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Si fa presto a dire crossover

Tendenze e direzioni della pop culture viste da chi non riesce a farne a meno, anche se vorrebbe. "Sofisticazioni popolari": una rubrica di Fumettologica a cura di Marco Andreoletti. Ogni 15 giorni riflessioni sullo stato dell’industria dell’intrattenimento, cercando di capire come sopravvivergli.

crossover crisi sulle terre infinite
Illustrazione di Alex Ross da “Crisi sulle terre infinite”

Quello del crossover è sempre stato un meccanismo narrativo dalla facile presa, un guilty pleasure in grado di titillare la parte più infantile e giocosa di ogni spettatore. Uno dei primissimi casi dovrebbe risalire addirittura al 1890, quando lo scrittore scozzese Andrew Lang pensò bene di far convivere nel suo Old Friends: Essays in Epistolary Parody personaggi basati su altre opere letterarie, pescati da titoli come L’abbazia di Northanger di Jane Austen e Jane Eyre di Charlotte Brontë. Ancora prima – nel 1874 – ci sarebbe da citare L’Isola Misteriosa di Jules Verne, dove troviamo numerosi richiami e personaggi presi da I figli del capitano Grant e Ventimila leghe sotto i mari

Per quanto questi primi esperimenti fossero interessanti, fu con l’arrivo del cinema che le cose si fecero divertenti. Nel 1910 il danese Viggo Larsen girò Arsène Lupin contra Sherlock Holmes, di cui ne dovrebbero esistere addirittura cinque capitoli. Nel 1943 la Universal distribuì Frankenstein contro l’Uomo Lupo con il mitico Lon Chaney Jr. nel ruolo del licantropo e un inedito Bela Lugosi nelle vesti del mostro di Frankenstein. A questo fece seguito una serie di altri titoli dove i vari mostri classici incrociarono le loro strade, fino a La casa di Frankenstein del 1944 in cui la creatura, Dracula e l’Uomo Lupo sono riuniti da una trama a dir poco delirante. 

Nel 1962 Ishirō Honda diresse invece Il trionfo di King Kong, in cui Godzilla ebbe l’occasione di vedersela con il primate portato sul grande schermo da Merian C. Cooper. Da ricordare anche Gli eredi di King Kong – titolo italiano di Destroy All Monsters – diretto sempre dal vetrano Honda nel 1968 e comprendente tutti i principali mostri giganti della Toho. 

Facendo un passo indietro e concentrandoci sul mondo dei comics abbiamo, nel 1940, il primo crossover di casa Marvel con l’incontro tra Namor e la Torcia Umana in Mystery Comics 8 e la prima apparizione di un supergruppo di eroi in All-Star Comics 3, dove vediamo per la prima volta la Justice Society of America seduta attorno allo stesso tavolo. Si tratta dell’avvio di una tendenza che ebbe la sua massima espressione nel 1984, con l’arrivo nelle fumetterie statunitensi dei primi mega eventi dell’industria del fumetto statunitense: Guerre segrete per Marvel Comics e Crisi sulle Terre infinite di DC Comics. Due miniserie – entrambe erano composte da 12 numeri – progettate con l’intenzione di coinvolgere più eroi possibili, farli interagire come mai era stato possibile e restituire ai lettori un universo narrativo fortemente sconvolto dagli eventi raccontati in quelle pagine. 

Si cominciava inoltre a pensare a un flusso narrativo parallelo alla testata principale, coerente con gli eventi ma che richiedeva la lettura di altri albi oltre a quelli centrali. Si trattò di un enorme successo, che diede il via a una stagione non ancora conclusa, tra crisi infinite, d’identità o finali, guerre civili, invasioni e imperi segreti, apocalissi varie, giorni splendenti e notti oscure.

Paradossalmente il massimo risultato di questa strategia editoriale lo si ha avuto nel mondo del cinema, con l’arrivo del Marvel Cinematic Universe a opera di Kevin Feige. Un’impresa titanica che, semplicemente traslando sul grande schermo meccaniche che i lettori di fumetti conoscono a menadito, ha portato a incassare alla casa di produzione oltre 27 miliardi di dollari dal 2008 a oggi. In molti lo considerano il più grande dei crossover Disney, ma evidentemente fanno finta di non ricordarsi questa trilogia.

