“Black Adam” è un mischione micidiale

black adam

Nei primi secondi di Black Adaml’undicesimo film del DC Extended Universe – ci sono due idee contraddittorie che passano come fulmini nella mente di questo cronista, seduto in una saletta di un cinema milanese per assistere all’anteprima per la stampa del film. Anzi, facciamo tre.

La prima è che i titoli di testa con i personaggi canonici della DC (Superman, Wonder Woman, Batman eccetera) sono diventati quasi un problema, adesso che il DC Extended Universe ne ha praticamente fatto strage e non sappiamo più dove siamo. Come nel caso di The Batman, c’è una discreta confusione e voglia di reset. La seconda è una citazione dall’italianissimo Boris: «Apri tutto, smarmella» (con tutto quel che ne consegue). Era un bel po’ che non vedevamo film con un color design così desaturato come solo il DC Extended Universe di Zack Snyder ci aveva abituati. Il terzo è che il vero problema del film è Dwayne Johnson, che alla fine è un attore troppo bravo (nonostante abbia tre espressioni a disposizione, però se le gioca bene) per tenere il passo con il film diretto da Jaume Collet-Serra, il regista spagnolo che ha diretto l’horror non male Paradise Beach.

Andiamo con ordine. Con questo film, come già era accaduto nel mondo Marvel con Eternals, la produzione affonda a piene mani nella mitologia DC meno conosciuta al grande pubblico, soprattutto per via dei numerosi rimaneggiamenti del personaggio principale. Questa versione di Black Adam è un cattivo dal cuore d’oro. Un personaggio “edgy”, direbbero i produttori di Hollywood mentre cercano di convincere Dwayne Johnson a fare la parte del cattivo sì, ma in fondo buono. Come riassume la quarta del film, infatti, «Nell’Antico Egitto un uomo viene ridotto in schiavitù e ucciso dai capi del popolo. Grazie al potere del mago Shazam viene riportato in vita e acquisisce dei poteri divini». Quell’uomo ovviamente è Johnson.

«Il suo immenso potere non corrisponde, però, ad un cuore puro» spiega ancora il materiale messo a disposizione della stampa. «Dovrà confrontarsi con i supereroi della nostra contemporaneità per comprendere che solo nobili intenzioni, una notevole capacità di sacrificio, associate a un grande potere, formano un vero eroe.»

Il film doveva essere vietato ai minori perché particolarmente splatter. C’è dell’ironia, ma la parte edgy era davvero splatter. Poi, renderlo più accessibile anche agli adolescenti, lo hanno ripulito di molti ammazzamenti particolarmente cruenti fatti da Johnson/Black Adam, rendendolo meno edgy e più cuore d’oro, ma la sostanza resta: è un eroe negativo, un antieroe, un vero e proprio cattivo. Che però poi si pente e fa la cosa giusta con i buoni.

I supereroi della nostra contemporaneità, a parte un cameo eccezionale nella scenetta dopo i titoli di coda, sono quelli della Justice Society of America, che sembra uscita dalle tavole di uno sceneggiatore poco ispirato o da un direttore del casting più fortunato che bravo. Pierce Brosnan (Dottor Fate) regge tutto, nella sua figura di anziano potente (miracolo degli effetti speciali che gonfiano il petto anche del vecchio zero zero sette settantenne), mentre Aldis Hodge (Hawkman) delude per l’istintiva antipatia che è in grado di suscitare e la fisicità sbagliata quando dovrebbe muoversi regolarmente. E infine la coppia composta da Noah Centineo (Atom Smasher) e Quintessa Swindell (Cyclone) rattrista più che divertire, con una serie di intermezzi e siparietti che sembrano materiale pre-registrato per un altro film. Invece, nonostante a tratti ricordi Evangeline Lilly ai tempi di Lost, Sarah Shahi nella parte di Adrianna Tomaz (e pare di Isis) ha un suo certo peso drammatico.

La storia di Black Adam è ambientata in un Egitto surreale e fantastico, che non è davvero Egitto e cancella con un colpo di spugna settant’anni di costruzione simbolica di DC Comics: mitologia egiziana, greca e romana assieme a elementi del Vecchio Testamento e del resto del parterre ultraterreno giudaico-cristiano. Di tutto questo resta solo un’ombra, però, perché il film è ambientato in un ipotetico paese mediorientale in cui sono gli americani i veri imperialisti (con la Intergang), contro i quali combattono i “terroristi” locali in una rivolta stile primavera araba. È uno dei sensi di colpa del pubblico a casa con il quale giocare furbamente, oltre che una strizzata d’occhio a potenziali nuove audience.

In questo mischione micidiale che falsifica quel che c’era di genuinamente artefatto nella storia e rende invece vero quel che gli autori non avevano mai messo dentro la storia originale del Mago Shazam e di Black Adam, si muovono stralunati gli zombi di una città vecchia di migliaia di anni (una specie di Cairo rivisitato) in cui le rovine ciclopiche di tempi immemori si sovrappongono ai giganteschi e poverissimi condomini. Una città dove succede di tutto, viene fatto crollare ed esplodere di tutto, ma non passa neanche un’ambulanza e non muore apparentemente nessuno.

