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RubricheMarginiIncubi e visioni di Edgar Allan Poe

Incubi e visioni di Edgar Allan Poe

"Margini", una rubrica di Fumettologica a cura di Tonio Troiani. Ogni 15 giorni riflessioni sulla narrazione annotate tra le parti bianche di ogni pagina scritta e disegnata.

I racconti di Edgar Allan Poe rappresentano da sempre una fonte inesauribile per illustratori e fumettisti. Tra i padri del racconto gotico e noir, lo scrittore, poeta e teorico americano definì le caratteristiche del racconto breve attraverso un metodo che intreccia effetto e razionalità: pur facendo del macabro e del fantastico l’elemento fondante della sue poetica, cercò di narrare l’indicibile e il perturbante attraverso un meccanismo pervaso dalla lucidità dello sguardo del narratore – spesso incredulo dinanzi a quanto osservato –  e dal distacco, sovente una mistificazione mirata a raggiungere il massimo effetto possibile. È indubbio l’influsso esercitato anche su un altro gigante del racconto del terrore come H.P. Lovecraft, che fece suo il metodo di Poe per esacerbarlo e condurlo a rappresentare l’indefinibile. 

Poe e il fumetto americano

La potenza della narrativa di Poe ha prodotto un interesse continuo e una miriade di adattamenti in altri medium come il cinema, la televisione, la musica e persino il teatro. Ad oggi Poe è tra gli autori americani le cui opere hanno ottenuto il più cospicuo numero di adattamenti  a fumetti. Si contano centinaia di lavori in tutto il mondo, e questo è facilmente comprensibile guardando alla semplicità con cui sin da subito l’illustrazione ha tratto ispirazione dalla sua opera. John Tenniel, Gustave Doré, Harry Clarke, Heath Robinson, Edmund Dulac e Arthur Rackham sono tra gli autori più noti che hanno cercato di tradurre gli incubi dello scrittore di Boston in immagini.

Il primo adattamento a fumetti fu pubblicato sul Classic Illustrated 21 dell’ottobre 1944, con la riduzione del classico I delitti della Rue Morgue realizzata da Arnold L. Hicks. Il numero era dedicato a tre maestri del racconto del mistero: Arthur Conan Doyle, Guy de Maupassant e appunto Edgar Allan Poe. Hicks disinnescò in maniera un po’ ingenua l’idea al centro del racconto, e l’enigma della camera chiusa fu smantellato già nell’inquietante tavola iniziale. Nel numero 84 della stessa rivista, datato giugno 1951, fece capolino uno dei racconti più famosi e amati del nostro autore, forse quello che ha ispirato più adattamenti e interpretazioni: Il cuore rivelatore del 1843, di cui però una prima riduzione si trova già in YellowJacket Comics 6 del dicembre 1945, sempre disegnato da Arnold Hicks insieme a Rudy Palais.

La short story è una confessione in prima persona in cui si confondono in uno stile nevrotico realtà e finzione. Una delle caratteristiche principali è l’assenza totale di dati contestuali: l’identità del protagonista, i rapporti che intercorrono tra l’omicida e la vittima e la stessa identità dell’autorità che raccoglie la confessione non vengono esplicitati. Tutto ciò crea un clima asfittico e allucinatorio. Il racconto di Hinks sin da subito – pur conservando la narrazione in prima persona – fornì delle indicazioni di massima, dando un volto al confessore e operando delle scelte che non aiutavano nella parte finale a rendere il ritmo più concitato e ansiogeno e sfibravano la suspence, restituendo una copia sbiadita dell’originale. 

Negli anni Cinquanta, le riviste antologiche pubblicate dalla EC Comics di William Gaines pescarono a piene mani dai racconti di Edgar Allan Poe, ma la più riuscita trasposizione del racconto Il cuore rivelatore è una versione del 1965 sceneggiata da Archie Goodwin e disegnata da Reed Crandall, apparsa su Creepy 3 del Giugno 1965. Lo stile gotico e grottesco di Crandall fece piazza pulita delle precedenti prove, ma restò comunque ancorato – nonostante alcune libertà interpretative – all’immaginario compassato e d’antan con cui veniva letta l’opera di Edgar Allan Poe. 

A distanza di pochi anni, Marvel fornì un’ennesima riduzione, questa volta disegnata da Tom Palmer con uno stile dinamico e moderno. Il nome di Palmer è legato a quello di Gene Colan: per anni, infatti, ha curato gli inchiostri del disegnatore di Doc Strange e Daredevil. In questo racconto Palmer condivise alcune sue soluzioni peculiari: dal ritmo cinematografico alle prospettive eccentriche, nonostante un calo nella parte conclusiva.