Al di là di ogni considerazione, uno dei motivi di tale successo è senza ombra di dubbio la capacità di ottenere una forte omogeneità tra tutte le produzioni, lasciando di tanto in tanto le redini lasche quanto basta per avere un minimo picco di personalità da parte dei registi ed evitare di avere un effetto televisivo troppo coercitivo rispetto al prodotto finito. Questo è il motivo per cui Taika Waititi si può permettere una paletta colori particolarmente vivace, Sam Raimi qualche tocco di macabro e James Gunn le sue uscite sopra le righe. 

Con l’esplosione del fenomeno Avengers anche alla Warner Bros. si erano affrettati a ricercare una loro precisa identità visiva, ingaggiando Zack Snyder come supervisore di tutto l’universo cinematografico DC e dandogli la responsabilità di ricercare la giusta alchimia che avrebbe portato al tanto rimandato film della Justice League. Curioso come il regista sia arrivato a questo ruolo dopo il successo di L’uomo d’acciaio, film da lui diretto ma prodotto da Christopher Nolan in seguito agli incassi stratosferici della sua trilogia di Batman e modellato quasi sulla stessa idea, con tanto di regular David S. Goyer e Hans Zimmer ingaggiati per dare un senso di continuità a tutta l’operazione. 

Comunque sia Snyder non ha funzionato come avrebbe dovuto e i maggiori incassi targati DC sono stati portati dagli eccessi kitsch di James Wan per Aquaman, dal solito glaciale Nolan e dall’epopea incel del Joker di Todd Phillips. In altre parole, alla DC i soldi veri sono arrivati quando ognuno ha fatto quello che voleva. A dimostrazione che non sempre coerenza e omogeneità sono la soluzione ottimale, e a dimostrarcelo è la storia stessa del crossover. Perché se da un lato abbiamo chi ama rendere il tutto il più compatto possibile, dall’altra c’è una lunga tradizione che fa della cacofonia e della confusione la sua arma più forte.

Dopo un breve periodo di beta pubblica, il 15 agosto ha preso ufficialmente il via la season 1 del picchiaduro di Warner Bros. MultiVersus dove a darsela di santa ragione sono personaggi appartenenti a ogni proprietà intellettuale della casa di produzione. Abbiamo quindi Batman, Superman, Steven Universe, il Gigante di Ferro, Arya Stark, Shaggy, Velma, Tom & Jerry e così via. Considerato il successo planetario subito raccolto dal videogioco era inevitabile aspettarsi un fiume costante di leak circa i prossimi personaggi integrati nel rooster. Al momento in cui scrivo questo articolo sono confermati Rick & Morty, Black Adam e Stripe (da Gremlins). Solo rumoreggiati invece Gandalf, Harry Potter, Godzilla, la strega del Mago di Oz, gli Animaniacs, Johnny Bravo e una serie via via sempre più improbabile di personaggi legati a serie il più lontane possibile tra loro. 

Ogni lottatore dotato di un’estetica ben riconoscibile – principalmente quelli legati a serie animate – è reso con uno stile grafico coerente a quello che lo ha reso celebre, contribuendo a generare un effetto di confusione visiva gustoso e, attenzione alla parola proibita, divertente. Siamo ancora lontani dal caos e dall’anarchismo visivo del ben più celebre Super Smash Bros. di casa Nintendo, ma la strada intrapresa sembra una di quelle giuste. 

Nel magnum opus del maestro Masahiro Sakurai si è arrivati alle follie del capitolo Ultimate, con i suoi 89 personaggi provenienti da oltre 40 serie di videogiochi diversi (da Mario a Minecraft, passando per Persona 5, Final Fantasy VII e Metal Gear Solid) 114 scenari e 1068 tracce musicali. Il tutto all’insegna della maggiore varietà possibile, senza farsi nessun problema su quanto le cose possano essere coerenti tra loro (a esclusione del gameplay, quello compattissimo e ultratecnico come da tradizione).

Qualche mese fa si è fatto un gran parlare dell’inaspettato ritorno di Cip & Ciop: Agenti speciali, protagonisti di un un lungometraggio che fa della confusione visiva e dell’accumulo la sua ragion d’essere. Oltre a personaggi pescati da una serie infinita di proprietà intellettuali abbiamo anche diverse tecniche (o simulazioni) di animazione, con tanto di frame rate diversi tra personaggio e personaggio. La risposta Disney a Lo straordinario mondo di Gumball, creata da Ben Bocquelet per Cartoon Network mettendo assieme personaggi nati per progetti poi bocciati. Anche in questo caso coerenza e omogeneità sono l’ultimo dei pensieri, a favore di un anarchismo visivo che ha premiato la serie con un grande successo e una serie di stagioni sempre più convulse e ricche di umorismo surreale. 

