 2003, anno in cui è stata venduta all’attuale proprietario, che solo adesso ha deciso di rimuovere con calma l’intonaco che copriva il disegno di Paz. L’opera si estende su tre pareti e fu realizzata con bombolette spray rosse e blu. Al centro dell’opera è riconoscibile la caricatura del professor Sandro Visca, che fu il docente di disegno di Andrea Pazienza al Liceo Artistico di Pescara.

La caricatura dal volto squadrato, rappresentata con un segno violento e decisamente affrettato, ricorda un fascio littorio, ma l’allusione diventa palese quando notiamo che lo stesso personaggio è mostrato mentre si applica nel saluto fascista e poco sotto di lui si trova una svastica (certo non è una svastica rovesciata, quindi potremmo forse giustificare l’autore, ma molto probabilmente è solo sintomo di una svista, considerata la giovane età). Tutt’intorno altre caricature del professor Visca, riconoscibile grazie al suo baffone, poi divenuto emblematico e determinante nei ritratti che il giovane Paz dedicò all’amico.

I tre ritratti dal sapore fortemente jacovittiano sono circondati da un trionfo di scritte, balloon, segni tra cui un’emblematica frase in dialetto sanseverese: «Ca t pozzn accid». Che ti possano uccidere. Un’espressione tipica del dialetto pugliese e che nulla ha di violento, anzi. Tutto ha il tratto di una celia veloce, di un qualcosa di istintivo e primitivo come sapeva benissimo essere il genio di Pazienza. Un genio precoce, irriverente e violento. Un genio che ha rivoltato il fumetto italiano come un calzino, solo accostabile al barocco giocoso di Jacovitti per forza e carattere, ma che seppe trainare il fumetto fuori dal comico per gettarlo nella mischia di una contemporaneità marcia e poco accomodante. 

Ma non vorrei lanciarmi nel solito panegirico, anche perché non nascondo che rileggere Paz ad anni di distanza – senza aver attraversato quel maelstrom e senza aver toccato con pelle la violenza che serpeggiava in un paese che si era svegliato di colpo dopo il lungo sogno dorato del boom economico per trovarsi gettato al centro di un incubo fatto di sangue e piombo – non è per nulla semplice. Alcune sue cose sono divisive, non sempre facilmente digeribili dai lettori, soprattutto se distratti e non fortemente motivati ad andare oltre alla superficie o al semplice encomio al martire. Perché molto spesso la critica si diletta con il martirologio e l’agiografia di un autore che oggi sicuramente avrebbe vita dura come allora, fortemente divisivo nella sua genialità caustica e grottesca.

Paz comunque è un autore trasversale anche grazie all’indiscutibile tecnica, che gli permetteva di saper addomesticare qualsiasi superficie e qualsiasi mezzo, tanto da riuscire a vergare su un semplice quaderno un’opera estrema e nauseante per schiettezza e sincerità come Gli ultimi giorni di Pompeo. Tuttavia, questa poetica così tracotante e bulimica presenta una serie di asperità e di grigi che se volessimo affrontare di petto potrebbero (e forse dovrebbero) generare una lettura critica, ma conservativa. Non si vuole in questa sede proporre un pensiero che ridimensioni la portata storica e artistica di Pazienza, ma che sappia di volta in volta leggere con cura certi moti estemporanei. 

Le reazioni sui social alla notizia del ritrovamento sono state diverse, ma si possono dividere tra quelle che hanno accolto la notizia con interesse e curiosità e quelli che, invece, hanno dichiarato senza una malcelata insofferenza un certo disgusto nei confronti di ciò che sembrano poco più che scarabocchi tracciati dalla mano di un adolescente. Il Centro Fumetto “Andrea Pazienza” di Cremona ha cercato di dirimere la questione e le discussioni dichiarando che «non si tratta di un’opera frutto di un vero e proprio concept artistico, ma di scritte e disegni tracciati sul un muro della casa estiva di famiglia “a sentimento”».

Il murale ritrovato di Andrea Pazienza ha generato comunque un sentimento divisivo in chi lo guarda, soprattutto da parte di coloro che non conoscono la storia di chi ha vergato quei segni aspri, provocatori e infantili. Senza dubbio, mi sembra alquanto banale perdersi in discussioni sulla categoria di bello artistico, soprattutto ora che il brutto, il disgustoso, il nauseante hanno ottenuto una piena cittadinanza artistica. Ma, a mio avviso, andrebbe condotta una riflessione a partire dalle espressioni di pancia e un po’ grezze che hanno accolto la scoperta dell’opera: andrebbe sicuramente fatta una piena distinzione tra valore storico e valore artistico dell’oggetto in questione. 

È indubbio che l’opera ha una valore storico molto importante, perché traccia del genio artistico di Paz. Il giovane Pazienza che a sedici anni in vacanza sulle spiagge garganiche in compagnia dei genitori decise di prendere di mira il suo prof sbeffeggiandolo e caricandolo grottescamente di segni irriverenti e provocatori. C’è il classico scazzo adolescenziale dietro quei gesti, c’è una sana voglia di scherno con tutta la carica oppositiva e critica verso il mondo adulto. Ma sicuramente si tratta di un’opera che non trasuda meriti artistici. È un’opera estemporanea, molto probabilmente destinata all’oblio e che non arricchisce la nostra esperienza estetica dell’autore. 

Quindi è un’opera dal chiaro valore storico per un’artista centrale e fondamentale nella storia del fumetto e della cultura pop italiana, ma non è un’opera di valore artistico – con la consapevolezza dei limiti e della criticità che un’espressione del genere può generare – perché non fondata su un’intenzionalità artistica forte, su una consapevolezza che vada al di là del gesto provocatorio e contingente. Certo, un semplice graffito a volte è più bello di alcune meticolose costruzioni prospettiche e realiste che adornano gli spazi pubblici.

Per cui cosa ci trasmettono i graffiti adolescenziali di Pazienza? Sicuramente un grande vuoto, ma anche la consapevolezza che prima di esprimere pareri che non ammettono il diritto di replica bisognerebbe riflettere su ciò che guardiamo, armarci di pazienza e di una buona cassetta degli attrezzi, e dopo aver tirato un lungo respiro articolare la nostra opinione. Certo se fossimo fedeli allo spirito di Paz un dolce e irriverente «ca t pozz’n accid» non lo risparmieremo a nessuno.

Leggi anche: Andrea Pazienza e la Golden Age di “Frigidaire”

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