I testi di Dennis O’Neil fornirono un contrappunto pleonastico, dando una serie di coordinate narrative che eliminavano quel senso di sospensione e psicosi tipico della scrittura di Edgar Allan Poe. La versione di O’Neil e Palmer si trova in Chamber of Darkness 3 del settembre 1969: una rivista antologica che cercava di rinverdire uno dei generi più battuti da Marvel Comics prima dell’avvento del fumetto supereroistico degli anni Sessanta.

Le prove più convincenti però in ambito anglofono restano quelle di Richard Corben, che da metà anni Settanta a più riprese si è confrontato con l’opera di Poe e Lovecraft. La resa delle atmosfere gotiche, polverose e oniriche di Poe furono esaltate dal tratto grottesco dell’autore americano e dalla scelta di una bicromia che richiamava l’immaginario televisivo del dopoguerra americano, grazie alle suggestioni sci-fi à la Ai confini della realtà, magnificate nella riduzione di Il verme conquistatore, tra i racconti più riusciti del lotto.

L’interpretazione di Il cuore rivelatore è da antologia: la prosa febbrile e nervosa è resa con una serie di tavole prive di vignette in cui l’occhio vaga senza posa avendo come unico appoggio la silhouette di un albero fino alla scena clou della confessione, in cui le onomatopee e la presenza anonima dei tre poliziotti diventano un leitmotiv “comico” che alleggerisce la tensione.

Per concludere questa breve panoramica – volutamente non esaustiva – dei rapporti tra i comics e Edgar Allan Poe è necessario citare anche l’opera visionaria e barocca di Bernie Wrightson: famoso per la superba interpretazione grafica del Frankenstein di Mary Shelley, il fumettista e illustratore americano dedicò una serie di stampe in edizione limitata anche al maestro del racconto gotico americano nel 1976.

La via “europea”: Battaglia e (soprattutto) Breccia

Ma la prosa di Poe e il suo stile allucinato e febbrile hanno la loro pietra angolare in due autori “continentali”, che hanno pubblicato le loro interpretazioni dei racconti del mistero e del terrore dell’autore americano in Italia: Dino Battaglia e Alberto Breccia. Per l’opera del primo rimandiamo all’articolo di Andrea Tosti e ai miei contributi sulla sua opera e sulla sua capacità di tradurre in immagini le atmosfere dei maestri del racconto breve come Guy de Maupassant, E.T.A. Hoffman e Georg Büchner.

Vale però la pena qui sottolineare che Dino Battaglia ha riletto l’opera di Poe attraverso un filtro “mitteleuropeo”: le stratificazioni di Battaglia rimandano a un immaginario decadente, che attinge sicuramente al tardo romanticismo di Poe, ma che non nasconde una prossimità al secessionismo e all’Espressionismo dei primi del Novecento. 

edgar allan poe fumetti battaglia

Ho volutamente etichettato Alberto Breccia come “continentale” per un semplice motivo: pur essendo originario del Nuovo Mondo e pur avendo legato il suo nome – grazie alla intercessione di Hugo Pratt – a Héctor Oesterheld e all’editoria argentina, Alberto Breccia produsse comunque diverse opere per il mercato italiano, durante la prolifica stagione delle riviste a fumetti. Gli adattamenti dei racconti del solitario di Providence su testi di Norberto Buscaglia apparvero sulle pagine di Il Mago tra il 1972 e il 1975, ad esclusione del racconto Colui che sussurrava nelle tenebre, tardo rispetto alla prima produzione e pubblicato su Alter Alter 11 del 1982. 

Non era solo la materia a condizionare lo stile di Breccia, ma soprattutto la sua visione del mondo e alcuni episodi dolorosi (come la malattia della moglie). Le soluzioni si facevano sempre più ardite e attente a una resa meno realistica e più impressionistica, in cui materiali e strumenti inusuali diventavano fondamentali per aggredire la superficie.

