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Il multiverso l’ha creato Lupo Alberto

lupo alberto cento anni dopo

Il multiverso fumettistico esiste e l’ha creato Lupo Alberto nel 1996. In una storia pubblicata quell’anno, intitolata Cento anni dopo…, alla fattoria McKenzie arrivò infatti la gran parte delle icone fumettistiche, di ogni epoca e paese, da Little Nemo a Dylan Dog.

Non mi viene in mente altro esempio di storia non appartenente al mondo delle fanfiction in cui compaiono così tanti pezzi grossi. Certo, in ambito supereroistico la nozione di universo condiviso appartiene al DNA del genere – o almeno alla sua versione moderna, post-Silver Age. O potrei citare casi italiani risalenti ai primi del Novecento, in alcune copertine natalizie del Corriere dei Piccoli in cui i personaggi del giornale si sedevano allo stesso tavolo per celebrare le feste. Ma questa storia di Lupo Alberto è diversa.

Cento anni dopo… fu realizzata nel 1996 in occasione della mostra Gulp! 100 anni a fumetti, organizzata all’interno del Castello Estense di Ferrara. Curata da Ferruccio Giromini, critico e storico dell’immagine, la mostra faceva una carrellata sulla Storia del fumetto internazionale, partendo dalle strisce di inizio secolo per arrivare all’ondata degli eroi Bonelli, dei supereroi americani e dei personaggi dei manga, prendendo come punto di partenza il 1896, anno in cui Yellow Kid pronunciò le sue prima parole all’interno di una nuvoletta invece che sulla maglietta come era solito fare – una data peraltro contestata dagli storici e in parte dagli stessi curatori, che affrontarono il tema all’interno del catalogo della mostra.

Fu una mostra faraonica che presentava prime edizioni di opere storiche e tavole originali di pregio. All’allestimento collaborò anche l’artista Ugo Nespolo, chiamato a progettare la serie di grandi e colorate installazioni che ospitavano il percorso espositivo. Tra le iniziative pensate dagli organizzatori c’era quella di commissionare un fumetto celebrativo che avvicinasse il pubblico generalista e quello dei più piccoli.

L’idea, spiega Giromini a Fumettologica, era comunicare che la mostra aveva contenuti per fumettofili ma era approcciabile anche dal pubblico meno scafato: «Il fumetto si inseriva in un contraltare ironico a tutta la mostra. Mettemmo uno Spider-Man a grandezza naturale che si arrampicava sui muri del Castello Estense, mentre sull’acqua del fossato che circondava il castello navigava una barca ospitante Lupo Alberto e Marta. Volevamo coniugare i due aspetti, quello culturale e quello ludico.» Gulp! ebbe un ottimo riscontro – fu addirittura replicata al Porto Antico di Genova (con qualche originale in meno) – ed è a tutt’oggi una delle più importanti e grandi mostre realizzate, in Italia, sul fumetto.

Come spiega Silver a Fumettologica, «in quel periodo Lupo Alberto andava per la maggiore e gli organizzatori pensarono che potesse rappresentare tutto il fumetto, coinvolgendo il pubblico più largo». Lupo Alberto stava in effetti vivendo un momento fortunato, tra esposizioni mediatiche importanti, successo di vendite e una serie animata per la Rai che sarebbe arrivata da lì a poco. Silver affidò la storia a Francesco Artibani e Bruno Cannucciari, all’epoca giovani autori che erano già da qualche tempo nella scuderia di Silver. Il gruppo di lavoro optò per la soluzione più economica, narrativamente parlando: una festa, a cui arrivano alla spicciolata tutti i personaggi dei fumetti, divisi per epoche.

«Feci una selezione che poi Silver vagliò» racconta Artibani a Fumettologica. «Condividiamo molti gusti, non ci furono grandi riunioni a riguardo. Mi diede solo due indicazioni: dare spazio ai personaggi di Bonvi, come Nick Carter, e inserire Pogo, che era una sua grande passione. Joe Galaxy invece era, se non sbaglio, una richiesta di Cannucciari.»

«Ci tenevo ad avere Pogo nella storia, perché per me è sempre stato un punto di riferimento, una cosa sacra» racconta Silver. «Cercammo una quadra tra personaggi che il pubblico conosceva e quelli magari meno famosi ma che piacevano a noi. Abbiamo privilegiato gli italiani, ovviamente, anche perché, parlo da autore, quando si fanno operazioni di questo tipo vai sempre a cercare il tuo personaggio. E se non lo trovi un po’ ti arrabbi.»

Fosse stato per lui, Silver avrebbe incluso personaggi della sua infanzia come Geppo, «che mi divertiva molto quando era bambino. Mi piaceva moltissimo anche Serafino di Egidio Gherlizza per il quale provo un sacco di affetto, ma lì avremmo davvero esagerato. Non potevamo farci trascinare troppo dagli affetti per delle cose perlopiù sconosciute al grande pubblico».

