Due erano le anime del Sergio Bonelli “narratore”, quando si toglieva i panni dell’editore più importante del fumetto italiano per assumere l’identità di Guido Nolitta, straordinario sceneggiatore di storie avventurose.
Una era l’anima sognatrice, letteraria, salgariana, un po’ fanciullesca, fatta di foreste incantate e mostri spaventosi, di supereroi misteriosi che affrontano senza paura nemici invincibili. Zagor era ed è l’anima fantasy di Nolitta, lo spazio in cui far esplodere tutti i suoi sogni (e incubi) di bambino, in un mondo che somiglia al nostro ma è mille volte più divertente, più emozionante, carico di possibilità avventurose.
L’altra anima di Nolitta era invece quella più disincantata dei suoi desideri di adulto, di un’aspirazione alla libertà, al viaggio come occasione di scoperta e di fuga dalla modernità di Mister No. Una libertà inseguita ma mai del tutto colta, perché – è questa la morale, se c’è una morale, della serie – la civiltà ti segue ovunque, finendo per rovinare inevitabilmente tutto ciò che tocca.

“Mister No-litta” negli anni Settanta (e non a caso, proprio allora) inventò un personaggio che era ciò che lui avrebbe voluto essere, un uomo che sceglie di fuggire da un mondo (l’America degli anni Cinquanta) a cui sente di non appartenere e trova rifugio a Manaus, capitale dell’Amazzonia, per fare il pilota di piper, bere cachaça e andare in cerca di belle donne, per vivere insomma una vita semplice, senza ambizioni, senza futuro.
Il suo “No” al mondo è decisamente più categorico di quello di un Bartleby, lo scrivano che nel racconto di Melville si ribella placidamente al padrone, al lavoro e alla vita («I would prefer not to»: «preferirei di no»). Mister No porta nel suo stesso nome (Jerry Drake, il nome anagrafico, è solo l’indizio della sua vecchia vita civile) una anarchica aspirazione: ma è un’aspirazione fallimentare, costantemente frustrata dalle vicissitudini della vita, dalle esigenze dell’avventura.
Mister No è un idealista, un ingenuo facilmente ingannabile: i suoi clienti sono sempre mentitori, truffatori, spie al soldo delle grandi compagnie, assassini prezzolati, intriganti faccendieri che non hanno denaro per pagargli il viaggio in piper – insomma, non sono mai ciò che dicono di essere. E Mister No si trova sempre invischiato nei loro piani, a vestire suo malgrado i panni dell’eroe, l’anti-Tex che mena le mani (e talvolta le busca) o imbraccia (controvoglia) un’arma per rimettere le cose a posto, per ripristinare la giustizia alla fine dell’episodio.

Dal giugno 1975, data della pubblicazione del primo numero, lungo i 379 albi della vecchia collana, senza contare gli speciali e le successive serializzazioni – che riprendono il personaggio o lo riscrivono in epoca più moderna, adattandolo alle nuove generazioni – Mister No è stato e resta ancora oggi un eroe atipico, anti-eroico, forse persino anti-bonelliano (nel senso di Bonelli padre), nel suo volersi tenacemente staccare dallo stereotipo texiano.
Se Tex è il Superuomo bonelliano per eccellenza, infallibile e immortale, corrispettivo fumettistico dell’Übermensch di Nietzsche, che va oltre se stesso e “dice sì alla vita”, creando con il proprio agire un mondo nuovo, Mister No risponde in senso opposto, con una negazione al mondo. Non a caso suo compagno di bevute e di avventure è un ex soldato dell’esercito nazista, anch’egli rifugiatosi in Brasile in cerca di una pace apparente: in Otto Kruger, soprannominato ironicamente Esse-Esse, si rispecchia il disincanto verso la massima espressione dell’ideologia del superuomo e delle sue tossiche conseguenze.
L’idea che il mondo possa essere cambiato con un atto di volontà, che tutti i torti possano essere raddrizzati con la forza, che la Società sia intrinsecamente orientata verso il Bene: negli anni Settanta, Mister No portò nel discorso bonelliano (e lo avrebbe fatto nello stesso periodo anche un altro personaggio anti-texiano, il Ken Parker di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo) un radicale cambio di prospettiva. Tex è l’eroe che lotta, perché ha ancora senso lottare, perché il Mondo può essere cambiato; Mister No è invece consapevole che la lotta non ha più alcun senso, che il Mondo ha imboccato una strada irrecuperabile.
Mister No è l’eroe che rinuncia. Una rinuncia non passiva, ma consapevole della propria irrilevanza rispetto al Mondo. Ciò non significa affatto una resa: l’eroe bonelliano non smette mai di combattere per i valori in cui crede, ma c’è sempre la consapevolezza che la Storia, il progresso, il futuro vadano inevitabilmente da un’altra parte. E a questa consapevolezza l’eroe nolittiano non può che rispondere con un secco “No”.