La passione per la letteratura gotica e la complessa via sperimentale intrapresa si intrecciavano più volte – anche grazie al già citato Battaglia – producendo una surreale interpretazione del Dracula, caratterizzato da uno stile aggressivo che sembra attingere a piene mani dal periodo fauvista e post impressionista di Vasilij Kandinskij e dei racconti di Edgar Allan Poe. Tra i racconti scelti per l’adattamento, spicca per l’inedita capacità espressiva e il rigore strutturale Il cuore rivelatore.

edgar allan poe fumetti breccia

Il cuore rivelatore: un saggio di minimalismo

Realizzata nel 1974 e pubblicata sulle pagine di Alterlinus 9 del settembre del 1975, è una riduzione che colse pienamente le intenzioni fermate su carta dall’autore di Boston e con cui Breccia scelse di sparigliare ancora una volta le carte in tavola. Il disegnatore adottò infatti uno stile tagliente ed essenziale, privo di orpelli, concedendo poche variazioni allo schema: una gabbia a nove celle – uno standard della narrazione sequenziale, esplorata con risultati alterni da molti autori e condotta all’estremo da Ray Fawkes in One Soul –  dove il nero fa da padrone e dove le ripetizioni costanti dettano un ritmo incessante, un correlato delle ossessioni raccontate.

La parte testuale è ridotta all’osso: Breccia fornisce poche coordinate spazio-temporali e la caratterizzazione dei personaggi è minima: è intuibile che dietro questa scelta ci fosse uno studio attento del testo originale. Tutto è immerso in una caligine che sin dalle prime battute sancisce il tono ansiogeno del racconto. La mise-en-scene quindi è volutamente scarna: i personaggi sono riconoscibili, ma al contempo anonimi. Sono perlopiù maschere, funzioni. Il volto del protagonista, con un’allusione che rimanda concettualmente a La maschera della morte rossa, è impersonale, rigido e inespressivo, nonostante i sentimenti estremi che attraversano la sua mente malata. 

La forza della sintesi “brecciana” è nell’uso intelligente delle strutture fondamentali del racconto per immagini, con il gutter e la ripetizione che diventano le vere protagoniste. Lo spazio bianco come struttura cognitiva in cui la parte si relaziona al tutto è qui volutamente doppia: da un lato è stretta e incline a dettare un battito veloce, dall’altra è concettualmente molto ampia attraverso la relazione che instaura tra immagini quasi identiche. Continuamente il lettore è chiamato a mettere insieme velocemente le vignette e a immaginare come tra le due non vi sia una distanza quantificabile: in questa striscia centrale la variazione è minima, lo sguardo le raccoglie velocemente in un continuum, ma rimandano a un stasi insostenibile e snervante.

edgar allan poe fumetti breccia

L’autore intensificò l’effetto con un campo e controcampo in cui reitera gli elementi con minime variazioni, in cui un close-up del volto della vittima è alternato a quello dell’assassino. Qua fa la comparsa un’onomatopea che scandisce il crescendo. Lo stesso schema interpretativo lo si può riconoscere nella sequenza finale, quella del confronto dell’omicida con le autorità venute a interrogarlo per una segnalazione proveniente dal vicinato e priva di qualsiasi aggancio al massacro perpetrato poche ore prima. 

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Qua Breccia introdusse una variazione nello schema: la tavola è composta da 12 vignette organizzate in serie di quattro. Il meccanismo temporale è strutturato attraverso un campo-controcampo continuo in cui il tempo subisce nuovamente una contrazione e uno stiramento. In questa sequenza da manuale Breccia reintrodusse una variabile che serviva a incrementare il pathos: l’onomatopea che scandisce in maniera altrettanto ambigua il tempo. Dopo due interminabili pagine dove l’unico elemento che varia è proprio l’onomatopea, il racconto si conclude con la confessione dell’assassino che per la prima volta mostra un’espressione umana. 

A distanza di quasi quarant’anni dalla sua realizzazione, la riduzione di Alberto Breccia rimane un esempio emblematico: lo stile duttile e funzionale dell’autore esplora con rigore le strutture artrologiche del medium, mostrando la capacità del fumetto di cogliere il tono di un testo letterario e declinarlo attraverso un uso di pochi ma funzionali elementi.

La sintesi grafica, la reiterazioni di elementi iconici e l’uso della closure sono caratteristiche condotte con estrema sapienza da Breccia, che non rinunciò comunque al gesto pittorico: i suoi volti sono attraversati da un tratteggio nervoso e rapido, che richiama il lavoro svolto in capolavori come Mort Cinder e Perramus. Inoltre, la sequenza finale ha una forte connotazione politica: le fattezze anonime degli ufficiali nascondono un riferimento diretto alla banalità della burocrazia del regime, di cui Breccia e soprattutto Oesterheld sperimentarono direttamente le storture. 

Con una manciata di pagine l’autore argentino liberò il racconto di Edgar Allan Poe da anni di interpretazioni ridondanti, consegnando un racconto fuori dal tempo, non più legato all’immaginario gotico a cui avevano attinto anche autori come Crepax e Battaglia, scegliendo un linguaggio più semplice e formale, ma sorprendentemente più vicino all’anima del racconto originale.

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