Gli abitanti fanno solo e sempre le due cose che fanno gli abitanti di un paese africano visto dalla Quinta Strada: stanno al suq a commerciare e bere tè oppure in macchina (vecchie carrette impolverate) a creare ingorghi senza fine dove si passa solo in motorino o con il monopattino. A parte la mobilitazione finale, che potrebbe essere anche quella dell’uomo di strada di New York che va a difendere il suo amichevole arrampicamuri di quartiere quando sta per soccombere, solo in versione araba appunto.

Dwayne Johnson è troppo un bravo attore per questo ruolo e non soltanto per l’esuberanza fisica (ormai sembra più uno stallone con delle cosce grosse come sequoie, strizzate dentro la tutina aderente che si porta addosso per tutto il tempo) ma anche per le sue tre espressioni. Sì, perché tre espressioni usate bene inducono una cosa che si chiama gravitas e che a Johnson non è mai mancata. L’attore ha una vena drammatica che dovrebbe provare a sfruttare, magari facendo teatro.

In quel volto completamente privo di peli, con l’eccezione delle sopracciglia, c’è un filo di ironia, una bava di gigioneria, e poi una faccia a forma di incudine e uno sguardo che sembra un martello tra i quali finiscono regolarmente tutti gli spettatori. Johnson è grosso in un modo ridicolo, ma alla fine si comincia ad avvertirne il senso di minaccia e il costante peso: non è una figura paterna tradizionale come il cinema psicanalitico ci ha abituato a cercare e proiettare sul grande schermo. No, Johnson è veramente un bue da 130 e più kilogrammi che si muove gonfio ma leggero e veloce. E fa paura. Quella è la gravitas: l’uomo sa incutere timore e rispetto. Fin troppo per Black Adam.

Il film arriva con fatica alla sua conclusione. Ci sono evidenti vuoti di sceneggiatura (deve essere cascato qualche post-it dal tabellone delle scene) soprattutto sui fondamentali aristotelici: saltano i tempi per spostarsi da un luogo all’altro, i superpoteri sono come al solito in rapporto all’incazzatura (più uno si arrabbia e più forte è il cazzottone, senza un limite plausibile nell’implausibilità), e la quasi totalità delle cose che accadono non ha valore né per la vita né per la trama ma solo di scambio simbolico. Vengono messe in scena pulsioni che rappresentano altre cose: stati d’animo, emozioni, conflitti interiori travestiti da scontri tra personaggi. Più che un film sembra l’ossatura dettata dagli psicologi che lavorano per il marketing, ma con poca polpa per renderlo più appetibile.

Ora, messa così mi rendo conto che sembra quasi che lo stia stroncando, questo povero Black Adams che in realtà è fatto bene e segna un tassello interessante per gli sviluppi futuri del DC Extended Universe. Ci sarà un film con il Mago Shazam, ci sarà un altro paio di film e, insomma, vedremo forse accadere un po’ di cose di valore nell’immediato futuro. Tuttavia, nonostante la sensazione di grottesco che spesso accompagna questa storia, tra un vuoto d’aria e uno scenario uscito da un videogioco stile Sim City con tanti piccoli personaggini che camminano di qua e di là, alla fine, dicevo, non è un brutto film. Anzi, è divertente.

Black Adam come argomento è un materiale morbido, perché nel corso di diversi decenni di pubblicazione il personaggio è andato incontro a diverse ret-con della sua storia. Quindi può essere piegato come si vuole. Attualmente la DC sta facendo un’operazione di messa in bolla delle varie epoche, della mitologia che le accompagna, e delle varie Terre (questa dovrebbe essere quella legata a “The New 52” dopotutto), e punta moltissimo su questo personaggio apparentemente secondario proprio perché ancora capace di crescere, con Dwayne Johnson che ha preso l’impegno di renderlo ancora più importante.

I punti di forza sono alcune scene di combattimento, alcune sequenze spettacolari (probabilmente tutte fatte solo con il computer) e la coppia composta da Johnson e Shahi. Il gancio per tenere dentro un pubblico adolescenziale è dato dall’unico conflitto profondo riconoscibile nella storia (il classico padre-figlio, ma in chiave di famiglia allargata in maniera originale, cioè proiettata attraverso i millenni) che aggancia sia i ragazzini che i giovani genitori. Le paure di questi film sono infatti tarate sulla psicologia del pubblico di riferimento. E, infine, ultimo punto di forza, la possibilità di aprire a un nuovo, più coraggioso e ampio DC Extended Universe.

La debolezza è la meccanicità di molte soluzioni di regia, di molte trovate di sceneggiatura, di molti personaggi (come il ruolo di Pierce Brosnan, che è in realtà un gigantesco cameo, ma che regge mezzo film). La cosa che ha provocato più entusiasmo e anzi gli applausi a scena aperta nella saletta del cinema di Milano? La scena dopo i titoli di coda. Ce n’è una sola, coinvolge anche un extraterrestre e vale la pena di essere vista perché promette scintille.

Il film per il resto è divertente. Non andateci con un bambino troppo piccolo perché potrebbe restare traumatizzato sia dalla incapacità di avere una trama contenuta tutta nello stesso universo in cui è stato girato il film che da qualche ammazzamento un po’ troppo dark. Ma si sa, è un film “edgy”.

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