Il paesaggio della Foresta Amazzonica, negli anni Cinquanta ancora in gran parte incontaminato ma con i primi segni del passaggio rovinoso della cosiddetta civilizzazione, è lo spazio in cui si afferma questa negazione. La Natura indifferente e placida, i suoi ritmi dilatati così lontani dall’ansiosa frenesia della modernità (e dell’Avventura), si insinuano nella narrazione come segnali di un mondo a parte, pre- o post-umano. I lenti intervalli, tipicamente nolittiani, in cui i personaggi attraversano a bordo di una canoa o sorvolano sul piper uno dei tanti affluenti del Rio delle Amazzoni o dell’Orinoco – e pare quasi di vedere i colori della giungla amazzonica esplodere nelle tavole in bianco e nero di Roberto Diso o Franco Bignotti – sono lì a suggerirci un tempo diverso, lontano dagli affari degli uomini.
Ancora più di Ken Parker, nelle sue avventure più o meno appassionanti Mister No esprime un tema molto contemporaneo, che riguarda il nostro rapporto con il Mondo, con il Pianeta. La grandezza della sua rinuncia sta nel suo porsi a metà tra il tempo dell’Umano, con i suoi desideri meschini e le sue pretese di grandezza, e il tempo millenario della Natura, di un Mondo in cui l’uomo non è che un ospite fastidioso ma passeggero.
A partire dal 2005, dopo trent’anni di pubblicazioni ininterrotte firmate da diversi autori più o meno capaci e un lento calo di interesse, Sergio Bonelli decise di rimettersi i panni di Guido Nolitta per riprendere in mano il suo personaggio e scriverne la storia definitiva, quella che – secondo le intenzioni del suo creatore ed editore – avrebbe dovuto sancire la fine del discorso. Dal numero 364 al numero 379, Mister No torna a Manaus per vivere una serie di avventure ambientate negli anni Settanta: è l’occasione per constatare, tra un’avventura e l’altra, il cambiamento in atto nel paesaggio brasiliano, lo sfruttamento sempre più intensivo delle risorse della Foresta Amazzonica e l’implacabile processo di industrializzazione della città di Manaus da parte del governo brasiliano e delle multinazionali straniere.

Nell’ultimo numero della serie, Mister No decide di abbandonare definitivamente la sua Manaus per rifugiarsi in un altro angolo di mondo lontano dagli affanni della civiltà, a Rurrenabaque, in Bolivia. Nel suo discorso di addio agli amici di una vita, Mister No evoca tutta l’amarezza e la nostalgia per la Manaus di un tempo: «La città della sopravvivenza quotidiana, che, totalmente priva di futuro, non riusciva a premiare i più furbi né a punire i più ingenui… la città della rassegnazione, dunque, ma anche della serenità e della pigrizia… quella dolce pigrizia che ti concede di dedicare tempo e attenzione ai tuoi amici, ai problemi della gente comune e, perché no, anche ai lati più nascosti della tua stessa personalità».
Con queste parole Mister No abbandonò (almeno per un po’) il teatro delle sue avventure, mentre il suo creatore Sergio Bonelli, in arte Guido Nolitta, sancì l’addio definitivo all’eroe che voleva essere. Solo in un luogo senza futuro, lontano dal desiderio, dal progresso, dalle meschine questioni di una civiltà convinta di rappresentare il Mondo intero, l’eroe della rassegnazione può trovare la libertà.
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