
Il fumetto è stato per gran parte della sua storia un medium feticista. Escludendo, almeno in parte, i fumetti delle origini – anche se non mancavano di certo plagi o ‘omaggi’ più o meno velati – e gli anni più recenti, per lungo tempo i fumettisti hanno sempre fatto più o meno riferimento e per diverse ragioni, anche industriali, a uno stile regionale specifico: la ‘linea chiara’, lo ‘stile Marvel’, lo ‘stile Bonelli’, dividendosi di volta in volta tra kirbyani, diktiani, prattiani, pazienziani eccetera. Il fumetto ha così ridefinito i confini tra omaggio, debito, idolatria e fetish.
A volte questi feticismi sono dichiarati (si veda quello nei confronti dei fumetti dei primi anni del Novecento in L’ombra delle torri da parte di Art Spiegelman, ma anche il Little Ego di Vittorio Giardino), altre volte meno. Quello che è importante notare è che, forse con l’eccezione del manga – inteso sia come ‘genere’ alla base della creazione, per esempio del fenomeno degli ‘Spaghetti Manga,’ o dello stile del singolo autore – e di qualche fumettista in ambito underground, questa feticizzazione sembra essere oggi meno presente tra i nuovi autori.
Forse in questo processo ha avuto anche un ruolo il crescente successo dei fumetti ‘auto’ (-biografici, -fiction, -etnografici) in cui la rappresentazione soggettiva del corpo, anche se non scevra da influenze, ha polarizzato e personalizzato molto anche il segno, al di là delle capacità ‘grafiche’ classicamente riconosciute agli autori di fumetti. Nel rappresentarsi, sia attraverso un corpo dichiaratamente autobiografico, sia attraverso un alias, la soggettività grafica di questa rappresentazione è diventata più importante del ‘bel segno’ (qualunque cosa ciò voglia dire), e ciò a volte avviene anche dichiaratamente: si veda il caso auto-esplicantesi di Fumettibrutti.
I fumetti auto- ci sono sempre stati ma, così come rappresentazioni stilisticamente ruvide, pregne, del proprio alter ego di carta, ma il fenomeno è ovviamente in fortissima espansione. Di conseguenza l’autore è diventato – anche commercialmente – il centro del discorso. Al di là del valore delle singole opere, Zerocalcare, Fumettibrutti, Percy Bertolini, Zuzu e in parte altri come Gipi mettono in primo piano se stessi e, conseguentemente, i propri corpi, non solo disegnati.
Se il corpo supereroico, insomma, rappresentava un’irraggiungibile idealizzazione, se molti personaggi della storia del fumetto erano dei ‘tipi’ ben precisi (tra sintesi, esagerazione e parodia) o se, ancora, la Bonelli si è storicamente appoggiata a modelli – soprattutto cinematografici – per tratteggiare gli eroi della propria scuderia, questi nuovi corpi a fumetti, non più modelli prototipici, sono in alcuni casi allo stesso tempo personali e capaci di creare un’identificazione più profonda da parte di un’audience alla ricerca di maggiori nuance.
Ciò potrebbe dipendere non solo dall’imporsi di un nuovo pubblico, più sfaccettato, più fluido, interessato a nuovi modi, forse più affini, di rappresentare sia i movimenti interiori, sia la fisicità attraverso cui questi vengono espressi, ma anche dalla trasformazione del contesto multimediale in cui i fumetti vengono prodotti. Il fumetto, nella sua dimensione di libro o albo, fisico o virtuale, si è trasformato da conclusione concreta di un percorso – ‘l’opera’ attraverso cui l’autore si presentava al proprio pubblico – a ultima fase di un discorso, di una narrazione più ampia.
Infatti il dialogo fra autori e pubblico, più o meno diretto, inizia e si concretizza ormai prioritariamente nella dimensione dei social. Attraverso disegni, fotografie, dirette, discussioni o risposte ai commenti, inizia la rappresentazione contemporanea del corpo dell’autore che suo del personaggio, i quali spesso sono divisi da un confine che se non è proprio inesistente è talmente sottile da non essere percepito.
La centralità dell’autore, al di là di alcuni personaggi particolarmente iconici, è un tratto praticamente inedito all’interno del mondo del fumetto, e questa nuova riconoscibilità ricorda un po’ la confusione che gli spettatori del cinema delle origini facevano tra gli attori e i personaggi che rappresentavano. Con la non trascurabile differenza che questi autori di fumetti sono realmente, o almeno in parte, i personaggi che rappresentano. La continua esposizione attraverso i social li colloca più nel campo della performance che in quello dell’editoria. Una performance che attualizza due vecchi adagi degli anni Sessanta/Settanta: il privato è politico e il corpo è politico.
Questa centralità dell’immagine (del corpo), anche oltre il segno, attraverso fotografie, video, dirette su Instagram e quant’altro, è particolarmente significativa in un contesto come quello del fumetto in cui il discorso diretto, sotto il profilo grafico, è difficilmente replicabile rispetto alla perentorietà in cui si esplicita nel verbale. Non che manchi la dimensione verbale in questo processo: sui social si riversano fiumi di parole in varie forme, e molti di questi fumetti sono spesso verbosi, a volte anche in maniera didascalica.
Eppure l’immagine, ambivalente, polisemica, ha un ruolo centrale come mai l’aveva avuta prima. E si tratta soprattutto di immagini di corpi, e questi corpi, eccezionali, deformati, elastici, straziati, bellissimi, sono, sia nelle loro manifestazioni video/fotografiche che in quelle grafiche, corpi di tutti. Inoltre, se ancora negli anni Sessanta si profetizzava la ‘morte dell’autore’, cercando – con una semplificazione estrema – di mettere l’opera di fronte al suo creatore, qui il discorso si fa più complesso.
Anche se non si può parlare propriamente di opere collettive, il feedback continuo ricevuto dal proprio pubblico prima della pubblicazione dell’opera definitiva (e quindi forse, a questo punto, realmente morta o per lo meno non più dialogante) influisce sull’iter produttivo, lo corregge, lo raffina. Quindi questi nuovi fumetti bio- da una parte rimettono il fumettista, anche come corpo, al centro del discorso, dall’altra parte lo decentralizzano, ne sfumano i confini autoriali all’interno di un discorso plurale, che coinvolge chi crea, il proprio pubblico e anche gli altri autori affini per tematiche o sensibilità.
Non si tratta però di uno scenario scevro da personalismi ed egocentrismi, naturalmente. Se il corpo nel fumetto è un corpo reinventato o reinterpretato, plastico (a questo punto anche a causa delle stimolazioni in tempo quasi reale da parte del pubblico), capace di deformarsi e adattarsi stilisticamente al discorso, emerge, in questo contesto, anche la necessità – forse a causa di decenni di marginalizzazione dell’autore come corpo reale, fisico, partecipativo – di riportare il creatore alla ribalta.
Non a caso, concluso il processo che porta all’opera o alle opere, questa (più o meno) nuova generazione di autori e autrici ha ancora voglia di parlare e ha cose da dire. Così il successo trasforma gli autori di fumetti – cosa questa davvero mai successa prima e sicuramente non con queste dimensioni – in maître à penser, specialmente quando approdano su altri media affamati della loro notorietà.
A cosa porterà questa centralizzazione – all’interno sia dell’immaginario sia del dibattito intellettuale – degli autori di fumetti come persone, personaggi e corpi è ancora presto per dirlo, ma il fenomeno resta sicuramente interessante e stimolante da osservare.
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