Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno

The Kid Who Collects Spider-Man

Tra le storie di Spider-Man, ce n’è una che probabilmente non è la sua più famosa, ma che di sicuro è fra le più amate fra il pubblico, nonostante non faccia parte di nessuna saga e non sia incentrata su nessuna battaglia sensazionale e addirittura sia molto breve: Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno.

Questa storia nacque nel 1984, quando Marvel Comics sfruttò un semplice esercizio di routine lavorativa – con gli editor, impegnati in estate con il Comic-Con di San Diego, che per qualche settimana lasciarono ai loro assistenti la direzione delle testate regolari – per creare un piccolo evento di marketing. Fu così che nacque l’“Assistent Editor Month” (il mese degli assistenti editor), durante il quale furono pubblicati albi addirittura umoristici e in alcuni casi persino “estremi”, come quello di Alpha Flight realizzato da John Byrne, ambientato nel mezzo di una bufera di neve e pieno di tavole interamente bianche.

La storia più nota tra quelle pubblicate però è proprio Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno (in originale The Kid Who Collects Spider-Man), apparsa su Amazing Spider-Man 248 e realizzata da Roger Stern (allora sceneggiatore regolare della testata) e Ron Frenz (alla prima prova su un personaggio sui cui poi avrebbe lavorato per diverso tempo), con il contributo dell’assistente editor Bob DeNatale.

Nonostante la sua brevità – solo 11 pagine, ovvero la metà di un comic book standard dell’epoca – questa storia quasi fuori continuity è spesso ricordata come una delle più rappresentative di Spider-Man e tra le più toccanti del fumetto americano in generale. Coprotagonista della vicenda è il piccolo Timothy Harrison, un bambino di nove anni talmente appassionato di Spider-Man da collezionare tutto ciò che lo riguarda, dai ritagli di giornale a gadget vari.

Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno

Il suo eroe gli fa visita e non solo gli racconta come ha ricevuto i poteri, ma gli svela anche la propria identità segreta, smascherandosi davanti a lui. Solo alla fine, in una sequenza particolarmente commovente, scopriamo che il bambino non si trova nella cameretta di casa sua, ma nella stanza da letto di un centro oncologico per l’infanzia, e che gli restano solo poche settimane di vita a causa di una grave forma di leucemia.

Una storia poco super e molto umana, lontana dalle complesse trame di Stern (come la saga di Hobgoblin) e generata da un impulso preciso dell’autore: «In parte, sono sicuro che sia nata dal desiderio di realizzare una storia breve di interesse umano nello stile di Will Eisner: è per questo che la storia è parzialmente narrata attraverso ritagli di quotidiani… ho cercato di essere “eisneresco”».

Se vogliamo fermarci a un giudizio superficiale, possiamo dire che il successo della storia sia dovuto principalmente al trasporto emotivo verso il dramma del piccolo Timothy, ma la figura realmente tragica non è la sua. La storia funziona perché Stern dimostra di aver colto uno degli elementi fondanti di Spider-Man: la propensione drammatica del personaggio.

Riducendola ai minimi termini, la storia in sé è una ri-narrazione delle origini del personaggio, ma condita con un ulteriore elemento che ci ricorda quanto, sempre di più, nel corso del tempo, la dimensione luttuosa sia diventata un elemento inscindibile dall’essenza di Peter Parker. Alla fine della storia, è Timothy a consolare Peter, non viceversa. Con qualsiasi altro personaggio, probabilmente questa storia sarebbe risultata vuota e retorica.

Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno

A questo si aggiunge un tono quasi post-moderno nel modo di tratteggiare la figura del supereroe come icona pop, vista attraverso lo sguardo ammirato di uno dei suoi più grandi fan, che letto con il senno di poi sembra essere anticipatorio della realtà attuale. Negli ultimi anni – con l’aumentare del successo dei cinecomic –, abbiamo spesso assistito a visite a sorpresa da parte degli interpreti dei supereroi, con tanto di costume di scena, a giovanissimi malati ricoverati in ospedale.

Su una storia come Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno incide molto la recitazione dei personaggi, dettata dai disegni. Frenz è stato in carriera un disegnatore camaleontico, che ha spesso guardato ai classici per riadattarli in chiave contemporanea. Il suo Thor era plastico e possente come quello di John Buscema, per esempio, mentre più di recente su Spider-Girl ha optato per uno stile più spigoloso e fresco, con una linea pulita che lasciasse spazio a una colorazione patinata. Nella sua run su Spider-Man, il suo punto di riferimento è sempre stato soprattutto Steve Ditko.

L’influenza è qui evidente soprattutto nelle scene in flashback, con le loro figure esili e quasi geometriche, che lasciano comunque spazio a volti espressivi e sinceramente emozionati (anche quando coperti dalla maschera). Frenz non è mai stato considerato un fuoriclasse, ma sarà ricordato per essere stato spesso il disegnatore giusto al posto giusto. Lui stesso considera questa storia come il punto più alto della sua carriera, secondo quanto riferito in un’intervista a Tom DeFalco contenuta nel libro del 2004 Comics Creators of Spider-Man: «Sono molto orgoglioso di riguardarla, dopo più o meno venti anni. Quella storia probabilmente è stata il fattore decisivo per il quale mi è stata poi offerta Amazing».

Il ragazzo che collezionava l’Uomo Ragno è una storia nata da una congiunzione particolare degli eventi – probabilmente irripetibile – e per questo costituisce un unicum nella produzione a fumetti ragnesca. Non a caso, nonostante sia nata come backup story, ancora oggi tanti fan – tra cui quelli presenti nella redazione di Fumettologica, lo ammettiamo – la ricordano con più affetto rispetto all’avventura principale dell’albo (che, per la cronaca, era disegnata da John Romita Jr. e vedeva Spider-Man scazzottarsi con Thunderball della Squadra di Demolizione).

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