Curioso come questo tipo di approccio, solitamente piuttosto irriverente, qualche anno fa abbia trovato uno dei suoi sbocchi in un contesto esattamente agli antipodi. Torniamo alle vacanze di Natale del 1990, quando un’intera generazione di ragazzini fu messa davanti al televisore per la visione di I nostri eroi alla riscossa, cartoon contro la droga finanziato da McDonald’s in cui un incredibile cast di personaggi di animazione (i Puffi, Alf, Garfield, Alvin e i Chipmunks, Winnie the Pooh, i Muppets, Slimer di Ghostbusters, i Looney Tunes e Michelangelo delle Tartarughe Ninja) deve salvare il giovane Michael da crack e marijuana. 

Il mediometraggio fu un disastro, ma per un bambino vedere tutti quei personaggi così diversi tra loro nello stesso prodotto produsse un cortocircuito. Perfino un prodotto che voleva essere educativo raggiunse picchi di camp davvero difficili da ignorare. Si trattava di una scelta ben diversa da quanto fatto in seguito, per esempio, dal crossover tra le serie per adulti Archer e Bob’s Burger dove il gioco sta tutto nel ritrovare i personaggi della seconda disegnati nello stile della produzione di Adam Reed. 

O potremmo citare lo straordinario Batman/Elmer Fudd di Tom King e Lee Weeks, piccola gemma passata troppo in sordina. Quello di cui parlo è una via in cui il crossover fa di tutto per essere meno elegante possibile, dove l’accumulo non porta a scene da kolossal ma a un frastuono che esula da quanto possa essere epica la narrazione inscenata. Quello che tentavano di fare Donny Cates e Geoff Shaw in Crossover senza la giusta dose di coraggio e sfacciataggine.

Basti vedere invece cosa sono riusciti a combinare quelli della Archie con il mitologico Archie Meets The Punisher, dove a lavorare sulle tavole c’erano due disegnatori in contemporanea, John Buscema per il Punitore e i criminali a cui il vigilante dà la caccia e Stan Goldberg per il cast di Archie. Il risultato è delirante e assolutamente irrinunciabile. La sceneggiatura si basa su un improbabile scambio di persona, e tutti i momenti migliori li abbiamo nel momento in cui Frank Castle e Microchip si ritrovano a passeggiare in un’idea di Stati Uniti all’antitesi di quella dove sono ambientate le loro storie. 

Un’oasi di pace ben diversa dall’eterna New York di metà anni Ottanta in cui sembravano vivere il vigilante e il suo assistente. Alla decadenza e al crimine dietro ogni angolo ecco sostituirsi un limbo temporale rassicurante e ricalcato su un passato mai neppure esistito – avete presente Stars Hollow? –  dove il massimo dei problemi è il triangolo amoroso tra Archie, Betty e Veronica. La sceneggiatura rimane trascurabile, ma vedere il più violento degli antieroi Marvel tornare nel suo mondo fasciato in un cardigan in puro stile varsity, con tanto di R ricamata sul petto, non ha prezzo. Si tratta di un approccio leggero e totalmente ludico, consapevole e orgoglioso della sua inconsistenza, capace di consegnare ai posteri perle incredibili. 

Un esempio impossibile da dimenticare in tal senso – anche per essere uno dei pochi esempi di crossover produttivi – è La leggenda dei sette vampiri d’oro, lungometraggio nato dalla fusione tra Shaw Brothers e Hammer Film Production. Maestri del cinema marziale cantonese i primi e simbolo del gotico inglese i secondi. Il film fu diretto a quattro mani da Roy Ward Baker (L’astronave degli esseri perduti, Il marchio di Dracula) e Chang Cheh (tra i mille capolavori diretti vale la pena citare almeno l’intera trilogia di One-Armed Swordsman) e si presenta come un pastiche senza né capo né coda tra i due filoni narrativi. 

Non un film da consegnare ai posteri ma un grandioso esperimento di cinema d’intrattenimento, abbastanza divertente da essere ricordato ancora con affetto a quasi cinquant’anni dalla sua uscita. Un risultato non da poco per un pasticcio.

Leggi anche: Secret Wars e il tempo che non c’è mai

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