Le assenze più vistose sono quelle del fumetto sudamericano e giapponese, con quest’ultimo che sarebbe diventano la fetta di mercato dominante da lì a breve. «Nel 1996» dice Artibani, «per il pubblico generalista, il Giappone era ancora anime, più che manga. Certo, avremmo potuto mettere Dragon Ball, che in quel momento era la cosa più popolare, per un pubblico generalista. Ma qui si trattava di celebrare soprattutto il fumetto delle origini, che è americano, essenzialmente». 

lupo alberto multiverso

Bruno Cannucciari riuscì a ricreare gli stili dei vari fumetti, spaziando dalla bidimensionalità di Corto Maltese al tratto rotondo di Charles Schulz o al realismo bonelliano, non senza l’aiuto di Silver. «Bruno è stato straordinario, io non sarei mai riuscito a farli tutti» dice Silver. «Mi sono messo a disposizione come aiutante dicendogli “Tutte le pippe noiose lasciale fare a me”. Ho fatto degli sfondi, qualche interno. L’unico personaggio su cui ho messo mano è stato Cattivik, perché avevo più dimestichezza.»

Nell’organizzare una rimpatriata del genere, però, l’attenzione maggiore fu posta sulla proprietà intellettuale di ogni personaggio. «Abbiamo contattato tutti gli aventi diritto italiani, che sono stati tutti ben disposti e collaborativi» rievoca Silver. «Siamo stati ben attenti a rispettare i personaggi, a non oltraggiarli. Quelli che non siamo riusciti a contattare sapevamo non avrebbero fatto storie perché c’era il diritto di citazione. Nessuno si sogna di querelare qualcuno perché ha citato mezza strofa della sua canzone.» Nessuno tranne la Disney, esclusa premeditatamente perché «temevamo una reazione scomposta da parte della casa madre».

«Cogliemmo la palla al balzo per farla diventare una gag» racconta Artibani. «In una situazione di omaggio e parodia, gli unici a fare problemi erano i personaggi Disney. Era un modo amichevole per ironizzare sulla fiscalità e il rigore famigerati della Disney come azienda – una cosa che magari il grande pubblico non coglie nemmeno e ride solo del contrasto tra l’innocenza Disney e la cavillosità della lettera.»

Cento anni dopo… non è mai più stata ripubblicata, proprio perché creata nell’ambito della mostra. Qualsiasi altro uso sarebbe stato considerato improprio, a meno che la storia non fosse stata distribuita gratuitamente («penso mi pignorerebbero la casa» scherza Silver).

Limitatamente al panorama italiano, è difficile vedere team-up del genere, «ed è un peccato» commenta Silver. «È anche un modo per scendere dal piedistallo, divertirebbe i lettori. Invece immagino già qualche autore che mugugna dicendo “No, il fumetto è una cosa seria, il mio personaggio ha dignità”, oppure “Il mio personaggio ha troppo poco spazio”…»

lupo alberto multiverso

Sempre nel 1996, Alfredo Castelli con il suo Martin Mystère provò a fare un melting pot simile, ma lì il gioco era al contrario: il personaggio interpretava le tappe storiche del mezzo fumettistico con lo stile degli autori più importanti, da Winsor McCay a Jack Kirby. E qualche anno prima, un’idea simile a Cento anni dopo… era uscita sempre dalla fucina di Silver. Si tratta di Cattivik e lo spray vitalizzante, una storia di Bonvi e Silver degli anni Settanta poi ridisegnata da Giorgio Sommacal nel 1991 in cui Cattivik si scontrava con svariati personaggi dei fumetti usciti dalle pagine grazie a uno spray. Si trattava però di una storia breve, dove gli eroi dei fumetti comparivano in una manciata di vignette.

Cento anni dopo… fotografa un momento nel tempo, la metà degli anni Novanta, in cui Superman aveva i capelli lunghi e se un personaggio italiano era famoso significava che era con tutta probabilità un Bonelli. Oggi le cose andrebbero diversamente, ci sarebbero Rat-Man, Zerocalcare, il Dr. Culocane e Lyon, magari, e qualche autore importante andrebbe rappresentato più con il suo stile che con i suoi personaggi (Gipi, Fumettibrutti).

C’è una vignetta, dentro Cento anni dopo…, che resta impressa. È una cosa piccola, ma significativa per chi è appassionato di fumetti. A un certo punto si vedono, placidi sullo sfondo, Charlie Brown e Calvin conversare amabilmente. Si tratta di due icone ma soprattutto di due protagonisti che incarnano generazioni diverse, di autori e lettori.

Non sentiamo quello che si dicono – Calvin ha un atteggiamento più spavaldo, sicuro di sé, come se stesse cercando di convincere il cogitabondo Charlie a unirsi a una delle sue avventure – e a prima vista sembrerebbe soltanto uno di quegli easter egg di cui sono zeppi i film, ma per chi conosce l’importanza che hanno e ciò che rappresentano quei due coetanei, stringe il cuore vederli insieme, in quello che è un momento unico nella Storia del fumetto.

lupo alberto multiverso

La bellezza di questo piccolo omaggio sta proprio nel vedere prendere vita queste interazioni impossibili. La storia è una non-storia, una volta introdotti i vari personaggi, stiamo soltanto lì per goderci la loro compagnia. «È quello che rappresenta il fumetto per me, in generale» dice Artibani. «Ti ritagli un momento in cui sei tu e quei personaggi in quei mondi. Mi piaceva l’idea di averli tutti insieme, una volta soltanto per una congiunzione astrale unica, per non dirsi niente, solo per il piacere di stare insieme.»

Leggi anche: Il nuovo corso di Lupo Alberto

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